Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – Ordinazioni Diaconali

Chiesa Cattedrale
19-11-2011
Ez 34,11-12.15-17; Sal 22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25, 31-46
    1. Al termine dell’anno liturgico la Chiesa ci invita ad assumere un duplice sguardo: da un lato guardiamo alla storia e al cammino dell’uomo; dall’altro al suo compimento definitivo. In questo duplice sguardo, che cerca di leggere insieme il presente ed il futuro del’uomo, il Vangelo di Gesù, ci aiuta a capire fondamentalmente una cosa: e cioè che nel compimento della storia, la fine appunto, si rivela il suo orientamento, la sua finalizzazione, il suo senso, il fine, appunto.
    Il presente viene illuminato dal compimento futuro, e la pienezza futura è preparata dalla qualità di questo ‘frattempo’ di attesa che l’uomo è chiamato a vivere tutto orientato verso la manifestazione gloriosa del Salvatore.
    Come dire che il Regno di Dio si compie definitivamente alla fine dei tempi solo perché lo si è costruito pazientemente nel tempo.
    Tutto questo ci viene meglio rivelato dal percorso che la liturgia ci ha fatto fare nelle due domeniche precedenti la festa di Cristo Re. Abbiamo visto l’attesa prudente di quelle vergini che, ben consapevoli della possibilità del ritardo dello sposo, provvedono per tempo alle loro lampade con una riserva di olio ‘in piccoli vasi‘ (cf. Mt 25,4). Ed abbiamo anche visto l’attesa operosa di quei servi che, ricevendo i talenti ‘secondo la capacità di ciascuno‘ (cf. Mt 25,15), li impiegano per farli fruttificare e renderli con l’interesse al ritorno del padrone.
    In entrambi i casi il presente dei protagonisti è caratterizzato da un’assunzione di responsabilità, da un’attesa responsabile e, per così dire, da un’attenta responsabilità. Un’attesa che dà un senso al presente alla luce del futuro incontro con il Kyrios. Il presente diventa così una vera occasione di vita!
    La conclusione dell’anno liturgico, dunque, più che un tempo di bilanci ‘ come tutte le conclusioni temporali ‘ ci dice molto di più: ci dice che un buon bilancio della vita si dovrà e si potrà fare solo alla luce di un vissuto pieno, intenso, denso del senso di Dio e dell’incontro anticipato con lui.

    2. Il percorso unitario delle tre domeniche dell’anno liturgico si conclude con la solennità di Cristo Re, che oggi la Chiesa ci fa celebrare. Il compimento della storia viene vividamente rappresentato nel brano evangelico che abbiamo ascoltato. È l’incontro di Gesù per coloro che lo hanno atteso e sono vissuti nell’amore. Ed è il giudizio per coloro che lo hanno rifiutato nei fratelli più piccoli: ‘Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunai tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà’‘ (cf. Mt 25,31-34).
    L’evangelista Matteo ci presenta Gesù insieme come pastore, re e giudice.
    Cristo, infatti, si rivela in primo luogo come il compimento della profezia di Ezechiele: ‘Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano state disperse’‘ (Ez 34,12). Una profezia che mostra l’amorevole cura del Signore per il suo gregge, e la conoscenza diretta di ciascuna delle sue pecore, piena di attenzione e di sollecitudine.
    Solo in virtù di questo rapporto il pastore può raccogliere le pecore in unità ma anche dare per ciascuna di esse un giudizio definitivo: ‘Io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri‘ (cf. Ez 34,17).
    Un giudizio che viene anche da un rapporto, stretto con definitività. Per questo il pastore e giudice è anche re. Un re glorioso, che viene ‘nella sua gloria‘ e siede ‘sul trono della sua gloria‘, e che ‘ in quanto Dio ‘ può consegnare l’uomo all’eternità: ‘E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna‘ (Mt 25,46).
    Il pastore che giudica alla fine dei tempi è dunque il Risorto. La sua regalità viene dalla sua vittoria sul peccato e sulla morte, quando ha riconquistato l’umanità alla vita eterna, strappandola dalla definitività della condanna. E questa vittoria si manifesterà pienamente ‘ ci dice San Paolo nelle seconda lettura ‘ quando ‘consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza‘ (1Cor 15,24). Il regno e la vittoria di Cristo saranno definitivi quando il frutto del suo sacrificio ci innesterà pienamente nella vita.

