1. Dal Cenacolo, dove ieri sera abbiamo contemplato l’amore senza fine di Gesù nell’istituzione dell’Eucaristia, siamo saliti sul Golgota e ora sostiamo davanti a lui per contemplarlo nell’unico e irripetibile sacrificio di amore che l’Eucaristia sacramentalmente ripresenta e riattualizza nei segni del pane e del vino.
È il Venerdì Santo: è il giorno della passione. Non si celebra l’Eucaristia. E la Chiesa, davanti alla morte del suo sposo, nel silenzio e nel digiuno, ascolta l’annunzio profetico e la narrazione storica della sua sofferenza, lo adora sulla Croce, lo invoca in una preghiera per tutti ai piedi della Croce e si unisce a lui nella comunione eucaristica, per aprirsi alla speranza che non delude.
2. L’annunzio profetico della sua gloriosa passione ci è stata data da Isaia nella prima lettura.
A distanza di sette secoli, il profeta descrive con impressionante coincidenza di fatti le sofferenze del misterioso servo di Jahvé, pienamente avveratesi in Cristo sofferente e glorificato.
Viene presentato come l’uomo dei dolori, tanto sfigurato che non ha più un aspetto d’uomo. Non ha apparenza né bellezza per attirare gli sguardi, né splendore per destare compiacenza.
Considerato come castigato e percosso da Dio, viene disprezzato e reietto dagli uomini fino ad essere ingiustamente condannato a morte, eliminato dalla terra dei viventi e sepolto con gli empi.
E tutto questo perché? Perché volontariamente si è caricato delle sofferenze del mondo e se ne è addossato i dolori. È stato trafitto per i nostri delitti e schiacciato per le nostre iniquità.
E con quale risultato? La liberazione dai peccati, la giustificazione dell’umanità: ‘Il giusto mio servo giustificherà molti, ha offerto se stesso in espiazione dei peccati. Per le sue piaghe tutti sono stati guariti’.
La sua passione, tuttavia, non è l’ultimo traguardo, perché sarà coronata dalla glorificazione: dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e avrà in premio le moltitudini, perché si è offerto da sé alla morte.
3. È quanto si è verificato nella passione di Gesù coronata dalla gloria della risurrezione. In questa luce ne abbiamo ascoltato il racconto dell’evangelista Giovanni. E’ l’ora di Gesù nella quale converge tutto il Vangelo.
Il racconto si apre con la triplice autoconfessione divina di Gesù in risposta ai soldati venuti per arrestarlo e ai quali spontaneamente si presenta: ‘Io Sono’. ‘Io Sono’ è il nome che Dio stesso ha rivelato a Mosé dal rovo ardente. Ed è così potente questa confessione della sua divinità che i soldati cadono a terra.
Sì! Gesù è ‘Io Sono’. È Dio.
Eppure subisce di tutto: il tradimento di Giuda, l’abbandono degli apostoli, il triplice rinnegamento di Pietro, l’ingiusto interrogatorio del Sinedrio,lo schiaffo del soldato, la consegna a Pilato come un malfattore, la doppiezza del procuratore romano che riconosce l’innocenza dell’accusato, ma prima lo fa flagellare, poi lo abbandona alla malvagità dei soldati che lo scherniscono coronandogli il capo di spine e coprendolo con un mantello di porpora e infine cede, per paura, al verdetto della folla, lo pospone all’assassinio Barabba e lo condanna a morte, e alla morte di croce.
4. Ma è proprio la Croce il trono della sua regalità dal quale, come aveva predetto, trae a sé tutti gli uomini.
È la Croce l’altare sul quale il nostro grande sommo sacerdote offre se stesso al Padre in sacrificio di espiazione dei nostri peccati.
È la Croce l’albero degno di reggere il nostro riscatto, che un porto prepara per noi, come arca di salvezza nel mondo.
Per questo, accogliamo fra poco la Croce come il trofeo della vittoria suprema riportata da Gesù sul peccato e sulla morte. Accogliamola come il segno della nostra redenzione e della nostra salvezza: ‘Ecco l’albero della Croce al quale fu appeso Colui che è la salvezza del mondo: venite, adoriamo’.
Sì, carissimi fratelli e sorelle, anche noi questa sera volgiamo lo sguardo a Colui che hanno trafitto, a Colui che abbiamo trafitto con i nostri peccati: lo facciamo non con la disperazione di Giuda, prigioniero del suo peccato, ma con la fiducia di Pietro nella sua misericordia infinita, più grande di ogni nostro peccato.
5. Alla fiducia ci ha invitati l’Autore della Lettera agli Ebrei nella seconda lettura. Dopo averci ricordato che il nostro sommo sacerdote Gesù sa compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa come noi, eccetto il peccato, ci ha detto: ‘Andiamo dunque con fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia ed essere aiutati nel momento opportuno’. Oggi, Venerdì Santo, è il momento più opportuno.
Il trono della grazia è la Croce, e chi ci dona la misericordia è il Crocifisso che fra poco sarà svelato è presentato alla nostra adorazione. Non sia un semplice rito, ma un segno forte con il quale intendiamo rinnovare la fede in lui, unica nostra salvezza, e come lui e in lui rinnovare l’obbedienza della fede al Padre nel fare la sua volontà sempre, ma soprattutto nelle circostanze dolorose della vita, come fonte di serenità e di gioia.
6. ‘Adoriamo la tua Croce, Signore, lodiamo e glorifichiamo la tua santa risurrezione. Dal legno della croce è venuta la gioia in tutto il mondo’. Sì, la Croce è fonte di gioia, per cui con S. Leone Magno dico a me e a voi: ‘La Croce di Cristo è l’altare del mondo. Accogliamo con cuore puro e libero la gioia della Croce’. Ciò significa accogliere con spirito di fede, giorno per giorno, la nostra porzione di sofferenza, per vincerla e trasfigurarla a contatto con la grazia del mistero pasquale.
È per questo che oggi, anche se non si celebra il sacrificio eucaristico, siamo invitati ad accostarci alla Mensa eucaristica per ricevere il corpo del Signore morto e risorto, come annunzio di risurrezione, pegno della gloria futura.
Ci sia di esempio nel cammino doloroso verso la gloria futura la Madre di Gesù che egli prima di morire ha donato a noi nella persona dell’apostolo Giovanni, come nostra madre e guida, come nostra Odigitria. Se ai piedi della Croce oggi la contempliamo Addolorata, nella nostra Cattedrale ogni giorno la contempliamo assunta in cielo e glorificata. È questo il messaggio del Venerdì Santo nel Triduo Pasquale.