1. Carissimi giovani provenienti da tutte le parti della nostra bella Sicilia, come “è bello e gioioso stare insieme come fratelli” (cfr. Sal 132)! Come è bello ritrovarci fratelli nella fede comune che professiamo insieme! Come è bello comunicarci reciprocamente la gioia e la fatica del credere, e farlo qui ai piedi della Vergine Maria, in questo Santuario! Grazie, cari giovani, per la vostra presenza!
2. Protagonisti della liturgia di questa domenica sono dieci lebbrosi, che, a distanza, implorano la guarigione: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. Gesù risponde sfidando la loro fede: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Un ordine un po’ strano… Secondo la Legge un lebbroso doveva presentarsi dinanzi ai sacerdoti solo una volta guarito, perché i sacerdoti ne riconoscessero l’avvenuta purificazione e lo riammettessero all’interno della comunità. Invece Gesù manda questi lebbrosi dai sacerdoti quando ancora essi non sono guariti.
Essi compiono un atto di fede nel Signore che li chiama a fare un gesto apparentemente incomprensibile, ma che diventerà fecondo proprio nel corso del cammino: “E mentre essi andavano, furono purificati”. Un po’ come, nella prima lettura, il lebbroso Naamàn il Siro, pur ritenendo assurdo il comando di andarsi a bagnare sette volte nel fiume Giordano, pone fiducia nelle parole del profeta e riesce a guarire.
Da qui il primo spunto: la fede in Gesù Cristo ci mette in movimento, ci indica un cammino da seguire, anche quando esso sembra non soddisfare immediatamente le nostre richieste, anche quando esso sembra un cammino incomprensibile, o apparentemente inutile. Ma è durante il cammino, nel corso di questo fiducioso abbandono che la fede si prova e porta il suo frutto. Raccogliamo frutti dai nostri cammini di fede, non dalle nostre pretese. Spesso esigiamo risposte, mentre lo stile di Dio è quello di una proposta di cammino dietro a Gesù, fondati sulla sua promessa di vita nuova ed eterna.
3. Il secondo spunto di riflessione. Ad un certo punto uno dei dieci, un Samaritano, vedendosi guarito come gli altri nove, ritorna da Gesù per esprimergli la sua riconoscenza. Questo Samaritano, differentemente dagli altri, modifica il suo percorso per esprimere all’autore di quella guarigione un sentimento nuovo: la gratitudine.
La guarigione di questo Samaritano non è più soltanto una guarigione fisica, perché, alla fine, Gesù gli dice: “la tua fede ti ha salvato”. La salvezza di questo Samaritano è più della sua guarigione. Dalla fede, fatta di obbedienza, questo Samaritano giunge alla gratitudine per la fede ricevuta e alla salvezza che dalla fede è scaturita.
Nell’orazione colletta di oggi abbiamo pregato: Dio, “fa che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo”, ma che “torni a renderti gloria per il dono della fede”. Il nostro rapporto con Dio deve andare ben aldilà delle cose che chiediamo. Questo Samaritano, oggi ci fa da maestro. E Gesù lo rende esempio per tutti noi, per dirci un passaggio essenziale: dalla fede alla gratitudine per ciò che nasce dalla fede. E questa è salvezza!
4. Al centro di questi giorni abbiamo messo la fede. E in questo “cuore mariano” della nostra bella Sicilia, non possiamo non guardare a Maria, che è prima di tutto modello della fede, donna di fede. Una “giovane donna” che per fede ascolta quanto il Signore le dice e accoglie la sfida di un progetto ancora tutto da definire.
Pensiamo all’Annunciazione, quando Maria si fida della Parola recata dall’angelo. Ha ragione Sant’Agostino quando scrive di Maria: “La fede nel cuore, Cristo nel grembo… La vera grandezza di Maria sta qui. Infatti, vale di più per Maria essere stata discepola della parola, anziché Madre di Cristo”.
