Riempie di gioia il mio cuore di padre e Pastore di questa Chiesa di Palermo, potervi incontrare di nuovo all’inizio di questo anno accademico 2012-13.
Sin dall’inizio della mia missione in questa Arcidiocesi restai impressionato dal dato dei più di 65 mila studenti universitari! (I dati ne riportano oggi 56 mila’). Quello era più che un dato! Colsi che dovevamo ripensare che cosa la Chiesa poteva dare al mondo degli universitari’ E cosa ‘ a sua volta ‘ ne poteva ricevere’ Colsi una sfida molto bella, una sfida d’amore. E in questi anni abbiamo fatto molta strada. Ringrazio quindi voi tutti e in modo speciale p. Alberto Avi, che si dedica con cura e passione alla Cappellania Universitaria, e quanti hanno collaborato con lui nell’ambito dei progetti della Pastorale Universitaria tutta.
La vita di fede e il rischio del suo inaridimento
Abbiamo appena ascoltato alcune parole di San Paolo rivolte ai Galati e rivolte quindi a tutti noi: ‘Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé…‘. Sono questi i frutti che indicano quando c’è vita di fede.
Mi vien da pensare: lo Spirito Santo riesce a portare il suo frutto anche nel mondo universitario? Non siamo certo noi che dobbiamo indicare la strada al Signore nostro Dio, ma possiamo domandarci se facilitiamo o no l’azione dello Spirito innanzitutto nel nostro cuore e poi nelle nostre azioni e quindi nella vita universitaria. Cosa si vede in noi? Che frutti si possono raccogliere? In poche parole: a che punto stiamo?
In tal senso, la storia della comunità dei Galati è molto interessante.
Paolo aveva fondato questa comunità che però dopo un po’ di tempo si era allontanata dal Vangelo, o preferendo tornare alla dipendenza dalla legge mosaica, o sbilanciandosi nel libertinaggio morale.
La nostra situazione ha qualcosa di simile. Siamo stati battezzati, nella maggior parte dei casi da piccoli, nella fede della Chiesa e dei nostri familiari più stretti. Ma i nostri percorsi di vita, come quelli di tanti nostri amici, parenti, colleghi di università si sono gradualmente diluiti, allontanandosi dalla genuinità e dall’esigenza della fede battesimale.
Perché? Che succede?
La desertificazione della vita come perdita di senso e segno di crisi
Potremmo dire che spesso il cuore dell’uomo è un po’ inaridito. Si inaridisce perché le giornate sono così piene d’incombenze (non ci si ferma mai, si è sempre in movimento in azione, talora dimenticando il senso delle azioni). Una vita senza senso diventa come un deserto.
Una persona recentemente mi parlava di un articolo su un settimanale del Corriere della Sera su una nuova serie televisiva, intitolato ‘… L’unica certezza è non aver certezze‘. Il sottotitolo diceva qualcosa del genere: ‘La nuova serie sulle ventenni di oggi a New York racconta con crudezza la realtà di un mondo in crisi. E piace per questo‘. Una serie televisiva che piace perché parla d’una vita senza senso! Di una vita arida, senza veri desideri, senza aspirazioni, senza progetti, desertificata. Fa pensare.
Pochi giorni fa il Papa, nella solenne apertura dell’Anno della Fede, ci parlava di questa vita desertificata:
‘In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. […] E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne‘. (Messa per l’apertura dell’Anno della Fede, omelia di Benedetto XVI, giovedì, 11 ottobre 2012)
Un altro tipo di deserto: l’occasione per l’ascolto
Queste parole del Santo Padre, così attuali e precise, che vedono il deserto come segno di crisi, mi permettono, tuttavia, di collegarmi a quanto vi dicevo il 14 marzo scorso in questa Chiesa, sempre a proposito di deserto, ma in questo caso inteso come occasione per recuperare il vero senso della vita:
‘Come fare deserto? Come rendersi disponibili all’ascolto? Come porsi nell’atteggiamento di ricevere? Ognuno di noi sa cosa deve far tacere nelle sue giornate, nella sua vita. E non si tratta soltanto del chiasso delle parole, ma della confusione nelle giornate, dell’esasperazione nell’attivismo, della perdita di qualità del tempo che viviamo. Una sorta di lasciarsi vivere che nulla ha a che vedere con il vivere in pienezza che il Signore promette‘. (Messa degli universitari in preparazione alla Pasqua, omelia di S. Em. R. il Card. Paolo Romeo, Palermo, Chiesa di S. Caterina, 14 marzo 2012).
Alla diffusa desertificazione, la nostra fede può rispondere a partire da un deserto differente, pieno di senso e di vita. Esso è la sfida di ascoltare il Signore attraverso le vicende dell’esistenza quotidiana (anche così Dio ci parla), frequentando la Parola di Dio e quei cammini di formazione spirituale che ci facilitano la comprensione del Vangelo.
Ascoltare Dio
Fare deserto non è dunque esercizio solipsistico e fuga dal mondo. Il ‘buon deserto’ è soprattutto condizione per l’ascolto del Vangelo che può ridare senso alla vita, può irrigare di gioia l’esistenza, può far scaturire nel nostro cuore un nuovo modo di vivere al servizio degli altri, come Gesù ha fatto.