    3. Questo quadro, mentre descrive Cristo e la sua regalità, getta anche luce preziosa sul nostro ‘frattempo’, dandoci la definitiva chiave di lettura della responsabile attesa di cui viviamo.
Il giudizio finale del Re-Pastore si gioca, cioè, sulla serietà del nostro presente. La fine dipende da un ‘oggi‘ finalizzato, orientato nella carità. ‘Oggi‘ ci vengono poste davanti tutte le possibilità di fare il bene, di sposarlo nelle scelte, di renderci attenti e disponibili nei confronti di uomini e donne piccoli che ci stanno accanto. In una parola: ‘oggi’ è il tempo di amare e servire per amore. Il Re-Pastore ci giudicherà solo su questo.
    Perché? Perché egli si trova lì, in coloro che ama chiamare: ‘questi miei fratelli più piccoli‘ (cf. Mt 25,40). Ai credenti chiede di continuare ad incontrarlo proprio in essi, e lancia loro la sfida: che proprio in essi gli uomini colgano la capacità di dare senso alla vita, uscendo da se stessi ed operando il bene in loro favore.
    La regalità di Cristo ‘non è di questo mondo‘ (cf. Gv 18,36): non ha nulla a che vedere con l’elemento storico-politico. Essa non vive di onore, che sarà solo ‘ ci dice Paolo ‘ una prerogativa degli ultimi tempi. Essa trae linfa dall’esempio di Gesù: per primo, infatti, si è chinato sui suoi ‘fratelli più piccoli‘, fino a dare la vita per tutti. La regalità, come Cristo ce la consegna, nasce dal servizio. E la nostra regalità ‘ che ci viene donata nel Battesimo ‘ si alimenta della sua vita di Servo e ne imita i tratti nell’incontro sugli altri.
    Il Re, dunque, ci giudicherà in base a come abbiamo vissuto la nostra regalità nel quotidiano, ossia in base a quanto abbiamo saputo elevare a nobiltà d’incontro con lui e con i ‘suoi fratelli più piccoli’, il quotidiano incontro con gli altri facendoli diventare ‘nostri fratelli più piccoli’.
    Il Concilio Vaticano II parla di questa regalità che Cristo trasmette a tutti i membri del popolo santo di Dio, a tutti coloro che sono stati innestati in lui mediante il Battesimo: ‘Cristo, che si è fatto obbediente fino alla morte e perciò è stato esaltato dal Padre, è entrato nella gloria del suo regno; a lui sono sottomesse tutte le cose, fino a che egli sottometta al Padre se stesso e tutte le creature, affinché Dio sia tutto in tutti. Questo potere egli l’ha comunicato ai discepoli, perché anch’essi siano costituiti nella libertà regale e con l’abnegazione di sé e la vita santa vincano in se stessi il regno del peccato, anzi servendo a Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducano i loro fratelli al re, servire al quale è regnare. Il Signore infatti desidera dilatare il suo regno, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, d’amore e di pace‘ (LG 36).
    Un progetto di tutta una vita, nella responsabilità della prudenza e dell’operosità che ci sono state ricordate nelle domeniche passate e di cui oggi vediamo come il traguardo.

