Ez 37,12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45
Tutto questo ci riempie di gioia e di commozione!
Credo che sia così anzitutto per Mons. Vincenzo Manzella, Vescovo emerito di questa Diocesi e finora suo Amministratore Apostolico, che l’ha servita con zelo e dedizione per ben diciotto anni di intenso ministero per il quale questa Chiesa calatina ha ringraziato il Signore la settimana scorsa in questa stessa Cattedrale.
Alla gioia e alla gratitudine di Mons. Vincenzo si unisce innanzitutto quella del Signor Cardinale Salvatore De Giorgi, che ringrazio per aver desiderato partecipare a questa solenne celebrazione in segno di affetto e comunione, come pure quella degli Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi delle nostre chiese di Sicilia, qui presenti per stringersi a far corona a fra’ Calogero: tutti ‘ ne sono certo ‘ guardano al suo ministero con fiducia e affetto, ben conoscendone le doti e avendone apprezzato la statura di uomo di Dio nei diversi incarichi ecclesiali che gli sono stati affidati nel corso degli anni.
C’è poi la presenza grata e commossa della Famiglia Cappuccina, e in particolare della Provincia religiosa di Palermo della quale fra’ Calogero è stato finora Provinciale attento e competente, guida paterna ed esperta. Sento il dovere di rivolgermi a tutti i suoi confratelli per dire che se stasera
Convocati a partecipare di questa gioia si sono sentite pure le gentili e distinte Autorità, cui va il nostro deferente saluto. La vostra presenza. rivela una tangibile disponibilità per un fruttuoso dialogo con le istituzioni ecclesiali, con l’obiettivo comune di promuovere la crescita degli uomini e delle donne di questo territorio, seppur nel reciproco rispetto dei diversi metodi di azione e dei relativi ambiti di servizio.
Ma sono soprattutto le diverse componenti di questa santa Chiesa di Caltagirone ad essere festosamente presenti, insieme alle loro aspirazioni e alle loro speranze, ma tutte disponibili al compimento della volontà di Dio. Questa volontà, carissimi fratelli e sorelle, che vuole essere fedele a sentieri tracciati dai nostri padri, da coloro che ci hanno preceduto nella testimonianza della fede, esige di giungere ad incarnarsi in mete ed orizzonti che, solo con l’aiuto del nuovo Pastore diocesano, potranno essere luminosamente individuate e indicate. Il vostro ascolto, oltre che un esigente desiderio, da oggi dovrà essere una concreta responsabilità.
2. Così come consentito dalle norme liturgiche, in questa celebrazione, è stato scelto il ciclo di letture proprio dell’antico itinerario battesimale, incontrando così la stupenda narrazione evangelica di Gesù che riporta alla vita l’amico Lazzaro.
Si tratta dell’ultimo dei sette ‘segni’ con i quali Gesù, nel Vangelo di Giovanni, manifesta la sua identità e spinge a prendere posizione nei suoi confronti: credere o non credere nel Figlio di Dio?
Quello di Lazzaro, inoltre, è il ‘segno’ decisivo perché porta i Giudei a decidere di mettere a morte Gesù: il corso degli eventi prenderà la tragica piega che ben conosciamo.
Non si tratta soltanto dell’ultimo dei ‘segni’, ma del ‘segno’ per eccellenza. Esso trabocca infatti di un senso che sarà svelato solo a partire dal mattino della Resurrezione, quando la vicenda di Gesù di Nazareth comincerà a ricevere in modo definitivo la giusta luce della Pasqua.
Gesù manifesta la sua identità come già fatto negli altri prodigiosi ‘segni’: Egli è il Signore della vita, il solo che può comunicare la vita. Non una vita qualunque, piuttosto la vita stessa di Dio.
L’episodio di Lazzaro che ritorna in vita, da un lato rinvia alla risurrezione finale dei morti, e anticipa quella dello stesso Cristo; ma, dall’altro, dice una promessa di vita che si fa piena già adesso, nel presente della vicenda umana illuminato dall’incontro con Cristo. In tal senso è illuminante il dialogo fra Marta e Gesù: ‘Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?»’ (Gv 12, 23-26).