Perché il Vangelo? Che c’entra con la mia vita quotidiana? Con le lezioni che preparo per i miei allievi? Con quell’arrivare puntuale al posto di lavoro per poter mettermi al servizio degli studenti? Oppure (per gli studenti), con il mio essere presente all’Università per formarmi per la mia futura professione? Col mio mettermi al servizio dei miei colleghi in difficoltà?
Frequentando ‘ per così dire ‘ il Vangelo, cioè ascoltandolo come un compagno di viaggio, entro in contatto con la vita stessa di Gesù, con il suo modo di amare, da uomo vero e vero Dio. Il Vangelo, che è annuncio di novità, mi fa entrare nella possibilità che la mia vita cambi e sia diversa, modellata sull’esempio di Gesù, appassionata nella donazione di studente o di docente, e piena in ogni aspetto e in ogni situazione che vivo.
È così che la Parola di Dio entra nel mio cuore! È così che lo Spirito Santo sarà facilitato nel portare frutti (quei frutti di cui parla Paolo ai Galati) anche nel mondo universitario, facendo scaturire ogni parola ed ogni azione da un radicale cambiamento interiore.
In fondo è quanto il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, ci dice: ‘Guai a voi che pagate la decima della menta, ossia vi attenete alle regole esterne che la vostra religione vi impone, ma siccome il cuore è altrove, trasgredite la giustizia e l’amore‘.
I santi come amici
La vita di fede ci fa riscoprire la Chiesa anche come compagnia di amici e di santi. Il loro esempio ci rende più facile il cammino.
Celebriamo oggi la memoria di S. Ignazio di Antiochia. Egli, dopo una lunga deportazione dalla Siria a Roma, morì martire a testimonianza di Cristo nella città imperiale, nella prima metà del sec. II, dilaniato dalle belve. Dalle sue lettere conosciamo la sua tempra eccezionale, la sua grande fede, il suo coerente amore per Cristo, fino al punto da desiderare serenamente il martirio per lui.
Agli Efesini egli scrive: ‘È meglio tacere ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se chi parla opera. Uno solo è il maestro e ha detto e ha fatto, e ciò che tacendo ha fatto è degno del Padre‘.
Ricordarci di Sant’Ignazio di Antiochia significa porci tutti alla sua scuola di testimonianza coerente e di unità fra il ‘dire’ e il ‘fare’, ‘perché con le parole e le opere ci dimostriamo autentici cristiani‘ (dall’orazione dopo la comunione).
Questo vale anche per il meraviglioso esempio di un siciliano che pochi anni fa seppe accogliere il martirio per voler essere sempre al servizio di Gesù e dei suoi fratelli: il Venerabile don Pino Puglisi che verrà beatificato il prossimo 25 maggio a Palermo. Un uomo inserito nel mondo e nel tempo dove visse responsabilmente (fino al martirio) la sua vocazione sacerdotale.
Un altro esempio (fra gli altri) molto bello è quello del Servo di Dio Rosario Livatino, nato a Canicattì nel 1952 e assassinato dalla mafia nel 1990. Nella sua vita di magistrato e fino a quando fu procuratore del Tribunale di Agrigento, nello svolgimento del suo lavoro trovò il suo cammino di santità e addirittura il motivo di donazione della sua vita: fu ucciso mentre si recava in tribunale, per sua scelta senza alcuna scorta.
Livatino resta un esempio affascinante per chi si propone di svolgere un’attività professionale in mezzo al mondo. Una vita ‘evangelizzata’ e quindi un lavoro svolto in modo nuovo.
L’esempio dei santi dei nostri tempi ci serve per riscoprire che ciascuno di noi è chiamato a portare frutti, ad essere santo non in situazioni straordinarie ma nella normalità della vita familiare e professionale, a patto che ci sia quell’unità tra il ‘dire’ e il ‘fare’ coerente con il Vangelo, che i grandi santi hanno testimoniato.
Un docente universitario troverà il suo cammino di santità nel suo lavoro svolto con professionalità e spirito di servizio… Così uno studente scoprirà la santità nel suo prepararsi alla professione futura con le ore sui libri di ‘Patologia medica’ o ‘Filologia romanza’ o ‘Procedura civile’ o ‘Meccanica razionale’… col suo studio coscienzioso, scoprirà che potrà mettersi al servizio del prossimo studiando non tanto per un libretto ricco di 30 e lode, piuttosto con l’intenzione di formarsi come cittadino responsabile; scoprirà che il lavoro verso il quale si prepara non sarà solo un diritto ma soprattutto un dovere per riscattare questa nostra Sicilia dalla fuorviante logica del ‘posto di lavoro’; scoprirà la bellezza di essere imprenditore dei propri talenti ricevuti in dono da Dio.
A tutti voi studenti, voi docenti e voi del personale amministrativo do la conferma che potrete trovare la santità se saprete incontrare Cristo che passa nelle aule universitarie e nei vari ambienti di studio e della ricerca.
E tutti voi desidero porre sotto la protezione materna di Maria, Regina di tutti i santi e Madre di ogni buon desiderio di bene che viene posto in noi dallo Spirito, perché germogli in frutti di verità e di carità da tutti visibili e coglibili.