Cattedrale di Palermo
15-07-2015
Omelia di S.E. Card. Paolo Romeo
Arcivescovo Metropolita di Palermo
Solennità di S. Rosalia
Cattedrale, 15 luglio 2015
Arcivescovo Metropolita di Palermo
Solennità di S. Rosalia
Cattedrale, 15 luglio 2015
Figli e figlie miei carissimi,
ancora una volta Rosalia ci convoca in questa Cattedrale, non per fare soltanto festa a lei, ma insieme con lei celebrare l’amore del Padre, fonte di ogni santità, così come il sacerdote dice nella preghiera eucaristica, durante la Messa.
Ringrazio tutti voi per essere presenti così numerosi alla nostra festa patronale, ringrazio le Autorità di ogni ordine e grado, ringrazio quanti ci ascoltano tramite le onde della nostra radio diocesana che mi permette, in questo momento, di portare il mio abbraccio paterno agli anziani e, a quanti impediti dalla malattia, non possono unirsi fisicamente a questa liturgia.
Per la nostra chiesa di Palermo, oggi è festa, una festa che porta, in mezzo alle difficoltà e alle sofferenze con le quali ogni giorno ci scontriamo, una certezza: solo l’amore salva! Ebbene sì, cari fratelli e sorelle. È l’amore che Dio ha riversato nei nostri cuori che ha la forza di trasformare la nostra vita e trasfigurarla, renderla bella come quella della nostra amatissima Santuzza che oggi veneriamo con tanto affetto.
L’inno che siamo soliti intonare ripetutamente durante questi giorni, paragona Rosalia ad un “giglio candido, spruzzato d’or”, riferendosi probabilmente al fiore della pomelia, pianta molto diffusa nella nostra città, caratterizzata da un fiore bianco con delle sfumature d’orate al centro. Molteplici sono i significati di questo fiore: esso rimanda all’amicizia, all’accoglienza e alla purezza, e in alcuni paesi è utilizzato per adornare il luogo delle nozze.
Sono proprio le mistiche nozze che noi oggi celebriamo tra Rosalia e il Signore, questa unione intima che ha generato santità.
Proprio la prima lettura che abbiamo ascoltato tratta dal Cantico dei Cantici, ha fatto riecheggiare nel nostro cuore quei sentimenti di amore che intercorrono tra l’amata e l’amato, con una dinamicità, che rende quasi visibile la scena tra i due: l’andare l’uno incontro all’altra con un cuore ardente d’amore. Ed è proprio questo verbo, “alzati” coniugato all’imperativo, che sento rivolto anche a noi, a questa comunità diocesana, a questa amatissima città di Palermo.
Alzarsi perché abbiamo sentito una chiamata, un appello! Alzarsi perché è il Signore che ci chiama a venire fuori dalle nostre paure, dalle insicurezze, dai peccati, dalle fragilità umane… E questo non perché possiamo fare gli eroi! Rosalia è stata una ragazza normale, anche lei con la sua umanità con la quale confrontarsi, con le sue paure, con una famiglia a cui rispondere alla quale far comprendere cosa il Signore stava operando nella sua vita…
Così anche noi, siamo chiamati a compiere un cammino di conversione continua, con la certezza che il Signore non chiama i capaci, ma rende capaci coloro che chiama, a condizione che vi sia un animo disponibile all’azione trasformante della grazia.
Pertanto dobbiamo fare attenzione, cari fratelli e sorelle, a ciò che può impedirci di alzarci: non importa quanto tempo occorra, ma la volontà di ognuno nel farlo: il Signore rispetta i nostri tempi, ma vuole vedere quei piccoli passi compiuti verso di Lui.