La domanda che Gesù pone a Marta è quella che sempre ritorna a noi nel confronto con il Signore della vita. Credere in Cristo, Figlio di Dio venuto nel mondo, è possedere già la vita di comunione con il Padre. Si tratta certo di una vita nuova, che reca in sé la bellezza dell’eternità. Ciò non vuol dire che scompaia l’esperienza dell’impotenza e il dolore della morte. Soltanto che tutto questo viene come proiettato ben oltre la morte fisica vissuto nella fede della presenza amorosa di Dio.
La narrazione evangelica ci rivela così, in questo itinerario di Quaresima, il volto di Cristo, che ha i tratti visibili del Dio che non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva (cf. Ez 33,11). Ci rivela la sua passione per la vita e la capacità di donare la sua comunione di vita agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, a partire dal suo sacrificio redentore: ‘Il buon pastore dà la vita per le sue pecore’ (Gv 10,11).
3. Questa sera, caro fra’ Calogero, è a questo mistero del Dio che si accosta alla storia degli uomini, alle loro vicende, anche quelle più bisognose di senso, che intendo particolarmente riferirmi, indicando a te, nella tua nuova missione di vescovo, i tratti di un servizio senza riserve a questa Chiesa calatina che, tra poco, riceverai come Sposa.
È bello interpretare quanto Maria e Marta dicono a Gesù nella confidenza amicale e nel dolore per la perdita del fratello: ‘Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!’ (cf. Gv 11,21.32). È vero: dove manca il Signore, li è solo morte. L’assenza di Cristo dalla vita dell’uomo porta al non senso della sconfitta, a visioni riduttive ed alterate della stessa realtà dell’uomo, ad uno scadimento morale che è troppo spesso frutto dell’autodeterminazione e dell’egoismo.
Il ministero episcopale che ti viene stasera conferito, caro fra’ Calogero, ti interpellerà nel portare agli uomini la concreta presenza del Cristo della vita, la sua appassionata risposta d’amore autentico, di misericordia senza fine. Per essa l’uomo può uscir fuori dalla tristezza dei sepolcri del peccato, può essere sciolto dalle bende dell’indifferenza, e ritornare a vivere di vita nuova, la vita della grazia, di cui stasera diventi ministro nel grado più eccelso.
La missione di Cristo, ininterrottamente trasmessa agli Apostoli e ai loro successori, giunge questa sera fino a te, caro fra’ Calogero, e diviene visibile nei tria munera, nei tre uffici che ti vengono affidati: quello di annunciare il Vangelo, quello di santificare il popolo santo di Dio, quello di guidarlo con sapienza, secondo il suo cuore. Le funzioni di insegnare, santificare e governare non sono privilegi personali, ma doni per l’edificazione della Chiesa: ecco il triplice volto dell’unico ministero al servizio della vita, perché anche attraverso di te si compia quanto Gesù dice della sua missione: ‘Sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza’ (Gv 10,10).
E questo mi sembra tu abbia voluto tradurlo bene nella scelta del motto episcopale ‘pro vobis datur’, che rinvia alle parole di Gesù, che nell’Ultima Cena, anticipa nell’Eucaristia l’offerta della sua vita per amore.
4. Come annunciare la vita, caro fra’ Calogero? Abbiamo ascoltato nella prima lettura la conclusione della visione del profeta Ezechiele circa le ossa inaridite. È la grande promessa di Dio. Israele, in esilio in Babilonia, lontano dalla sua Gerusalemme distrutta dopo essere stata a lungo assediata, è come un popolo senza vita, una distesa di ossa aride ed inerti. Solo il Signore potrà far rinascere questo popolo. E questo proprio quando ogni aspettativa umana sembra definitivamente sconfitta. Dio lo farà ritornare in patria per mezzo delle favorevoli contingenze storiche. Ma ‘ più nella sostanza ‘ ciò sarà il risultato di una sua azione potente e precisa: effonderà e farà abitare in Israele il suo Spirito di vita, come in una nuova creazione.
