Nm 21,4b-9; Sal 77; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17
‘Non dimenticate le opere del Signore!’
Carissimi fratelli e sorelle!
1. L’esortazione che ci è stata rivolta dal salmo responsoriale appena ascoltato ci offre una ricca chiave di lettura per questa celebrazione, e ci sprona ad avere tutti un medesimo atteggiamento: la memoria grata della Chiesa di Monreale diventa stamattina preghiera e festa. Ancora una volta ricordiamo e celebriamo l’amore di Dio, un amore che si è manifestato nel sacrificio della Croce gloriosa del Salvatore.
Nella gioia di questa solennità mi è particolarmente gradito ricambiare, con un saluto affettuoso, l’accoglienza di S.E. Mons. Salvatore Di Cristina, Padre e Pastore di questa porzione di gregge di Dio che è in Monreale. Lo ringrazio di cuore per avermi rivolto l’invito a presiedere questa solenne Celebrazione, in nome di quei vincoli di antica amicizia, ma in particolare di fraterna comunione che possono e devono rinsaldare i rapporti tra le nostre chiese, chiese sorelle, così antiche e così vicine territorialmente, chiese le cui storie di salvezza e di progresso civile si intersecano nel solco dei secoli.
Ringrazio anche le gentili e distinte Autorità che non hanno voluto mancare a questo sentito appuntamento di fede e di unità del popolo monrealese.
Rivolgo un saluto e un ringraziamento ai Rappresentanti dei diversi gruppi confraternali che, da varie parti della Sicilia, come pure dall’Europa, hanno desiderato condividere questo momento di fede e di gioia, dando così, con la loro presenza, un contributo di comunione e di ecclesialità.
Ringrazio, infine, per il calore e la devozione che questa assemblea liturgica mi sta testimoniando, nella partecipazione ad un tempo festosa e commossa, nelle diverse componenti di questa comunità ecclesiale che tradizionalmente qui si raccolgono in preghiera.
Tutti siete giunti dinanzi alla sacra effigie del Crocifisso, vostro Patrono e Protettore. Avete seguito i passi dei padri che hanno tracciato il cammino di questa Città e vi hanno consegnato questa devozione come una perla da custodire e far brillare. E ciò dimostra che questa Chiesa, questo popolo, non vuole dimenticare. Continua a desiderare di porsi sotto la protezione del Salvatore, e sente ancora nel suo cuore la promessa di benedizione e di amorevole cura: ‘Proteggerò questa città‘.
Monreale continua a fare memoria e a ringraziare con la sua lode. Quante volte questo popolo ‘ senza alcuna distinzione di ceto e di condizione ‘ si è rivolto al Signore contemplando questa immagine di sofferenza e amore! Quante volte essa ha comunicato a cuori distrutti o oppressi dal peccato la sua tenerezza, la sua accoglienza! È l’immagine che dice quanto Dio ha fatto per noi! È l’immagine che dice fino a che punto può arrivare l’amore! È l’immagine che ravviva la nostra attenzione e ci interpella tutti su quanto noi possiamo fare nella quotidianità della giornata terrena che il Signore ci concede di vivere!
Oggi ‘ come tante altre volte ‘ le braccia di Gesù distese sul legno della Croce, ci accolgono tutti. Tutti lo ascoltiamo parlare da questa cattedra radiosa, dal trono umile su cui ha voluto incontrare l’uomo, lì dove ha voluto unire cielo e terra.
2. ‘Non dimenticate le opere del Signore!‘. L’opera di Dio, la più grande ed eccelsa, è il suo Figlio che si dona agli uomini per amore. Il Crocifisso è il segno più eloquente di questa opera d’amore. È quanto abbiamo ascoltato dall’evangelista Giovanni: ‘Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna‘ (Gv 3,16).
Nessuno deve andare perduto’ Tutti sono destinatari di una promessa di vita eterna’ Una ‘buona notizia’ annunciata da un fatto: Gesù obbedisce alla volontà del Padre e dona al mondo la sua vita. Ma cosa c’è dietro alla sua passione e alla sua sofferenza? Ci sta ‘ potremmo dire ‘ un’altra passione, la ‘passione’ di Dio per l’umanità. Sinteticamente Origene afferma: ‘Se non avesse sofferto non sarebbe venuto a condividere la nostra vita umana. [‘] Qual è questa passione che ha sentito per noi? È la passione d’amore‘ (Omelie su Ezechiele, 6,6).
La croce parla ‘ cioè ‘ di un amore appassionato che giunge a rivelarsi in un gesto estremo: ‘Svuotò se stesso assumendo una condizione di servo,[‘] diventando simile agli uomini‘ (cf. Fil 2,7-8).
Gesù viene ‘innalzato‘ sul legno della croce. Ma dietro questo ‘innalzamento’ sta il suo amoroso abbassarsi fin dentro le piaghe dell’umanità. Gesù entra dentro la sua miseria e il suo limite. Il Crocifisso che troneggia in questa chiesa, è segno di quell’abissale profondità dell’amore di Dio: la croce è soltanto l’esito, ‘ diciamolo pure, assolutamente esagerato ‘ dell’appassionato chinarsi di Dio sull’uomo, del suo amore infinito e incondizionato. Sì! Quando Dio ama lo fa in modo inatteso e senza alcun limite, dandoci la prova più grande con l’offerta della sua vita per al nostra salvezza! Ed è proprio questo che dice tutto di lui’
3. Oggi il nostro sguardo converge verso questa effige così solennemente intronizzata. Bellezza e sofferenza si legano in modo indissolubile. E l’unico collante è l’amore di Dio per noi.
