Omelia
Questa pagina del Vangelo secondo Marco segna un momento di passaggio decisivo nella vita di Gesù e, conseguentemente, per i discepoli di ogni tempo, per quanti attingono la loro fede nella vivente tradizione della Chiesa. Occorre disporsi a seguire fino in fondo Gesù e per questo bisogna avere consapevolezza di chi sia lui e verso dove è incamminato. Si tratta dunque di uno spartiacque, del guado che ogni discepolo deve attraversare. Da qui in poi viene precisato lo statuto del discepolato cristiano e, dunque, qual è e deve essere la postura cristiana. In un territorio pagano – i villaggi intorno a Cesara di Filippo – Pietro confessa che Gesù è il Messia, il Cristo, l’Unto-Inviato di Dio. Ma la sua confessione è ambigua, inficiata da criteri e attese umane, fonte di un grave equivoco: ha in mente il Messia regale che viene a liberare il suo popolo e a stabilire un regno terreno. Ma dice, rivela comunque un’attesa, un desiderio di riscatto e di libertà custodito nel cuore.
L’evangelista Marco tiene a precisare che Gesù con i discepoli si trovano lungo la via, en hodô. Ma nel suo Vangelo hodós è la via che porta sulla croce del Golgota, fuori le mura di Gerusalemme, dove Gesù porterà a compimento la sua missione, cioè la sua passione. E per questo il Maestro annuncia loro, in anteprima, la Parola: letteralmente, “e apertamente (con audacia) la parola diceva (kaì parresía tòn lógon elálei)” (Mc 8,32). La traduzione ascoltata durante la proclamazione del Vangelo rende veramente poco, se non addirittura manca del tutto il senso del testo ispirato: “faceva questo discorso apertamente”. Ma qui Gesù dà lo squillo dell’Evangelo, introduce i discepoli al cuore del suo annuncio. Lo vorrei esplicitare con le parole dell’Apostolo Paolo: “la Parola della croce (1Cor 1,18: o lógos tou staurou)! Siamo al cuore della predicazione cristiana!
Tanti si sono fatti un’idea su Gesù, si sono dati una risposta circa la sua identità, a seconda della sensibilità di ciascuno, della loro posizione, dell’appartenenza religiosa o culturale: se andiamo nei capitoli precedenti, alcuni gli attribuiscono una peculiare autorità per i prodigi che compie, altri lo considerano addirittura un bestemmiatore emissario di Beelzebùl (cfr Mc 2,7; 3,22), mentre altri ancora, come abbiamo sentito, Giovanni Battista redivivo, Elia o uno dei profeti (cfr Mc 8,28). In quest’ultima risposta comunque Gesù viene identificato con figure del passato. Non si coglie la novità di Gesù, che è Gesù.
In quello scritto di chiaro riverbero autobiografico – trovato in archivio da don Francesco Michele Stabile l’anno scorso – dove si dà voce a don Puglisi, si legge, tra l’altro, che chi è chiamato a seguire Cristo “deve vivere del suo stesso respiro, porre i propri passi sulle Sue orme. E, se ti dovessi accorgere che queste orme conducono alla Croce, gioisci e fai come LUI ha fatto: dona la tua vita spontaneamente. Ricorda: dare la vita non è morire, ma è il massimo servizio che può e deve rendere un vero servo di DIO”.
Pino Puglisi lungo l’arco del suo ministero presbiterale come parroco e formatore di coscienze, soprattutto nell’ambito giovanile, ha oggettivamente posto chiari segni e parole di liberazione dall’oppressione mafiosa ma perché ha camminato come discepolo fedele dietro a Gesù, lo ha amato con tutto sé stesso, si è nutrito del suo Vangelo e lo ha annunziato da testimone autentico, da martire, fino al martirio di sangue. “Non sono un eroe – si legge ancora in quello scritto ritrovato –, non sono un prete antimafia. Sono solo un uomo, un battezzato che ha ricevuto la grazia di un ministero specifico: il sacerdozio”).