Quello che è anticipato nella visione profetica di Ezechiele, si realizza e si compie nel nuovo popolo dell’alleanza, conquistato dal sangue di Cristo: san Paolo, nella seconda lettura, mette a confronto una vita ‘secondo lo Spirito’, ed una ‘secondo la carne’. La vita nello Spirito è la vita da risorti, quella vita che ci spinge a cercare ‘le cose di lassù’ (cf. Col 3,1), a cercare il Cielo quaggiù sulla terra, con quello sguardo di novità che ci fa leggere con occhi nuovi i singoli accadimenti, e ce ne fa penetrare il senso: questa può essere opera solo dell’accoglienza in noi dello Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti. Non si tratta di un’accoglienza episodica o occasionale, piuttosto di una vera e propria abitazione interiore, costante, permanente.
Caro fra’ Calogero, con il canto del Veni Creator abbiamo invocato proprio questo Spirito. E questo stesso Spirito ti verrà trasmesso dall’imposizione delle mani di noi vescovi qui presenti. Riceverai la pienezza dello Spirito Santo nell’Ordine dell’episcopato. Esso non è una carica onorifica, ma un eminente servizio, perché dalla pienezza dello Spirito di vita tu possa volgerti a tutte le situazioni di morte che si presenteranno al tuo cuore, a tutti coloro che ‘ disorientati ‘ chiamano vita ciò che è morte e morte ciò che è vita. Solo se il tuo ministero sarà offerta di vita nuova nello Spirito, l’uomo che incontrerai potrà riconoscere il suo Signore.
5. Questo stesso Spirito di resurrezione e di misericordia, che fa passare dalla morte alla vita, ti spingerà all’annuncio del Vangelo, cui simbolicamente sarai tra poco sottomesso, come soggetto al suo dolce giogo. Nello Spirito dovrai raggiungere profeticamente i più poveri, gli ultimi, gli emarginati, intercettando il loro desiderio di bene. Lo Spirito animerà la tua costante preghiera a favore della porzione del popolo pellegrinante in terra calatina.
Questo stesso Spirito ti interpellerà per l’edificazione della Chiesa. Il vescovo Ignazio di Antiochia, scrivendo a Policarpo di Smirne, anch’egli vescovo, raccomandava: ‘Domanda una comprensione più grande di quella che hai’.
Il tuo ministero di episcopos, non dovrà mai ridursi ad un mero ‘sorvegliare’, ‘ questo il significato letterale dell’espressione ‘ mai soltanto ad una responsabilità di ispezione e di supervisione. Piuttosto dovrà esprimersi in un servizio di costante attenzione a cogliere, discernere e accompagnare i minimi moti e le diverse ispirazioni del Corpo mistico.
Il faro che compare nello stemma episcopale da te scelto, mi sembra interpreti bene non soltanto il tuo autentico desiderio di servire
Con questo ‘sguardo dall’alto’, che è dono dello Spirito, l’edificazione della Chiesa sarà soprattutto una continua generazione di nuove membra, nella paternità accogliente e nella sollecitudine amorosa nei riguardi dei diversi carismi e ministeri ad essa elargiti, in ascolto dei quali dovrai continuamente porti.
A tal proposito, l’esperienza di Francesco d’Assisi, che tu ben conosci per averne seguito più da vicino le orme, ti sproni ogni giorno a questa lungimiranza profetica i cui effetti non potranno che fiorire in autentici doni di grazia, come lo fu per il fondatore della tua Famiglia che così si esprime: ‘Agli inizi della mia nuova vita, quando mi separai dal mondo e dal mio padre terreno, il Signore pose la sua parola sulle labbra del vescovo di Assisi, affinché mi consigliasse saggiamente nel servizio del Cristo e mi donasse conforto’ (FF n.1562).