Ed ecco nella seconda lettura, San Paolo mette in guardia i Corinzi da chi si reputa superiore. Non è chi si auto-raccomanda che riceve credito, bensì colui che è raccomandato dal Signore. Non basta “conoscere se stessi” come ci ricorda l’Oracolo di Delfi, né tanto meno cercare un modello umano da seguire, bensì è necessario conferire spazio alla grazia del Signore che elegge ognuno, senza alcun merito, per esercitare un ministero in vista del bene proprio e di quello della comunità in cui si opera. In realtà, soltanto il Signore conosce la nostra statura interiore, più di quanto ognuno di noi conosca se stesso: egli è «intimior intimo meo» dirà sant’Agostino.
Pertanto i luoghi principali in cui è dato ai credenti di riconoscere la propria statura interiore in vista della valorizzazione dei carismi e dei ministeri ricevuti dallo Spirito sono: la conoscenza di sé, l’imitazione di quanti prima di noi e con noi condividono un ministero, la Parola di Dio e il rapporto di fede con Cristo, alimentato dalla preghiera, e la comunità ecclesiale nella quale si è posti come membra vive, scelte per amarsi vicendevolmente.
Sono queste alcune delle caratteristiche che hanno animato la nostra Rosalia e che devono incoraggiare anche noi, a vivere una vita autenticamente cristiana, una vita come “vergini caste”. Essere casti, così come ci ha ricordato Papa Francesco recentemente a Torino incontrando i giovani, vuol dire custodirsi, non disperdersi, consegnare la parte migliore di sé al Signore affinché Egli la possa valorizzare nei tempi e nei modi opportuni, vivere quelle relazioni così come il Signore le ha concepite, nel dono autentico di sé, vero, e non ottenebrato dal piacere fine a sé stesso. È una scelta impopolare, parlare di castità, ci ricorda il Santo Padre, così com’è stata impopolare la scelta di Rosalia, abbandonando la corte normanna per rispondere al progetto di santità di Dio sulla sua vita.
Ecco allora, la pagina del Vangelo delle vergini prudenti, le quali hanno compreso che per essere costantemente vigilanti, occorre premunirsi dell’olio. È proprio l’immagine dell’olio che ci aiuta a capire la sua necessità per poter far ardere una lampada. Anche la nostra vita è una lampada, la quale ha bisogno di un olio particolare per ardere: quello dell’incontro con il Signore, con lo Sposo.
Questo incontro, come ci testimonia Rosalia, può essere solo nutrito dalla preghiera, ovvero da quella relazione fondamentale che ci permette di vivere la stessa vita divina di Dio, che ci permette di vivere in fraternità tra di noi, che ci aiuta ad avere uno sguardo generoso e accogliente sul mondo, guardando con occhio compassionevole e misericordioso chi si trova nell’indigenza e nella difficoltà, non nell’ottica della indifferenza, ma nella prospettiva globalizzante della speranza!
È questo il senso del Festino che stiamo celebrando: facciamo festa perché Rosalia si è fidata di Dio dandoci un esempio credibile di vita cristiana. Anche noi, allora dobbiamo invocare la Santuzza nel fidarci, come lei, del Signore, nel renderci prudenti, non sprecando le occasioni di santità che il Signore ci pone sul nostro cammino, prudenti nell’evitare le occasioni di male e di corruzione e, direi, cari fratelli e sorelle, furbi, nel portare con noi l’olio per non rimanere a brancolare nel buio della nostra autoreferenzialità.
Profittiamo, allora, della potente ed efficace intercessione di Rosalia, affinché possiamo vivere vigilando, in attesa di uno Sposo che in realtà è già qui, perché come dice Papa Francesco, «il Signore ci primerea sempre», ci precede, è in mezzo a noi nel sacramento dell’eucaristia che stiamo celebrando e nel sacramento del povero che incontriamo quotidianamente fuori da questa Cattedrale.
Ritornando alla pomelia, il fiore di cui vi parlavo all’inizio, chiediamo a Rosalia di farci anche noi profumare di santità, per poter rinnovare quell’unzione odorosa del crisma che abbiamo ricevuto il giorno del nostro battesimo, emanando così lo stesso profumo di Cristo.
