Natale del Signore

Chiesa Cattedrale
25-12-2010
Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

    ‘Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere’. (Lc 2,15).
    1. Sono le parole dei pastori che, nella notte santa, ricevono dagli angeli l’annunzio della nascita del Salvatore. Nel piccolo e sperduto borgo di Davide si compie l’antica promessa. Dio visita il suo popolo, ma lo fa in un modo strano, inconsueto, mai udito fino ad ora: ‘Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia’ (Lc 2,12).
    I pastori vanno, con il desiderio di vedere, di sperimentare di persona quanto il Signore ha finalmente ‘ e fedelmente ‘ compiuto. Come loro, anche noi, nel tempo di Avvento, abbiamo riscaldato il cuore con lo stesso desiderio, in un comune cammino verso Betlemme, verso la mangiatoia in cui troviamo adagiato e avvolto in fasce il Re Bambino.
    Oggi facciamo memoria di questo giorno santo in cui Dio, l’Eterno e l’Infinito, si abbassa fino a piegarsi al tempo e allo spazio, alla storia degli uomini. È il mistero della sua visita: ‘Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi’ (Gv 1,14). In mezzo a noi egli è rimasto! È l’Emmanuele, il Dio-con-noi, per sempre: ‘Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo‘ (Mt 28,20).
    Il Natale dice questa vicinanza di Dio all’umanità. Dio che si era reso presente nella voce dei profeti, ora si fa Parola fatta carne, uomo-Dio amico degli uomini, come ci ha solennemente proclamato la Lettera agli Ebrei: ‘Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio‘ (cf. Eb 1,1-2). Questo è il vero prodigio da contemplare nell’adorazione umile e silenziosa.
    2. Il Padre ci ha donato Gesù. ‘Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna’. (Gv 3,16). Il Natale è una festa in cui attendiamo di scambiarci auguri e doni. Ma è prima di tutto il dono che Dio fa all’umanità! Ci commuove questo Bambino! Suscita tenerezza come tutti i piccoli! Ma insieme alla tenerezza c’è anche lo stupore di ciò che mai si è udito prima: il Dio grande ed eccelso viene ad abitare fra gli ultimi della terra. Nessuno dovrà mai sentirsi escluso dal suo abbraccio. Per il Dio Creatore e Signore di tutto, non c’è un posto dignitoso dove nascere, non c’è sistemazione migliore che una mangiatoia. È il presepio vero, quello della storia, quello di una notte anonima, quello che non attira l’attenzione di nessuno, quello che si allestisce nell’indifferenza della storia, caratterizzata dalla frenesia e dalla distrazione di quanti sono costretti a viaggiare per il censimento ordinato dal potente Augusto imperatore.
    Dio nasce nel silenzio. Il suo vagito di bimbo è la sola voce che gli è concesso di far sentire. La voce di un piccolo, di un povero, di un escluso. Dio nasce bisognoso e fragile per stare al fianco di ogni esperienza umana: mostra il volto di un Dio che si preoccupa dell’uomo, e gli si fa simile perché nessuno possa dirsi abbandonato, perché ogni uomo scopra fino a che punto egli lo abbia amato.
    Un abbraccio ‘ fra una mamma e suo figlio, fra due fidanzati, fra due amici veri ‘ non si spiega a parole, né con teorie. Si mostra e basta. Dice col gesto i sentimenti che vi stanno dietro, che lo hanno generato.
    La nascita di Gesù è l’abbraccio di Dio all’umanità. Nessuno può dubitare di essere da lui amato. Specie quanti sono prostrati dagli eventi della vita, vengono ‘riabbracciati’ da lui, per ottenere speranza: di più il Signore non poteva pensare.
    Come ci invita il profeta Isaia nella prima lettura, si può esultare ad alta voce, perché tra i canti di gioia non c’è rovina che non possa essere visitata da Dio. Le rovine dell’esistenza, dell’umanità ferita ed abbrutita: Dio viene e porta la speranza all’umanità ai margini perché egli stesso la visita come uomo ai margini.