Lo Spirito Santo, da questa sera, qualificherà poi in modo diverso e del tutto particolare anche il tuo rapporto con i presbiteri e i diaconi di questa Chiesa di Caltagirone. Nella comune effusione dello Spirito di santità, diventi per loro, in modo del tutto speciale, Padre oltre che Pastore, con tutta la profonda responsabilità di conoscerli, amarli, ascoltarli, perdonarli, nutrirli, correggerli, difenderli, donando anche a loro il Cristo della vita.
La corresponsabilità pastorale che da stasera viene a determinarli come tuoi collaboratori del ministero, ha radici profonde non nella buona volontà di un reciproco aiuto pastorale, bensì nella comunione dello stesso sacerdozio ministeriale e nella ricerca di un’autentica fraternità, oltre che di mutuo sostegno, all’interno dell’unica realtà del presbiterio. Credo che su questo sarà necessaria una vera e propria ‘scommessa’, con la moltiplicazione degli sforzi comuni per realizzare quest’unica famiglia di consacrati e inviati al servizio del popolo santo di Dio.
Nell’edificazione di questa santa Chiesa che è in Caltagirone non potrai sentirti solo: accanto a te ci sono i tuoi confratelli Vescovi, Padri e Pastori delle Chiese di Sicilia, Chiese sorelle che insieme intendono camminare sulla strada verso il compimento, e che insieme guardano al prossimo 3 ottobre, quando si sentiranno confermate nella fede dalla visita del Santo Padre, il Papa Benedetto XVI: con lui vogliamo sentirci in questo momento in profonda comunione e desideriamo ringraziarlo per il dono che in te ha fatto alla Chiesa tutta.
6. Caro fra’ Calogero, in fondo sperimenti ancora una volta la chiamata del Signore. Ti chiama ad un servizio più oneroso e impegnativo, che richiede per questo una risposta generosa e fedele. Ti viene chiesto molto, ma solo perché ti è stato donato molto.
Tra poco ripeterai ancora una volta nella vita il gesto della prostrazione, con il quale rinnoverai la volontà di consegnarti totalmente a Dio per il bene dei fratelli, consegnando anche la tua povertà e i tuoi limiti, e confidando nella sua azione misericordiosa.
Non tutto viene richiesto a te, tuttavia.
Alla Chiesa di Caltagirone viene chiesto di accogliere il nuovo Pastore come un dono di Dio, di intravedere, nella fede, la sua ferma volontà di essere Padre autentico al servizio di ognuno dei bisogni che ti verranno posti davanti. È bello ricordare quanto il Signore ci consegna nel discorso missionario circa quanti ‘ nella Chiesa ‘ continuano a ri-presentare la proposta di salvezza: ‘Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato’ (Mt 10,40). L’impegno della comune responsabilità di tutte le componenti del popolo santo di Dio è il terreno fecondo sul quale ogni seme di vita può germogliare.
7. Caro fra’ Calogero, amatissima Chiesa di Caltagirone!
Il Signore vi mette da stasera in un cammino comune, in un tratto di strada e di grazia da percorrere insieme, nell’ascolto della sua volontà e nella sollecitudine al servizio che reciprocamente vi scambierete.
In questo cammino non vi stancate di guardare a coloro che in questa Chiesa rifulgono come autorevoli testimoni nella fede: san Giacomo apostolo, vostro patrono e protettore; i due grandi esempi di vita consacrata scaturiti dal carisma del Poverello d’Assisi, cioè la beata Lucia, vergine, e il venerabile Padre Innocenzo, cappuccino; infine il servo di Dio, don Luigi Sturzo, autorevole testimone di carità nella vita sociale.
Non manchiate soprattutto di porre le vostre fragilità e le vostre debolezze nella potente intercessione della Vergine Maria, invocata particolarmente sotto il titolo di ‘Madonna del Ponte’: con fiducia rivolgete a Lei il vostro sguardo per poter penetrare sempre più con la mente e con il cuore, i disegni di Dio, e rispondervi generosamente col suo stesso ‘fiat’.