Ed infine, non possiamo non affidarci a lei con quel grido unanime che parla di noi palermitani, che narra la nostra storia e la nostra fede, con quelle parole che all’unisono dichiarano la nostra appartenenza a questa città e alla Santuzza; diciamo allora insieme: VIVA PALERMO E SANTA ROSALIA!
E così sia.
ancora una volta Rosalia ci convoca in questa Cattedrale, non per fare soltanto festa a lei, ma insieme con lei celebrare l’amore del Padre, fonte di ogni santità, così come il sacerdote dice nella preghiera eucaristica, durante la Messa.
Ringrazio tutti voi per essere presenti così numerosi alla nostra festa patronale, ringrazio le Autorità di ogni ordine e grado, ringrazio quanti ci ascoltano tramite le onde della nostra radio diocesana che mi permette, in questo momento, di portare il mio abbraccio paterno agli anziani e, a quanti impediti dalla malattia, non possono unirsi fisicamente a questa liturgia.
Per la nostra chiesa di Palermo, oggi è festa, una festa che porta, in mezzo alle difficoltà e alle sofferenze con le quali ogni giorno ci scontriamo, una certezza: solo l’amore salva! Ebbene sì, cari fratelli e sorelle. È l’amore che Dio ha riversato nei nostri cuori che ha la forza di trasformare la nostra vita e trasfigurarla, renderla bella come quella della nostra amatissima Santuzza che oggi veneriamo con tanto affetto.
L’inno che siamo soliti intonare ripetutamente durante questi giorni, paragona Rosalia ad un “giglio candido, spruzzato d’or”, riferendosi probabilmente al fiore della pomelia, pianta molto diffusa nella nostra città, caratterizzata da un fiore bianco con delle sfumature d’orate al centro. Molteplici sono i significati di questo fiore: esso rimanda all’amicizia, all’accoglienza e alla purezza, e in alcuni paesi è utilizzato per adornare il luogo delle nozze.
Sono proprio le mistiche nozze che noi oggi celebriamo tra Rosalia e il Signore, questa unione intima che ha generato santità.
Proprio la prima lettura che abbiamo ascoltato tratta dal Cantico dei Cantici, ha fatto riecheggiare nel nostro cuore quei sentimenti di amore che intercorrono tra l’amata e l’amato, con una dinamicità, che rende quasi visibile la scena tra i due: l’andare l’uno incontro all’altra con un cuore ardente d’amore. Ed è proprio questo verbo, “alzati” coniugato all’imperativo, che sento rivolto anche a noi, a questa comunità diocesana, a questa amatissima città di Palermo.
Alzarsi perché abbiamo sentito una chiamata, un appello! Alzarsi perché è il Signore che ci chiama a venire fuori dalle nostre paure, dalle insicurezze, dai peccati, dalle fragilità umane… E questo non perché possiamo fare gli eroi! Rosalia è stata una ragazza normale, anche lei con la sua umanità con la quale confrontarsi, con le sue paure, con una famiglia a cui rispondere alla quale far comprendere cosa il Signore stava operando nella sua vita…
Così anche noi, siamo chiamati a compiere un cammino di conversione continua, con la certezza che il Signore non chiama i capaci, ma rende capaci coloro che chiama, a condizione che vi sia un animo disponibile all’azione trasformante della grazia.
Pertanto dobbiamo fare attenzione, cari fratelli e sorelle, a ciò che può impedirci di alzarci: non importa quanto tempo occorra, ma la volontà di ognuno nel farlo: il Signore rispetta i nostri tempi, ma vuole vedere quei piccoli passi compiuti verso di Lui.
Ed ecco nella seconda lettura, San Paolo mette in guardia i Corinzi da chi si reputa superiore. Non è chi si auto-raccomanda che riceve credito, bensì colui che è raccomandato dal Signore. Non basta “conoscere se stessi” come ci ricorda l’Oracolo di Delfi, né tanto meno cercare un modello umano da seguire, bensì è necessario conferire spazio alla grazia del Signore che elegge ognuno, senza alcun merito, per esercitare un ministero in vista del bene proprio e di quello della comunità in cui si opera. In realtà, soltanto il Signore conosce la nostra statura interiore, più di quanto ognuno di noi conosca se stesso: egli è «intimior intimo meo» dirà sant’Agostino.