    3. Cosa ci dice allora il Natale? Continuiamo a respirare lo stordimento di un consumismo sfrenato che utilizza i nostri migliori sentimenti per ridurre tutto ad una festa senza il festeggiato. Sento il dovere di ribadire che questa spinta consumistica è anche irresponsabile in questo tempo in cui una crisi economica diffusa a tutti i livelli chiede maggiore senso di responsabilità e precise scelte di sobrietà.
    Il Natale non può essere ridotto a sentimenti melliflui da godere nell’egoismo. Dio che si fa povero, ultimo fra gli ultimi, ci invita ad assumere uno sguardo sempre nuovo sulla realtà e a farci concretamente pensare a quanti condividono ancora oggi le miserie dell’uomo, i suoi affanni, la povertà a qualsiasi livello, materiale, morale, sociale, spirituale.
    Per scelta, il Figlio di Dio nasce vicino a quanti soffrono. Nella nostra Italia la ricchezza si concentra ancora e sempre di più in mano a pochi. Tanti sono provati dalla miseria, dalle difficoltà economiche che attanagliano soprattutto le famiglie rischiando di farle soffocare in un’angosciosa paura di non arrivare a fine mese. Dio nasce povero e dimenticato, proprio come tante famiglie che vivono in questa emergenza.
    Se vogliamo vivere veramente il Natale dobbiamo farlo nella carità, riflesso dell’Amore di Dio. Solo per fare un esempio’ Abbiamo idealmente invitato a pranzo qualche povero, destinando qualcosa ai bisognosi della nostra Città?
    Abbiamo pensato, fra le tante cose, ad alleviare con la nostra visita la solitudine di qualche ammalato o di qualche anziano che conosciamo?
    Abbiamo soprattutto dedicato più tempo ad una concreta revisione personale, confrontandoci con la Parola di Dio, con i Comandamenti, e celebrando il sacramento della Riconciliazione?
    Sono solo alcuni esempi, ma possono essere termometro del nostro Natale ‘ Troppe sono le conseguenze del degrado morale, del dilagare del vizio, dello scadimento di una umanità che gioca solo ‘al ribasso’, senza attenzione alla dignità della persona umana. L’uomo ‘ ferito dal peccato originale ‘ continua oggi a inseguire modelli di umanità che non realizzano in pienezza il progetto di Dio per lui. Gesù nasce per indicare all’uomo la vera umanità, contagiandola della divinità, aprendola all’eternità, facendola partecipe di un disegno che desidera soltanto la realizzazione del bene: ‘Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo’ (GS 41). Venendo nel mondo Dio ci insegna la via della vicinanza all’uomo.
    Ippolito di Roma così si esprime: ‘Noi sappiamo che il Verbo si è fatto uomo, della nostra stessa pasta: perché, se non fosse così, invano ci avrebbe domandato di imitarlo. Se quest’uomo, Gesù, fosse stato di un’altra sostanza, come avrebbe potuto chiederci, a noi deboli per natura, di comportarci come lui si è comportato?’. Crediamo in un Dio che si è reso leggibile, accessibile, disponibile, imitabile. Un Dio che ha espresso pienamente il suo Amore assumendo l’umanità. Un Dio che non ha scelto altra strada per amare se non quella di umiliarsi e farsi uomo come noi. Egli ci ha amati dall’interno della nostra condizione. Non in modo freddo e distaccato, ma in maniera coinvolta, pienamente ‘in situazione’.