Oggi, alla luce di questa pagina evangelica, il Beato Martire Pino Puglisi ci chiede di rispondere alla domanda chi è Gesù per noi. Chi è Gesù per la Chiesa di Palermo, per le sue Comunità parrocchiali e religiose, per le Aggregazioni laicali, per i suoi confratelli presbiteri e diaconi che la servono uniti al Vescovo, chiamato – come successore degli apostoli, di quanti lo seguivano lungo la via verso Gerusalemme – a dire (annunciare) apertamente (con parresia) la Parola? Non possiamo permetterci come Pietro di mettere a tacere Gesù.
Siamo chiamati a stare nell’unica collocazione dei discepoli del Signore, dietro a lui (opíso mou dice Gesù, come a Pietro, a ogni discepolo: “dietro di me”!), a vivere “del respiro di Cristo”, ad assimilare la sua logica, a seguirlo fino al compimento dell’amore, del dono della vita per lui e per il Vangelo che è fonte di liberazione e di riscatto della vita degli uomini e delle donne chiamati da Dio Padre a vivere da figli liberi e ad ereditare la vita eterna, i Cieli nuovi e la Terra nuova. Dobbiamo annunziare a tutti e a tutte che siamo figli di Dio, che siamo amati da Dio fino a tanto, che siamo fratelli e sorelle e che dobbiamo amarci come Cristo ci ha amati, fino a tanto, fino a dare la vita per gli altri.
Il XXXI anniversario della sua uccisione per volontà e mano mafiosa ci sia di sprone a far nostra l’intenzionalità cristica, messianica, del presbitero di Brancaccio, del nostro fratello nel discepolato e nel presbiterato Giuseppe Puglisi, martire (testimone) di Cristo.
Questo tempo e questo territorio geografico ed esistenziale dove insiste la nostra Arcidiocesi ci chiedono una rinnovata energia missionaria, la gioia dell’annuncio del Vangelo che diventi proposta di vita e fonte di trasfigurazione della città umana segnata da profonde ferite. La Casa comune, la Terra, è corrosa dallo sfruttamento sconsiderato delle sue risorse e dalla mancanza di cura ecologica ed è sconvolta da una nuova guerra mondiale – la terza guerra mondiale, come ci ricorda Papa Francesco – al limite della guerra totale. Le nostre città sono travolte da una cultura dell’indifferenza, del profitto e della morte, dalla mancanza di un’etica sociale e pubblica, dalla violenza di strada, dallo spaccio delle nuove droghe che devastano i nostri giovani; sono sommerse dai rifiuti, ferite dalla mancanza di opportunità lavorative, dallo spopolamento, dalla dispersione scolastica, dalla marginalità periferica ed esistenziale che produce nuovi scarti umani.
Carissime, Carissimi è questo il luogo – l’Eucaristia, nella chiesa Cattedrale, di affidamento alla Santa e Beata Trinità del nuovo Anno pastorale nel giorno in cui facciamo memoria dell’uccisione del discepolo-prete-formatore-martire Giuseppe Puglisi – per assumerci l’impegno di una rinnovata evangelizzazione che prenda le mosse dalla vita della gente e dalle istanze dei territori parrocchiali. Ci attende la gioiosa sfida di recepire e attuare il nuovo Progetto Diocesano di Iniziazione Cristiana dei Fanciulli e dei Ragazzi per introdurre “alla fede cristiana le nuove generazioni anche in questo nostro tempo e in questo territorio diocesano pieno di sfide ma anche di nuove opportunità […] Ci è chiesto un nuovo e gioioso slancio missionario per iniziare all’incontro con Cristo nella Chiesa per il mondo che «Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). Siamo invitati ad essere creatori di futuro. Ad osare un nuovo inizio” (C. Lorefice, Introduzione, in PDICFR). Ci sostengano nel “realizzare una copiosa stagione pastorale” (Francesco, Messaggio per il IV Centenario del ritrovamento delle Reliquie di S. Rosalia) la custodia della Vergine Madre Addolorata, la fedele compagnia della Vergine Eremita S. Rosalia e la testimonianza Martiriale del Beato Pino Puglisi.
L’Anno Santo indetto da Papa Francesco sia foriero di rinnovate energie di fede e di santità.