OMELIA ARCIVESCOVO DI PALERMO
Unione Apostolica del Clero – Convegno Nazionale
Palermo – 26 novembre 2024
Chiesa Cattedrale
Benvenuti, carissimi presbiteri e diaconi della Federazione Italiana dell’Unione Apostolica del Clero. Saluto voi tutti con fraterno affetto, e particolarmente don Stefano Rosati, Presidente Nazionale UAC. Vi sono grato per aver scelto Palermo e la sua Chiesa come sede del Convegno Nazionale.
Nell’opera teatrale Il fiore del dolore, dedicata a don Giuseppe Puglisi, il poeta Mario Luzi fa dire ad un anziano: «Ci manca indicibilmente. Sì, era anche un maestro come tutti lo siamo l’uno all’altro, lui di più, secondo un suo carisma che ora dopo la morte è più manifesto. L’essere qui i raccolti in nome suo lo conferma come compagno assente, lo conferma nel suo carisma cristicamente» (p. 28).
Con lui, amico e compagno di cammino, reso assente dalla violenza degli uomini ma palesemente presente a motivo del suo supremo atto d’amore – particolarmente ‘narrato’ dal suo corpo custodito e venerato in questa Chiesa Cattedrale, ‘reale memoriale’ del martirio di Cristo –, condividiamo la visione evangelica di una Chiesa in diaconia del mondo; di comunità cristiane fraterne, animate da preti in comunione sacramentale effettiva ed affettiva che le aiutino a storicizzare creativamente l’unico ed esclusivo mandato che hanno l’obbligo di custodire e incrementare con solerte diligenza: condividere con tutti gli uomini, nella povertà dei mezzi e con la forza della mitezza, l’energia liberante e risanante dell’Evangelo del Regno.
Il Vangelo odierno e la testimonianza martiriale del Beato Puglisi ci confermano che il regno di Dio in questo mondo resterà sempre piccolo come un granellino di senape e mai darà spettacolo (cfr Lc 13,19; 17,21). Il tempio di pietra crolla, rimane insignificante per gli uomini e le donne del nostro tempo se i discepoli non crescono come «pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt 2,5). Crolla, se noi presbiteri, ‘anziani nel discepolato’ e per le nostre comunità non pasciamo il gregge di Dio che ci è «affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a noi affidate, ma facendoci modelli del gregge» 1Pt 5,2-3).
Gesù aveva appena cercato di trasmettere ai discepoli uno sguardo diverso sulla realtà, rivelando come il gesto apparentemente insignificante di una povera vedova che offre nei due spiccioli tutta la sua vita, sia in realtà più carico di valore agli occhi di Dio di tante offerte di ricchi e riti solenni nel tempio di Gerusalemme. Ed ecco che “alcuni” – certamente dei discepoli (cfr Mc 13,1) – si affrettano a cambiare argomento: sentono che il tono del discorso sta diventando troppo impegnativo. Subodorano che forse Gesù sta chiedendo anche a loro di comportarsi come quella vedova, che dona “tutta la sua vita”. E così in tutta fretta distolgono gli sguardi da quella povera donna per volgerlo di nuovo sulle “belle pietre” che adornano il tempio! La rapidità del cambiamento e la diversità di prospettiva impressionano. E questo la dice lunga su quanto i discepoli (di ogni tempo! Anche noi!), nonostante gli sforzi di Gesù, restino “ciechi” nel loro modo di pensare. Gesù vuole trasmette uno sguardo diverso sulla storia e sulla vita. Lo sguardo stesso di Dio, sulla vita, sulla vicenda umana, quella che scorre nelle concrete esistenze degli uomini e delle donne, nelle case, nei quartieri della casa comune, le nostre città e, soprattutto, nelle periferie urbane ed esistenziali. Lì dove lui abita, dove continua a porre la sua tenda fedele al suo nome: Emmanuele, Dio-con-noi.
Nei confronti della sua comunità Puglisi si riconosceva pastore e guida ma si considerava anche compagno di cammino. Come un pastore, viveva in funzione del gregge, pienamente coinvolto nella vita del quartiere. Esprimeva una solidarietà radicale e condivideva tutto con la sua gente, nella consapevolezza che pastore e gregge sono indissolubilmente legati e correlati nell’alveo della comunione ecclesiale: «Il presbitero – così si esprimeva in una meditazione –, è colui che (lo dice il termine) è anziano nel popolo di Dio, ma “anziano” logicamente non come anzianità anagrafica, ma come esperienza di fede, di amore verso Dio, di comunione con i fratelli. Il presbitero ha il compito di essere segno della presenza di Cristo, pastore e guida, nella Chiesa in dipendenza dal Vescovo. Il presbitero è al servizio della comunità» (Dio mi affida una missione d’amore).