La fede di Maria la rende discepola, la fa camminare dietro al figlio Gesù. Paolo VI nella Marialis Cultus, parla di Maria come “la prima e più perfetta discepola di Cristo” (nn. 35 e 37). E il Beato Giovanni Paolo II, nell’enciclica Redemptoris Mater dice “Maria madre diventava […], in un certo senso, la prima discepola di suo Figlio, la prima alla quale egli sembrava dire: “Seguimi”, ancor prima di rivolgere questa chiamata agli apostoli o a chiunque altro (cf. Gv 1,43)” (RM n.20).
Da Maria impariamo che nella fede possiamo muoverci, camminare, obbedendo ad una Parola che ci rinvia ad un progetto di Dio per noi e per il mondo intero. Donna di fede, Maria è modello di un’accoglienza fiduciosa dei piani di Dio, anche quando questi sono misteriosi, apparentemente incomprensibili o non totalmente motivati. E’ quanto, come ho già detto, ci hanno consegnato anche gli episodi di oggi, dei dieci lebbrosi e di Naaman il Siro.
5. Inoltre, la Vergine Maria è anche modello di fedeltà. Perché porta avanti con gioia la sua missione, aderendo alla verità del progetto di Dio anche in mezzo alle difficoltà.
La fedeltà al progetto di Dio si misura nella sfida del quotidiano, e Maria prova il dramma di questa sfida nel suo cuore, direi nella sua umanità, nella sua maternità. Il contesto della nascita di Gesù, la fuga in Egitto, la sequela del figlio nella vita pubblica, fino al compimento ai piedi della croce, proprio dove è più difficile continuare a rimanere fedeli. Nel buio e nel silenzio del sabato santo, Maria ha continuato ad essere fedele per insegnare a noi la speranza.
Maria ci insegna quella fedeltà quotidiana al nostro dovere, che si esprime nellaresponsabilità che da uomini e donne abbiamo di fronte a questa società. L’ “Eccomi!” di Maria, costantemente ripetuto, nella quotidianità della sua vita, deve essere anche il nostro.
Con noi Dio pensa ancora “in grande”, ma lo fa attraverso il nostro semplice “eccomi”. È l’ “eccomi” della fedeltà agli impegni battesimali, che si coniuga e si specifica nella varietà degli stati di vita, dei carismi e delle missioni che ci arricchiscono come Corpo ecclesiale e ci fanno essere “sale della terra” e “luce del mondo”.
6. Infine, cari giovani, Maria è anche Madre che piange. Ecco le Lacrime della Madre, che – come affermò Pio XII (Radiomessaggio del 17 ottobre 1954) – sono un “arcano linguaggio”, un misterioso modo di dire l’amore di Maria per l’umanità.
Sono lacrime di vera compassione per la famiglia umana, segnata da tante ferite. Ferite di odio, di discriminazione, di povertà, di perversione, di peccato e di morte, di violenza e di sopraffazione, di fame e di ingiustizia, di guerra.
Sono lacrime che indicano lo sbocco della fede: lavorare per l’unità della famiglia umana vivendo la carità. Il compimento del nostro credere è quel ritrovarci insieme a condividere il cammino nelle difficoltà, a portare i pesi gli uni degli altri, a piangere con chi piange, e a gioire con chi gioisce.
E’ il forte messaggio lanciato dal Santo Padre Francesco nella recente visita a Lampedusa, questa estate: “Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! … Domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo” (Omelia nella S. Messa al Campo sportivo Arena, 8 luglio 2013).
Questo saper piangere sulle povertà dell’uomo, sui drammi sociali e sulle difficoltà del cammino comune, non è sterile: è consapevolezza che nessun fratello ci è estraneo, e che la nostra fede non ci garantisce un quieto vivere di egoismo ma diventa impegno d’amore, servizio per il bene dell’altro e per il bene comune, instaurazione progressiva del regno di Dio, novità di un’umanità diversa che nasce proprio dal cuore convertito all’amore.