    4. Per alcuni questa regalità, per la misteriosa opera dell’effusione dello Spirito Santo, diviene stato di vita. Ed ecco la gioia e la trepidazione per Settimo, Angelo, Vincenzo, Onofrio, Filippo, Salvatore, Angelo, e Francesco che questa sera vengono ordinati diaconi della nostra Chiesa di Palermo. Il presente di servizio, la regalità battesimale innestata nella kenosis di Cristo, diventa per essi missione di tutta la vita, la loro stessa vita. Non più un servizio vissuto solo come stile personale, fatto di gesti e opere che sgorgano dalla vita di grazia che si fa quotidiano, ma un agire in persona Christi Servi, nella persona di Cristo Servo.
    Il diaconato è nella Chiesa un segno sacramentale specifico di Cristo Servo. Per i diaconi, come diceva il Beato Giovanni Paolo II, la vocazione alla santità comporta la «sequela di Gesù in questo atteggiamento di umile servizio che non si esprime soltanto nelle opere di carità,ma investe tutto il modo di pensare e di agire» (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 20 ottobre 1993).
    Non si tratta più dunque di un servire che si basa sul dono-compito battesimale, ma di un servire che trae origine dall’effusione dello Spirito che opera una nuova conformazione della vostra vita, specie negli ambiti laicali nei quali, da diaconi permanenti, continuerete a svolgere la vostra missione e ad incontrare i fratelli.
    Come spesso dico, da oggi lo Spirito Santo, per puro dono di grazia, vi fa fare un passo in avanti nel coinvolgimento personale, un passo che vi fa stare sulla prima linea del servizio, quella in cui è più possibile un incontro autentico con i fratelli. Una prima linea che non si caratterizza per onori o appellativi, ma per quello stare in ginocchio del Maestro che lava i piedi ai suoi, in atteggiamento di umile carità e di generosa disponibilità.
    «Con l’aiuto di Dio e di Gesù Cristo nostro Salvatore, noi scegliamo questi nostri fratelli per l’ordine del diaconato». Sono le parole che sono state pronunciate a nome della Chiesa dopo la vostra presentazione e che ha udito anche la corona di familiari, amici, membri delle vostre comunità parrocchiali e delle aggregazioni di fedeli guidati da sacerdoti. Dicono a voi e a tutti che siete stati scelti. Siete stati più propriamente presi a servizio. Sarà utile ricordarvelo spesso: non basta la propria disponibilità personale che pure è stata manifestata nel cammino di discernimento di questi anni ‘ e desidero ringraziare a tal proposito Mons. Gioacchino Gammino che ha curato più direttamente l’accompagnamento e la formazione di questi uomini ‘ non basta lo slancio forse anche emozionale anche se sincero, ma occorre la scelta ispirata che la Madre Chiesa compie attraverso tutte le sue mediazioni.
    Per questo motivo, nel dono dell’ordine sacro, questa sera il vostro servizio personale assume un orizzonte essenzialmente più ampio. Diventate infatti il volto sollecito della Chiesa nei confronti dei ‘fratelli più piccoli‘, ossia dei piccoli della comunità ecclesiale, specie i poveri, gli emarginati e gli ammalati. Vivete la vostra diaconia solo perché la Chiesa vive la sua, quella che manifesta Cristo Servo in mezzo alla gente. La vostra diaconia dunque, è quella di Cristo Signore e Servo e quella di tutta la Chiesa che don Tonino Bello amava chiamare la ‘Chiesa del grembiule’.
    Mi pare questo il contesto di senso nel quale va inserito a pieno titolo il gesto delle vostre mani poste nelle mie, quando vi chiederò: ‘Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto ed obbedienza?‘. Con questo gesto sposerete l’atteggiamento di chi si pone in discussione, di chi vive ascoltando, sì, tutte quelle esigenze che provengono dalla grande famiglia della Chiesa, dal mondo che vi circonda, dalle povertà emergenti, ma secondo il carisma pastorale del Vescovo diocesano, Padre e Pastore di questa porzione del popolo santo di Dio.
    Per questo, per quelli di voi che hanno la gioia di aver costruito una famiglia nella vocazione matrimoniale, esprimiamo la nostra gratitudine alle mogli ed ai figli che hanno anche loro accolto questa vocazione diaconale del marito e padre con magnanimità e che si impegnano ad assecondarla anche con sacrificio perché essa diventi ora parte essenziale della loro vita come vocazione. A Filippo, la cui vocazione diaconale si innesta su quella al celibato apostolico, ricordiamo soltanto che il Signore non farà mancare la grazia e il sostegno alla sua risposta generosa e totale.

    5. Così, carissimi Settimo, Angelo, Vincenzo, Onofrio, Filippo, Salvatore, Angelo, e Francesco, la Chiesa vi affida stasera il servizio della Parola, perché la possiate proclamare e spezzare per i fratelli. Vi verrà consegnato l’Evangeliario, perché l’annuncio del Vangelo avvenga dall’ambone quotidiano della vostra vita, nella testimonianza esplicita e cristallina di tutta la vostra esistenza. Siate dunque Vangelo vivo, per la vostra salvezza e per la salvezza dei fratelli!
    Vi sarà affidato anche il servizio dell’Altare, altra mensa in cui, collaborando fedelmente con l’ordine sacerdotale, vi dedicherete a preparare il nutrimento vitale, l’Eucaristia, per la comunità. Anche questa consegna trasformi l’intera vostra vita, perché, da ministri del Corpo e del Sangue di Cristo, possiate renderla eucaristica lode a Dio.
    Infine la vostra esistenza viene sigillata dalla missione della carità. Essa diviene concreta finalizzazione di tutto l’aspetto liturgico-cultuale. ‘Tutto quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me‘ (cf. Mt 25,40). Ma potrete fare ai fratelli solo se la vostra carità partirà dall’essere profondamente toccati dalla preghiera, in particolare quella liturgica, e dalla graduale identificazione con Gesù Cristo, nella disponibilità all’azione trasformante dello Spirito. La carità che sarete chiamati ad operare nel nome di Cristo e della Chiesa sia l’approdo naturale della vostra vita nello Spirito, il sigillo dell’esistenza, l’esperienza quotidiana dell’incontro con Cristo, per voi e per i fratelli.

    6. A conclusione, desidero porvi ai piedi della Vergine Maria. Il vostro percorso esistenziale ed ecclesiale l’ha conosciuta come Madre tenera e Donna forte. Il vostro servizio diaconale deve continuare a frequentarne la sperimentata protezione. Perché se è vero che, quale Madre della Chiesa, Maria segue i passi di tutte le membra del Corpo Mistico di Cristo, perché continua a ‘gestarlo’ in modo misterioso, è anche vero che accompagna particolarmente coloro che si prendono cura delle membra più fragili e più povere della Comunità.
    Alla Vergine Santa, Madre dei fratelli di Gesù, specie dei ‘più piccoli‘, affido i nostri cammini ecclesiali, che, da stasera, verranno impreziositi dalla vostra generosa diaconia, fecondata dallo Spirito Santo perché sia densa di novità di vita e di ricca dell’opera buona della carità.