Il Vangelo di questa seconda domenica di Pasqua ci riporta dentro il luogo in cui si ritrovano riuniti i discepoli di Gesù, forse quella ‘sala alta’, quel Cenacolo nel quale il Signore si era donato come Corpo e Sangue nell’Ultima Cena, si era chinato a lavare i piedi ai suoi nel gesto dello schiavo, aveva aperto loro il suo cuore in un discorso intimo e solenne. Sullo sfondo di questo luogo, adesso, stanno quelle porte chiuse ‘per timore dei Giudei‘, per la paura di essere associati al Nazareno.
Queste porte chiuse continuano a segnare una sconfitta. È ancora la paura che aveva causato la dispersione e l’allontanamento dei discepoli, persino il triplice rinnegamento di Simon Pietro che pure aveva solennemente promesso: ‘Darò la mia vita per te!‘ (cf. Gv 13,37). La paura della sorte di Gesù li aveva allontanati tutti dall’Uomo della Croce. E la paura li tiene adesso insieme, ma ancora lontani, bloccati al chiuso di quel luogo che apparentemente li custodisce e li difende, ma che in realtà li zavorra ancora alla sconfitta della morte.
La sera di quel giorno, il primo dopo il sabato, le porte sono ancora chiuse nonostante i fatti della mattina: il racconto di Maria di Magdala, la corsa di Pietro e del discepolo amato, l’apparizione alla stessa Maddalena. Il Sepolcro è aperto ed è vuoto, ma le porte del Cenacolo sono ancora chiuse.
2. Lo scrittore cattolico francese George Bernanos afferma che ‘anche la paura, malgrado tutto, è figlia di Dio, riscattata il Venerdì Santo‘ (Sulla gioia, 1929). Cosa fa il Signore Gesù per questo manipolo di uomini raccolti sui sentieri della Palestina, rimasti alla loro paura non ancora redenta? ‘Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: ‘Pace a voi!’ Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore‘ (cf. Gv 20,19-20).
A porte chiuse appare il Risorto e comincia a riscattare la paura dei suoi. Li aveva chiamati ‘amici’, non più servi, e come ‘amico’ visita le loro paure, donando loro la pace e la gioia dell’incontro. Le porte del Cenacolo rimangono chiuse, perché l’iniziativa di quella visita, di quell’incontro è ancora una volta il dono assoluto del Maestro, e va accolta senza riserve. Le porte del Cenacolo sono ancora chiuse, ma quelle del cuore ‘ e sembra di vedere la scena ‘ cominciano ad aprirsi in abbracci, sorrisi, domande, stupore. E tutto questo davanti alle ferite delle mani, del costato, davanti alle cicatrici dell’Amore vero, quello che ‘è forte come la morte‘ (cf. Ct 8,6) e che per questo può lottarla, e vincerla definitivamente.
3. Carissimi Massimiliano, Giuseppe, Angelo, Giuseppe, Michele, mi viene da chiedervi: siete anche voi scossi dall’inquietudine e dalla paura? Credo proprio di sì. Non è certo la paura di un male che potete ricevere dall’esterno, ma è timore, è trepidazione interiore per il fatto di entrare dentro un Mistero più grande di voi. Credo realisticamente ‘ e da Vescovo forse un po’ me lo auguro ‘ che ognuno di voi sperimenti inquietudini e turbamenti in questo giorno spartiacque della vita, in cui si fanno più presenti tutti i contrappunti delle vostre fragilità.
Lasciate che vi immagini come un piccolo Cenacolo che è entrato in questa Cattedrale e ha salito questo presbiterio ancora con le sue porte chiuse, le resistenze e le insicurezze di ognuno. Esse sono imbellettate sì dalla singolarità di questo giorno di luci e di festa, ma sono timori e tremori presenti dietro e dentro quell”eccomi‘ che avete pronunciato, con una domanda silenziosa e pungente: ‘ce la farò?‘.
‘Anche la paura, malgrado tutto, è figlia di Dio, riscattata il Venerdì Santo‘. Diventate presbiteri, carissimi figli miei, a porte chiuse! Cioè con tutto il limite delle vostre incertezze, con la vostra giovane età e con la fragilità della vostra umanità. Ma stasera, come quella sera in cui non ci fu più notte, il Signore Risorto viene e sta in mezzo a noi, in mezzo a voi, da vittorioso, passando attraverso le vostre chiusure paurose e mostrandovi i segni dell’Amore.
Vi dona innanzitutto pace e gioia, quelle che potete ricevere solo ritrovandolo come amico, ogni giorno, in ogni circostanza: ‘E i discepoli gioirono al vedere il Signore‘. (Gv 20,20). E, soprattutto, vi fa dono del suo Santo Spirito. Lo riceverete stasera come lo ricevettero i discepoli prima di voi. Anche se ‘a porte chiuse‘, lo ricevete davvero quale soffio vitale che ri-crea, che dà nuovo inizio alla vostra vita, e la conforma a quella di Cristo Gesù.
Carissimi! Soltanto lo Spirito Santo, che con la preghiera di ordinazione verrà effuso potentemente nei vostri cuori, potrà consentirvi di aprire le porte della vostra vita, come Pietro il giorno di Pentecoste, e di compiere quella stessa missione che Gesù affida ai suoi: ‘Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi’ Ricevete lo Spirito Santo.’ (cf. Gv 20,21).
Lo Spirito Santo scardini ogni giorno le vostre chiusure esteriori ed interiori, e vi liberi dai blocchi delle vostre paure, per farvi uomini pronti ad annunciare e testimoniare la Risurrezione. Vi viene usata la misericordia di un incontro di tenerezza e di elezione. È l’abbraccio di Gesù misericordioso: Papa Giovanni Paolo II ha voluto che questa Domenica dell’Ottava di Pasqua fosse anche la ‘Festa della Divina Misericordia‘ in cui ciascuno di noi possa sperimentare la tenerezza dell’abbraccio del Risorto.