Pertanto i luoghi principali in cui è dato ai credenti di riconoscere la propria statura interiore in vista della valorizzazione dei carismi e dei ministeri ricevuti dallo Spirito sono: la conoscenza di sé, l’imitazione di quanti prima di noi e con noi condividono un ministero, la Parola di Dio e il rapporto di fede con Cristo, alimentato dalla preghiera, e la comunità ecclesiale nella quale si è posti come membra vive, scelte per amarsi vicendevolmente.
Sono queste alcune delle caratteristiche che hanno animato la nostra Rosalia e che devono incoraggiare anche noi, a vivere una vita autenticamente cristiana, una vita come “vergini caste”. Essere casti, così come ci ha ricordato Papa Francesco recentemente a Torino incontrando i giovani, vuol dire custodirsi, non disperdersi, consegnare la parte migliore di sé al Signore affinché Egli la possa valorizzare nei tempi e nei modi opportuni, vivere quelle relazioni così come il Signore le ha concepite, nel dono autentico di sé, vero, e non ottenebrato dal piacere fine a sé stesso. È una scelta impopolare, parlare di castità, ci ricorda il Santo Padre, così com’è stata impopolare la scelta di Rosalia, abbandonando la corte normanna per rispondere al progetto di santità di Dio sulla sua vita.
Ecco allora, la pagina del Vangelo delle vergini prudenti, le quali hanno compreso che per essere costantemente vigilanti, occorre premunirsi dell’olio. È proprio l’immagine dell’olio che ci aiuta a capire la sua necessità per poter far ardere una lampada. Anche la nostra vita è una lampada, la quale ha bisogno di un olio particolare per ardere: quello dell’incontro con il Signore, con lo Sposo.
Questo incontro, come ci testimonia Rosalia, può essere solo nutrito dalla preghiera, ovvero da quella relazione fondamentale che ci permette di vivere la stessa vita divina di Dio, che ci permette di vivere in fraternità tra di noi, che ci aiuta ad avere uno sguardo generoso e accogliente sul mondo, guardando con occhio compassionevole e misericordioso chi si trova nell’indigenza e nella difficoltà, non nell’ottica della indifferenza, ma nella prospettiva globalizzante della speranza!
È questo il senso del Festino che stiamo celebrando: facciamo festa perché Rosalia si è fidata di Dio dandoci un esempio credibile di vita cristiana. Anche noi, allora dobbiamo invocare la Santuzza nel fidarci, come lei, del Signore, nel renderci prudenti, non sprecando le occasioni di santità che il Signore ci pone sul nostro cammino, prudenti nell’evitare le occasioni di male e di corruzione e, direi, cari fratelli e sorelle, furbi, nel portare con noi l’olio per non rimanere a brancolare nel buio della nostra autoreferenzialità.
Profittiamo, allora, della potente ed efficace intercessione di Rosalia, affinché possiamo vivere vigilando, in attesa di uno Sposo che in realtà è già qui, perché come dice Papa Francesco, «il Signore ci primerea sempre», ci precede, è in mezzo a noi nel sacramento dell’eucaristia che stiamo celebrando e nel sacramento del povero che incontriamo quotidianamente fuori da questa Cattedrale.
Ritornando alla pomelia, il fiore di cui vi parlavo all’inizio, chiediamo a Rosalia di farci anche noi profumare di santità, per poter rinnovare quell’unzione odorosa del crisma che abbiamo ricevuto il giorno del nostro battesimo, emanando così lo stesso profumo di Cristo.
Ed infine, non possiamo non affidarci a lei con quel grido unanime che parla di noi palermitani, che narra la nostra storia e la nostra fede, con quelle parole che all’unisono dichiarano la nostra appartenenza a questa città e alla Santuzza; diciamo allora insieme: VIVA PALERMO E SANTA ROSALIA!
E così sia.