Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Mi ha molto colpito che il prossimo Congresso Eucaristico Nazionale che si celebrerà quest’anno a Matera (22-25 settembre) abbia come tema Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale. La fragranza del pane spezzato e condiviso narra i desideri più profondi che portiamo nel cuore noi umani, commensali della mensa della Casa comune che è la Terra: vita e convivialità.
Nei Vangeli Gesù spesso si ritrova in contesti conviviali dove condivide il gusto del pane. Ce lo testimonia l’episodio narrato dall’evangelista Luca (9,11b-17). Gesù «prese a parlare alle folle del regno di Dio». La folla si accalca. Pende dalle sue labbra. Egli annuncia la bella notizia che Dio porta nel cuore ogni uomo e ogni donna come un autentico padre fa con i suoi figli, che il suo desiderio è che tutti abbiano vita in abbondanza. Proclama che Dio è felice di imbandire una mensa conviviale con tutti i suoi figli e figlie, ma proprio tutti; che conserva persino un posto a tavola anche per chi ha sbattuto la porta andandosene sperperando i beni di casa. Che la sua massima felicità è vedere riunita l’intera famiglia umana a condividere la bellezza e la gioia incontenibile di una fraternità compiuta. Narra con parole e segni che Dio ha viscere di misericordia per tutti i suoi figli e che si prende cura particolarmente dei più piccoli e dei più fragili. Luca infatti precisa che Gesù «prese a guarire quanti avevano bisogno di cure».
«I Dodici gli si avvicinarono dicendo: “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”». Ma il Vangelo del Regno che annuncia Gesù non è una nozione o qualcosa di astratto. In lui, il Regno di Dio si ‘in-vera’ nella vita degli uomini: «Voi stessi date loro da mangiare». Gesù supera l’evidenza della logica umana. Egli non conceda mai nessuno. Piuttosto dà se stesso, dona se stesso: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. […] Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,51.54). E nel suo darsi c’è il darsi di Dio Padre nel Figlio unigenito fattosi carne: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Si pregusta già qui a Betsaida quell’ultima cena pasquale di Gerusalemme, il gusto di quel pane che Gesù spezza e di quel calice che consegna e condivide ai suoi discepoli, anche a Giuda e a Pietro. «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”», trasmette l’apostolo Paolo ai Corinti. Gesù si fa pane. Per dare ad altri il gusto della vita e della convivialità, si dona come pane. Fa diventare la sua vita pane, corpo spezzato e donato, condiviso. «Date voi stessi da mangiare».
L’Eucarestia è il centro della vita del discepolo e della vita della Comunità cristiana e deve sempre più diventare principio vitale e normativo di tutta l’esistenza dei discepoli del Signore Gesù.
Nell’Eucaristia si attinge in maniera unica anche rispetto ad altre fonti lo Spirito Santo, primo dono del Crocifisso risorto ai suoi discepoli e al mondo intero. «La pienezza dello Spirito la riceviamo nell’eucaristia. È questa la via regale attraverso la quale lo Spirito di Dio si fa nostro spirito. […] solo lo Spirito che noi riceviamo attraverso il mistero del Cristo crocifisso e risorto può farci capaci di aspirare alla pienezza dell’incontro con Dio e della vita in lui» (G. Dossetti).
L’Eucaristia impianta in noi la vita in Cristo, secondo Cristo. L’Eucaristia interpella l’essere e conseguentemente l’agire delle nostre Comunità cristiane, di noi discepoli e discepole del Signore Gesù. Quel «date loro voi stessi da mangiare» in effetti, alla luce del corpo di Cristo che noi riconosciamo realmente presente dell’Eucaristia, dice a noi e alle nostre Comunità: «Date come cibo da mangiare voi stessi, donate anche voi il vostro corpo, la vostra vita, come faccio io. Fate questo in memoria di me». E a scanso di equivoci non si tratta di organizzare una presenza assistenziale, fare qualche opera di bene, di cosiddetta carità! È un comando che critica e contesta l’indifferenza e il paravento dell’impossibilità e della mancanza di risorse per poter far fronte al bisogno di vita e di convivialità che ogni giorno tocchiamo con mano sulle strade delle nostre città, nel pianerottolo del nostro condominio, nel territorio delle nostre Comunità parrocchiali, nella Casa comune che rischia di diventare una selva oscura, un deserto, un campo di battaglia tra uomini e donne sempre più nemici e meno fratelli.
«Paradossalmente, proprio la povertà che i discepoli vedono come ostacolo, è per Gesù lo spazio necessario del dono, […] segno della potenza, della benedizione e della misericordia di Dio e luogo di instaurazione di fraternità e di comunione. Non a caso l’esito è sovrabbondanza, la sazietà di tutti: “Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste” (9,17). E questa eccedenza è segno del dono di Dio, della sua presenza, della sua benedizione, dell’agire messianico» (L. Manicardi).
L’Eucaristia convoca il mondo intero. Dilata sempre la Chiesa, le nostre Comunità cristiane, i nostri cuori. «La mia carne che io darò è per la vita del mondo» (cfr Gv 6,51). È data anche per la vita di questa nostra città, che conosce incuria, povertà, violenza, indifferenza. Di questa nostra città, imbevuta del sangue dei martiri della giustizia e della fede, che vuole e deve tornare ad essere spazio comune di legalità, di solidarietà e di convivenza pacifica, giardino e non mondezzaio. Di questa nostra città che vuole riconoscere e onorare ogni corpo, a maggior ragione quando viene deposto nei suoi cimiteri in attesa della beatitudine della vita e della convivialità eterna. Di questa nostra città che oggi, proprio mentre in essa i cristiani celebrano il Santissimo Corpo e Sangue del Signore presente nel sacramento dell’Eucaristia, è raggiunta dall’ennesima notizia che un altro grave crimine internazionale si è consumato nel Nostro Mare. Ho appena ricevuto questo messaggio che ferisce la mia coscienza di uomo, di cristiano e vescovo: «Come possiamo celebrare serenamente la solennità del “Corpus Domini” quando nelle stesse ore il nostro Paese fa deportare nei lager libici 100 ultimi del mondo, nei quali si prolunga il corpo di Gesù. Questo è stato il respingimento di oggi: il respingimento e la deportazione nei lager libici del corpo di Gesù, che si prolunga nella carne di quelle 100 persone, proprio nel giorno in cui si adora in modo particolare il corpo del Signore».
Torniamo tutti al gusto del pane! Perché anche questo nostro tempo conosca pienezza di vita e convivialità.