    4. Carissimi fratelli e sorelle, dobbiamo indicarci reciprocamente, l’uno all’altro la mangiatoia di Betlemme. E questo significa spronarci vicendevolmente a incontrare Cristo negli emarginati e negli esclusi. Impariamo da lui ad amare i fratelli ‘in situazione’, facendoci autentici compagni di cammino, specie del cammino più arduo e delle fatiche più scomode. L’amore vero si dimostra nel coinvolgersi fino al punto da farsi piccoli, da perdere, da cedere ai nostri egoismi ed aprirci all’altro, chiunque esso sia. Guardando al Bambino siamo tutti interpellati a guardare a coloro che hanno l’ultimo posto nella società, che sono marchiati a fuoco dall’emarginazione, che sono mortificati dall’indifferenza.
    Per gli ultimi Gesù viene a portare speranza di una Vita ‘ quella piena, vera, gioiosa ‘ che non si ferma al limite delle fragilità, che vince la miseria del peccato e della morte, che sa di eternità. Il Bimbo di Betlemme nasce come luce nella notte dell’uomo, e gli annuncia la possibilità di riempire di questa stessa luce i suoi occhi, per vedere la realtà in modo nuovo e definitivo.
    Ma per farlo bisogna farsi umili e semplici come i pastori. Solo i piccoli possono vedere il Piccolo! Dinanzi agli occhi di chi umilmente si piega, si dispiega il mistero di Dio. Chi si lascia vincere dall’Amore che Dio gli ha dimostrato, cambia il suo cuore e si rende disponibile ad amare a sua volta.
    5. Certo c’è il mistero della libertà dell’uomo di tutti i tempi: ‘Venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto’ (Gv 1,11). È il rifiuto di chi crede di bastare a se stesso. Di chi crede di riporre la speranza di salvezza in se stesso, o in altro che non è Dio. Il vangelo ci risponde: ‘A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati‘ (Gv 1,12-13).
    Davanti alla mangiatoia di Betlemme sta la morte dell’uomo che si chiude ne suo egoismo autosufficiente, o la vita di chi accoglie una nuova nascita, di chi accoglie, in quel Bambino, il dono di divenire figlio di Dio.
    Afferma San Leone Magno: ‘Egli nell’assumere la nostra natura è diventato la nostra scala, di modo che possiamo salire a lui per mezzo di lui stesso‘. Sì! Noi abbiamo la possibilità di raggiungere Dio perché Dio si è abbassato fino a farsi uno di noi. ‘Dio si è fatto come noi, per farci come lui‘ recita un famoso canto popolare. Il serpente antico aveva tentato Adamo proponendogli di divenire dio senza Dio. Cristo annienta la superbia di Adamo con la sua nascita umile e povera, e la sua carne diviene l’unica via per la nostra santificazione. Ancora San Leone Magno si chiede: ‘Cosa poteva essere più idoneo a sanare gli infermi, a illuminare i ciechi, a ridare vita ai morti, di una cura costituita dalla medicina dell’umiltà per sanare le ferite della superbia?’
    Quanti accolgono il dono di una vita nuova, la condividono da fratelli. Nasce un’unica nuova famiglia di Dio, figli nel Figlio, cementati dall’amore ricevuto e da quello che si scambiano reciprocamente. Quell’amore che non dipende né da carne né da sangue, ma che redime carne e sangue, perché redime la realtà dell’uomo fin dentro il suo peccato più squallido.
    Dinanzi alla mangiatoia riconosciamo il disegno di salvezza che Dio ha pensato e voluto per gli uomini. Ma come sua famiglia ci impegniamo a renderlo attuale nel mondo.
    Il Natale di Gesù conta anche su di noi per essere percepito come evento di salvezza da tutti. Missionari ‘ per così dire ‘ di un Natale vero, senza ipocrisie né materialità. Un Natale in cui apriamo gli occhi e vediamo il Dono di Dio, in cui ci muoviamo verso Betlemme in modo autentico, responsabile, concreto.
    Per poi far ritorno carichi di nuova gioia e di nuovo stupore da portare agli altri, con quella serenità e quella pace che nascono dall’incontro che cambia la vita sul serio.
    Auguri!