Mons. Corrado Lorefice
Arcivescovo Metropolita di Palermo
Omelia
In questi giorni di festa per la Chiesa palermitana, ripercorrendo la vita di S. Rosalia, colpisce la determinazione di questa giovane donna di fondare la propria vita oltre sé stessa, il suo uscire fuori non solo dalla casa paterna ma soprattutto da sé stessa, dal suo ‘io’, affidandosi ad un Altro, consegnandosi a Dio. È davvero affascinante la sua lucida fermezza di permettere a Dio – incontrato come presenza personale – di irrompere nella sua vita da palazzo e di schiuderla definitivamente, infrangendo il cosmo chiuso della sua esistenza; il cosmo artefatto in cui noi umani spesso ci arrocchiamo, convinti di non aver bisogno di nulla e di nessuno; sedicenti e impavidi creatori di paradisi artificiali; costruttori autosufficienti di torri che sfidano il cielo.
Rosalia, è una donna che scopre la relazione con Dio e che custodisce caparbiamente, fino all’ultimo suo respiro, il desiderio dell’incontro definitivo con il suo unico Signore e Sposo. Una donna che proprio per questo conserva il gusto di celebrare l’incontro con gli altri; di vivere l’evento meraviglioso dell’altro, l’incontro del volto, dei volti dei fratelli e delle sorelle che salivano al suo eremo.
Il volto. Emmanuel Lévinas in una intervista dichiarava: «L’altro uomo, che innanzitutto, fa parte di un insieme, che sostanzialmente mi è dato come gli altri oggetti, come l’insieme del mondo, come lo spettacolo del mondo, l’altro uomo emerge in qualche modo da tale insieme precisamente con la sua comparsa come volto, che non è semplicemente una forma plastica, ma è immediatamente un impegno per me, un appello a me, un ordine per me di trovarmi al servizio di questo volto, non solamente questo volto, servire l’altra persona che in questo volto mi appare contemporaneamente nella sua nudità, senza mezzi, senza protezioni, nella sua semplicità, e al tempo stesso come il luogo dove mi si comanda. Questa maniera di comandare, è ciò che chiamo la parola di Dio nel volto».
Il volto degli uomini e delle donne che vivono a casa con me o nel posto di lavoro, che incontro per strada o sul tram, in campagna o in città, in un villaggio o in una metropoli, vicini o lontani, con il mio stesso colore di pelle o con un colore diverso (tutti gli uomini e le donne siamo di colore!): il volto di ogni uomo e di ogni donna è un’icone, una immagine, un sacramento del volto di Dio.
Rosalia, vergine “potentemente rafforzata nell’uomo interiore” (II Lettura, Ef 3, 16) dalla preghiera e dalla vigilanza, come le sagge del Vangelo odierno, si preoccupa di avere la scorta dell’olio del desiderio di Dio sufficiente per sostenere il cammino della vita in vista dell’incontro definitivo con il Signore: “Una voce! L’amato mio” (Ct 2, 8) (I Lettura). “Ecco lo Sposo! Andategli incontro!” (Mt 25, 6) (Vangelo). È questo il grido che dà compimento all’attesa di chi, ieri e oggi, porta il nome di Cristo, del cristiano.
Rinnovare le scorte di quest’olio è stata la costante e gioiosa premura di Rosalia, in modo che il suo cuore continuasse a bruciare del desiderio di Dio. Sempre, nei giorni buoni come in quelli cattivi, nel tempo invernale delle piogge o del tempo estivo della maturazione dei frutti, nella veglia come nel sonno – “io dormo, ma il mio cuore veglia” (Ct 5,2), afferma la giovane ragazza del Cantico dei cantici; “dall’aurora io ti cerco”, canta l’orante del Salmo 62 (Salmo responsoriale).
Oggi è quasi una moda non avere un desiderio unico e unificante. Si consumano tanti pseudo desideri. Sembra un assoluto l’assenza del desiderio di Dio. Vivere senza memoria dell’Altro, senza essere mossi dal desiderio della relazione con Dio; relazione che ci consegna ad una appartenenza certa e definitiva, ad incontro finale che vince ogni inquietudine e insoddisfazione e appaga il desiderio di vita e di dare vita ad altri che è iscritto nel nostro DNA anche dopo la nostra morte.
Sì, anche dopo la morte, dopo secoli dalla sua morte, Rosalia con quel suo luminoso e santo corpo ritrovato sul monte Pellegrino, continua ad incontra altri, oggi come ieri, e ci raggiunge in quell’isolamento pestifero che serpeggia nei cuori degli uomini e delle donne corrosi dalla peste dell’egoismo e dell’indifferenza, dalla febbre mortale di potere e dal bubbone contagioso della menzogna, dell’avidità e dall’io voraginoso.
Anche noi cristiani, oggi, – pur eseguendo stanche e ripetitive pratiche religiose – rischiamo di vivere senza desiderio di Dio. Inariditi anche noi, conformati anche noi ad un ateismo pratico che indebolisce e soffoca l’uomo interiore, assistiamo impotenti al raffreddamento della fede e all’indurimento del nostro cuore non più irrorato dallo Spirito.
Ma anche quest’anno siamo ritornati qui, a cercare un contatto con Rosalia, in questo tempio che ne custodisce le reliquie. Siamo venuti a cercare il suo corpo. A disseppellirlo come quattrocento anni fa. Perché ci ridia il desiderio di Dio, ci riconsegni all’incontro con l’Altro, con Colui che ci libera dal ripiegamento egoistico su noi stessi e ci allarga gli orizzonti della vita; con Colui che ci libera dal soggettivismo sfrenato e ci apre all’altro che rimane sempre icona visibile del Dio invisibile; l’altro, volto fraterno del Dio-Padre, rivelatoci da Gesù, suo Figlio fattosi uomo.
- Rosalia ci rammenta che dobbiamo ritornare ad essere sapienti. Ci esorta ad avere la scorta di olio necessario perché non venga meno il desiderio di Dio. Ci indica la via perché non venga meno tale desiderio: riconoscere Dio nel volto di ogni uomo e di ogni donna.
Se rimaniamo aperti a tutti, nella sincerità del cuore, nella forza dell’onestà intellettuale, nella custodia dei più alti sentimenti umani, allora non verrà meno il desiderio di Dio, il desiderio di contemplare definitivamente il suo Volto insieme all’intera famiglia umana di ogni tempo, liberata dalla peste dell’egoismo, dei respingimenti e dei muri, dell’ingiustizia, della menzogna, della corruzione, della prevaricazione, della morte psicologica, morale e spirituale oltre che corporale.
Siamo chiamati ad essere come Rosalia ricolmi della pienezza di Dio, felici della compagnia dei fratelli e delle sorelle. Costruttori di città fraterne, giuste e accoglienti, di famiglie unite, oneste, capaci di accompagnare nella sfida educativa le nuove generazioni; edificatori di comunità cristiane che testimonino con coraggio e coerenza la gioia del Vangelo in questo nostro mondo, tra le nostre case, nei nostri quartieri, nel posto di lavoro, nelle istituzioni, nello sport, nei luoghi dove si concentra la fragilità umana. Alle nuove generazioni!
Traggo per me e per voi dalla seconda lettura biblica l’augurio finale, dando ancora voce all’Apostolo Paolo: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3, 17-19).