Omelia di S.E. Mons. Corrado Lorefice
Stamattina ho pregato con un Inno della Comunità monastica di Bose. Desidero condividerlo con questa santa e amata Assemblea che, unita al suo vescovo, inizia il ‘tempo opportuno’ della Quaresima, sacramento della nostra conversione (Colletta della I domenica di Quaresima).
Quaresima è tempo di prova
cammino nell’arida terra
ritorno al Dio vivente
domanda del giorno pasquale.
Preghiamo assidui il Signore
la veglia accenda l’attesa
offriamo a Dio il digiuno
e il cuore capace di pianto.
In croce il Cristo ci attira
le braccia distese sul mondo
andiamo all’incontro nuziale
è questo il tempo di grazia.
Con questo tempo liturgico della Quaresima – illuminato nel suo inizio dal segno delle ceneri sulla testa – la Santa Madre Chiesa, come ci fa pregare una Colletta, invoca la miseratio continuata di Dio: «Con la tua continua misericordia, Signore, purifica e rafforza la tua Chiesa» (Lunedì III settimana). Essa, conoscendo il «cammino nell’arida terra», è certa di aver peccato contro di lui (cfr Sal 50,6), ma altresì che «le misericordie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue compassioni, esse sono rinnovate ogni mattina perché grande è la sua fedeltà» (Lm 3,22-23). Ritorno al Dio vivente.
Noi cristiani viviamo del perdono di Dio. La forma e la vitalità della famiglia dei discepoli e delle discepole del Signore che è la Chiesa, lungo lo scorrere dei tempi, dipendono dal dono di Dio. E per questo, di anno in anno, ripercorrendo nella liturgia tutto il mistero di Cristo, sente il bisogno di avere un «cuore capace di pianto» e di tenere «fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio» (Eb12,2). In croce il Cristo ci attira.
La Chiesa che si ritrova per ricevere il segno delle ceneri sul capo e che intraprende l’itinerario quaresimale, è prima di ogni cosa desiderosa di contemplare il Crocifisso, il perdono senza limiti, l’infinita tenerezza della magnanimità e della grazia disarmata di Dio. È la chiesa assidua nella preghiera, che non ama esser vista dalla gente, che frequenta nel segreto la cameretta più interna, lo sgabuzzino (ταμεῖόν) interiore, dove sta al cospetto del Padre (cfr Mt 6,6), protesa, in maniera coerente e decisa, alla centralità sorgiva del mistero pasquale, della morte e risurrezione di Gesù, al quale siamo stati associati nel battesimo. Domanda del giorno pasquale.
Chiesa che confessa la ferma volontà di volersi esporre prolungatamente alla grazia del Signore e di vivere bene secondo “la forma del santo Vangelo” (Francesco di Assisi, FF 116). È questo il tempo di grazia.
Così, alla miseratio continuata di Dio, corrisponde la consapevole necessità di una conversio continuata della Chiesa al Signore, «misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore» (Gl 2,13). Ma noi non ritorniamo a lui se non quando egli ci fa ritornare, e per questo oggi facciamo nostre le parole del Libro delle Lamentazioni: «Convertici, Signore, e noi ci convertiremo!» (Lam 5,21). E noi a lui andiamo, senza perdere il passo, anzi accelerandolo, nella certezza della “gioia della sua salvezza” (cfr Sal 50,14). La veglia accenda l’attesa.
Nella Lettera ai Corinzi san Clemente I, papa, scrive: «Prostriamoci davanti al Signore supplicandolo di essere misericordioso e benigno. Convertiamoci sinceramente al suo amore. Ripudiamo ogni opera di male, ogni specie di discordia e gelosia, causa di morte. Siamo dunque umili di spirito, o fratelli. Rigettiamo ogni sciocca vanteria, la superbia, il folle orgoglio e la collera». L’esercizio del digiuno e della penitenza quaresimale, le rinunce per dare il giusto valore alle cose, rafforzino il nostro uomo interiore e ci facciano ritrovare la parresia della libertà cristiana, la gioia del perdono dei peccati e una vita rinnovata a immagine del Cristo crocifisso e risorto. Offriamo a Dio il digiuno.
Le nostre braccia distese come le sue, accoglienti e capaci di abbracciare come lui solo sa fare; lui, testimone credibile dell’abbraccio del Padre, inviato a partecipare a tutti il «bacio» di Dio, «lo Spirito Santo – come lo definiva Bernardo di Chiaravalle -, che è del Padre e del Figlio l’imperturbabile pace, il forte cemento, l’indiviso amore, l’indivisibile unità» (Sermoni sul Cantico dei cantici, Sermone VIII). Adoperiamoci a porre con audacia ‘fatti’ di Vangelo. Riscopriamo il comandamento dell’amore, disposti anche a vivere il dono del proprium cristiano che è l’amore dei nemici (cfr Mt 5,43-45), pratichiamo la giustizia ed impegniamoci ad essere operatori di pace, certi «che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale» (Etty Hillesum). Seminiamo parole e segni di misericordia e di riconciliazione, pratichiamo gesti concreti di carità e di accoglienza soprattutto verso i bisognosi, i piccoli, gli anziani, i profughi e i senza voce, con l’impegno di adorare in loro la presenza del Signore, considerato che qualunque cosa abbiamo fatto ad uno di questi fratelli e sorelle l’abbiamo fatta al Signore. Le braccia distese sul mondo.
Lui tornerà alla fine dei tempi a giudicarci sull’amore (cfr Mt 25,31-46). Andiamo all’incontro nuziale.