Per ogni discepolo, e molto più per ogni discepolo-prete, la chiamata cristiana si esplicita in termini inequivocabili di servizio. Dentro questa comune vocazione don Puglisi comprendeva il ministero (servizio!) presbiterale:
«Ogni cristiano è chiamato ad essere al servizio degli altri, però ci sono alcuni che, in certo senso, coordinano i servizi e diventano stimolo per tutta la comunità per un servizio costante, più efficiente […]. Certamente la funzione può essere diversa come nel corpo, i muscoli del cuore non sono costituiti da elementi più preziosi di quelli di cui sono costituiti i muscoli del braccio ma la funzione sì, senza il braccio posso continuare a vivere, ma senza il cuore credo di no» (Dio mi affida una missione d’amore). Il cuore. Un amore più grande!
Don Pino, il presbitero Puglisi, si è posto sulle stesse orme di Cristo il «Testimone fedele, Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» (Ap 1,6). Sarà Gesù, riconosciuto Cristo, Messia, a motivare la scelta di vita di don Pino.
In un testo di chiaro riverbero autobiografico trovato da in una carpetta in Curia a Palermo – non abbiamo la certezza che sia stato lui stesso a redigerlo –, don Puglisi dice: «Nella mia vita, infatti, ho cercato di porre attenzione innanzitutto ai bisogni dell’uomo per poi poterlo mettere nelle condizioni di poter abbracciare “liberamente” la fede nell’unico Dio che io annuncio. […] mi sono detto: “Cristo, quando è venuto, non ha forse mangiato con i pubblicani e si è visto in compagnia dei peccatori?”. Mio ideale era quello di imitare il Maestro. Sì, essere occhio per il cieco, piede per lo zoppo, seme di una nuova cultura della legalità illuminata dalla fede. Queste le linee di massima, le linee in cui mi muovo. Queste le linee adottate a Godrano, al CDV dove cercavo di aiutare i giovani, poveri giovani, a fare chiarezza dentro di loro almeno per poter capire a cosa il Signore li chiamava. Questo ho fatto anche in seminario dove sono stato accolto come padre spirituale. Queste le linee adottate a Brancaccio nella parrocchia di San Gaetano. A Brancaccio io ho anche la mia casa e la sera quando rientro mi piace starmene un poco in silenzio per strada prima di entrare. Lo faccio per ascoltare, è infatti alla sera, quando si spengono i rumori della giornata, che nell’aria si respira la sofferenza, l’ingiustizia, il bisogno degli uomini e il bisogno dei piccoli[1]. […] Ecco… ultimamente ho ricevuto minacce al telefono e a due dei miei collaboratori hanno incendiato il portone di casa. Il messaggio è chiaro, ma io non posso non annunciare il REGNO DI DIO e quindi continuo, non senza prendere le giuste precauzioni. Ho allontanato dalla mia casa i collaboratori e gli amici che spesso venivano a trovarmi, temo per loro. Per me non temo: “il massimo che possono farmi è ammazzarmi. E allora? Io non ho moglie né figli”. Non sono un eroe, né un prete antimafia. Sono solo un uomo, un battezzato che ha ricevuto la grazia di un ministero specifico: il Sacerdozio. Chi sono dunque? Un pastore, uno di quei pastori di cui parla la Bibbia. Quei pastori che camminano innanzi alle pecore per tracciare loro la strada. Questo genere di pastore affronta i pericoli e difendere le sue pecore per condurle al pascolo abbondante. Questo genere di pastore ha un solo modello: Gesù Cristo. Imitare Gesù Cristo oggi non vuol dire vestire come Lui o cose simili, ma chi è chiamato a farlo deve vivere del suo stesso respiro, porre i propri passi sulle sue orme. E, se ti dovessi accorgere che queste orme conducono alla Croce, gioisci e fai come LUI ha fatto: dona la tua vita spontaneamente. Ricorda: dare la vita non è morire, ma il massimo servizio che può rendere un vero servo di Dio».
La sua testimonianza di un ‘amore più grande’ guidi rinvigorisca il nostro ministero.
[1] «Carissimo. Mi ha commosso la tua omelia. Non conoscevo il documento di 3P che hai letto ma mi ha svegliato un ricordo che mi ha fatto scappare 2 lacrime. Una sera, dopo un lungo incontro con i giovani della FUCI, a Brancaccio, Pino Puglisi mi chiese: “Mi accompagni a casa? A piedi però e in silenzio. E intanto ascoltiamo”. Io non capii e lo accompagnai fino a casa. Ho capito solo ora. Grazie!» (Gregorio Porcaro, SMS al Vescovo del 21.10. 2023 dopo l’omelia nell’Eucaristia della Memoria liturgica del Beato Giuseppe Puglisi Sacerdote e Martire, al termine dall’Assemblea Pastorale Diocesana).