‘Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto‘ (cf. Gv 19,37). Questa icona d’amore è davvero la più eloquente per tutti. È la più leggibile. Non è certo la più comprensibile! Ma tutti ‘ davvero tutti ‘ possono leggerla. In essa infatti ciascuno può leggere e ritrovare la propria vicenda umana. E questo perché la sofferenza è l’unica moneta di scambio che tutti ritroviamo nelle tasche della nostra vita.
Cristo tende la mano all’umanità, ma lo fa come a partire ‘dal basso’ della condizione di povertà dell’uomo. Parte dalla sofferenza e dal dolore, non dall’altezza della sua divinità. Il Figlio dell’uomo ‘disceso dal cielo‘ può dare salvezza a chi crede in lui solo se ‘innalzato’ come il serpente di Mosè, solo se crocifisso alla povertà della nostra umanità.
È S. Agostino ad affermre che l’unica speranza per l’uomo sta in questo: ‘il Signore è disceso affinché in lui e con lui formino una sola persona coloro che per mezzo di lui vogliono salire in cielo. Bisogna rimanere in lui, essere una cosa sola, anzi una persona sola con lui‘ (Commento al Vangelo di Giovanni, Om. 12)
Gesù condivide la nostra fragilità svuotandosi di se stesso per riempirsi dei limiti di questa nostra umanità ribelle. Sì! Tutti ci ritroviamo in tasca la moneta della croce ma per questo nessuno può sentirsi solo! Nessuno può dirsi così umiliato e sconfitto, così oppresso e piagato, così in basso da non poter essere raggiunto da Dio.
4. C’è di più: il Crocifisso non ci fa soltanto ‘compagnia’. Il Crocifisso ci provoca. Isacco di Ninive afferma che Dio accetta di morire in croce: ‘per far conoscere al mondo il suo amore; perché fossimo fatti prigionieri di questo suo amore, tramite quel nostro grande amore che viene dall’aver sperimentato ciò‘ (Centurie, IV,78).
Dio fa conoscere al mondo il suo amore, lo rivela nella sua profondità e nella sua logica ma viene a proporre questa dolce prigione ad ogni uomo. Non si limita a dimostrarlo. Vuole provocarlo in ciascuno di noi.
La croce non può mai ridursi solo a una dimostrazione. E soprattutto una provocazione d’amore. ‘Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto‘ (cf. Gv 19,37). Non è solo un fatto di attenzione visiva. Chiede di essere compiuto mediante un autentico impegno di conversione del cuore.
Sarà sempre impossibile comprendere le ragioni del sacrificio della croce. Sulla follia di questo amore i cuori di tutti i tempi inciamperanno sempre. Si tratta di uno scandalo che obbliga a prendere posizione. L’uomo della croce chiede infatti di essere seguito e imitato: ‘Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua‘ (Lc 9,23).
Il Crocifisso a cui tutti guardiamo, punta al cuore di ciascuno di noi. La croce mi dice che anch’io devo far morire qualcosa nella mia vita. Sul legno devo inchiodare il mio peccato per far vivere Cristo in me, come afferma San Paolo: ‘Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.‘ (Gal 2,19-20).
Il Crocifisso non ci invita ad un’accettazione rassegnata e triste delle sofferenze che nella vita incontriamo. Ci invita ad assumere invece uno sguardo diverso sulla realtà, a morire con lui all’uomo vecchio per far nascere l’uomo nuovo.
5. Comprendiamo che sul legno della croce abbiamo da inchiodare le nostre passioni, il nostro egoismo, la nostra superbia, i rancori e le calunnie’ in una parola il peccato che spesso serpeggia nei nostri cuori e nei nostri ambienti. Sono troppi quei serpenti del male, brucianti e striscianti, come quelli incontrati dagli Israeliti nel deserto, che si insinuano nei nostri accampamenti, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nei nostri ambienti di lavoro, nei nostra rapporti sociali.
Come fu per gli israeliti nei confronti del serpente di Mosé innalzato, solo lo sguardo appassionato a Cristo crocifisso riattiva in noi un autentico percorso di conversione e di salvezza, perché dal suo amore impariamo la vita nuova nel perdono, nella giustizia, nella verità, nella comunione e nella fraternità.
La croce è per questo motivo albero fecondo. Gesù è fisicamente tenuto al legno della croce dai chiodi. Ma ciò che lo fa permanere nel compimento totale del dono di sé è l’amore per l’umanità. Questo amore esige di compiersi in ciascuno di noi. Specie quando la nostra carne si ribella e le nostre passioni si fanno sentire per scansare la croce, come per il Figlio dell’uomo: ‘Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui‘ (Mt 27,42).
È facile cioè perdere la centralità della croce. È facile smarrire il senso dell’azione di Dio per noi. È facile smarrire il valore delle nostre croci. La nostra natura fragile sembra incline a questa continua amnesia. ‘Non dimenticate’‘ Eppure l’opera più grande Dio l’ha compiuta in croce. E quest’opera vuole continuarla a compiere per sua grazia e con la nostra disponibilità. Le sue braccia aperte attendono i nostri ‘sì’, quelli piccoli di ogni giorno, che diventano grandi perché è grande l’amore.
Chiediamoglielo oggi con quella stessa fede che ci hanno testimoniato e consegnato i nostri padri.