Equipaggiati dallo Spirito Creatore che abbiamo invocato ‘ Veni Creator Spiritus! ‘ convertite questo dono in un impegno quotidiano a testimoniare l’Amore misericordioso di Dio nei confronti di quanti incontrerete, con generosità ed apertura di cuore, ma mai in modo autoreferenziale, lontani dai facili e comodi riduzionismi part-time, e dalla tentazione di vivere il ministero ‘al minimo‘.
Sentite sempre la responsabilità di essere gli occhi, il cuore, le labbra di Cristo che, avendo offerto la sua vita per la nostra salvezza, vuole riversare sul suo popolo la misericordia e il perdono e ricondurre tutti alla pienezza di vita.
4. Questa è anche la domenica dell’apostolo Tommaso, assente in quella prima apparizione del Risorto. ‘Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo“‘ (Gv 20,25). Quello di Tommaso, l’incredulo per eccellenza, è il tentativo maldestro di arrivare a Cristo solo attraverso la verifica dei suoi sensi, il suo vedere, il suo toccare, senza credere alla testimonianza dei suoi compagni. Per questo scrive Basilio di Seleucia: ‘Desidera vedere Gesù con i suoi occhi e rifiuta i racconti degli altri discepoli. Chiude le orecchie e vuole aprire gli occhi‘ (Omelia sulla Pasqua 2-4).
Ma l’incredulità di Tommaso è una grande lezione per la Chiesa! Perché il Risorto si accoglie solo se narrato e testimoniato dai fratelli, cioè nell’ambito di una fede che non viene dalla visione ma dalla Parola annunciata nella comunità dei credenti. La stessa scelta di Gesù ce lo dice chiaramente: l’incontro con Tommaso sarebbe potuto avvenire ‘in privato‘, ed invece è ancora apparizione comunitaria, ‘otto giorni dopo‘ (cf. Gv 20,26). L’esperienza di Tommaso consente al Signore Risorto di proclamare la beatitudine dei credenti di tutti i tempi, cioè di proclamare anche la nostra beatitudine: ‘Perché mi ha veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!‘ (Gv 20,29).
Ben a ragione Romano Guardini definisce la Chiesa come ‘la comunità di quanti si aiutano reciprocamente a credere‘. La Chiesa è la comunità di questi credenti che sono tanto più beati quanto più si consegnano l’esperienza del Risorto senza pretendere di verificarlo, di vederlo, di toccarlo, sostenendosi nella medesima fede.
Quale programma e quale impegno più grande di questo, mentre ci prepariamo a celebrare l’Anno della fede che il Santo Padre Benedetto XVI ha convocato per la Chiesa universale a partire dall’ottobre prossimo! È un anno in cui dobbiamo narrarci e testimoniarci la nostra fede, perché soltanto nella narrazione e nella testimonianza adempiamo al mandato di Gesù di portare il suo Vangelo fino ai confini della terra, fino a tutti i cuori che nel profondo cercano affannosamente il Signore.
5. Carissimi Massimiliano, Giuseppe, Angelo, Giuseppe, Michele! A partire da questa splendida lezione sulla fede della Chiesa, che il Risorto ci consegna attraverso l’incredulità di Tommaso, desidero che vi rendiate sempre più conto che, a vario titolo, da presbiteri, sarete maestri e guide che conducono le comunità all’esperienza del Signore Gesù.
Questa nostra società sta progressivamente relegando la fede nell’ambito del privato e del sentimentale, dell’esperienza dell’emozione. La fede non si condivide più, l’esperienza della salvezza non circola e questo lo si vede dalla temperatura spirituale di tante comunità cristiane ‘sonnecchianti‘. Da presbiteri siete chiamati a rendere le comunità, i gruppi, le realtà che saranno affidate al vostro ministero, sempre più ‘pasquali‘, ossia comunità nelle quali ‘ come fanno i discepoli con Tommaso ‘ si narri con la parola e la vita, in modo visibile e concreto, l’incontro con Cristo, e si viva in quest’unica fede testimoniata e trasmessa nel sostegno reciproco e nella carità fraterna. Perché si realizzi sempre più l’ideale comunitario narrato dagli Atti degli Apostoli: ‘La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola’ Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù‘ (cf. At 4,32-33).
Il vostro ministero sia come un ‘catalizzatore’ che faciliti l’innesco della ‘maturazione pasquale‘ di ogni comunità, perché uomini e donne del nostro tempo incontrino il Risorto che, mentre mostra le sue piaghe gloriose, accoglie quelle ancora umane e dolorose della vita di ciascuno. Il vostro sacerdozio, che è quello di Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, porti i fratelli a credere in lui pur senza la pretesa di vederlo né di toccarlo, con il desiderio di ascoltarlo e di amarlo nel cammino dell’esistenza. Possiate essere ‘punti di appoggio’ sui quali far leva perché ciascuno sperimenti la verità della parola dell’Apostolo Giovanni: ‘Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede‘ (cf. 1Gv 5,4).
6. Carissimi! Non sappiamo per certo se la Vergine Maria fosse presente insieme con i discepoli, nelle sere delle apparizioni del Figlio Gesù. Possiamo pensarlo perché da quel giorno Giovanni la prese con sé e certamente nel Cenacolo, in queste sere, c’era Giovanni. Crediamo però che questa sera, in questo vostro piccolo Cenacolo, la sua dolce presenza di Madre vi custodisce e vi prepara meglio il cuore a ricevere il dono dello Spirito. A lei affidate fin da questo primo giorno il vostro sacerdozio: certo non rimarrete delusi!