11 giugno 2023
Omelia dell’Arcivescovo
“La Chiesa – ci ricorda il Concilio Vaticano II – ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli” (Dei Verbum, 21).
Nel Libro del Deuteronomio (Dt 8,2-3.14b-16a) Mosè invita il popolo a ricordare, a fare memoria, a tener presente l’esperienza del deserto. Là il Signore ha condotto ed educato il suo popolo alla semplicità, all’essenziale; gli ha fatto comprendere quali sono i bisogni elementari e quali derivano dalla bramosia del possesso e dell’accumulo, dall’ingordigia sfrenata dell’io idolatra. I bisogni indotti, il superfluo, l’insolenza, l’arroganza e il divertimento sfrenato disumanizzano le relazioni e allontanano da Dio. Nel lungo ed estenuante cammino del deserto Israele ha sperimentato che la parola di Dio ha il potere di suscitare alimenti insperati e inediti che nessun potere umano può dare. Dio ha sfamato e continuerà a sfamare. La sua parola fedele è capace di provvede il cibo essenziale sia nel tempo dell’esodo come anche nella stanzialità della terra promessa.
La seconda lettura (1Cor 10,16-17) ci offre uno spaccato della comunità cristiana di Corinto dove non c’erano solo opinioni differenti, ma ci si offendeva, ci si scomunicava, ci si malediva. La situazione era divenuta tanto incandescente da indurre Paolo a intervenire. Come convincere i corinti a mantenere l’unità e a rispettarsi, pur nella diversità di opinioni? Paolo va al cuore del memoriale cristiano, alla Cena del Signore, all’Eucaristia che si celebra in quella comunità come oggi nelle nostre comunità spesso stanche, inclini alla sedentarietà e divise.
L’Eucaristia non è un pane che può essere mangiato da soli, è il pane spezzato “per tutti” e condiviso con i fratelli della comunità e questo presuppone che tutti si impegnino ad essere realmente “un cuore solo ed un’anima sola” (At 4,32). È il pane ‘con-diviso’ che crea l’unità. La diversità serve l’utilità comune e deve condurre all’unità. E le differenze riconosciute diventano feconde solamente se si è schierati per l’unità frutto dell’unica fede e dell’unico amore riversato in tutti dallo Spirito, dono messianico del Crocifisso morto e risorto che ha offerto la sua vita per gli uomini e le donne amati da Dio-Padre.
Nel Vangelo odierno (Gv 6,51-58) le folle, stupite e ammirate, cercano Gesù. Come mai? Egli li vuole introdurre alla “vita eterna” e loro lo cercano solo come uomo capace di dare un pane che sfama. Hanno una fede immatura, piccola: si interessano a Gesù solo perché lo ritengono capace di soddisfare, mediante i miracoli, i loro bisogni materiali. Ma nel pane distribuito alla gente affamata bisogna imparare a riconoscere Gesù, “pane vivo, disceso dal cielo”, alimento che sazia l’uomo intero, tutto l’uomo, spirito incarnato nel mondo: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Sono le parole con cui inizia il brano di oggi (v. 51). Gesù li vuole far passare dalla ricerca del “cibo che perisce” a quello “che dura per la vita eterna” (Gv 6,27). Quando nella Bibbia si afferma che “l’uomo è carne” (Gn 6,3), ci si riferisce al fatto che è debole, fragile, precario, soggetto alla morte. Nel prologo del suo vangelo, Giovanni dice che “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14) e si riferisce all’abbassamento del Figlio di Dio nella condizione umana, alla sua discesa al livello infimo, fino a partecipare degli aspetti più fragili e caduchi della carne. Fino a consumarsi, a donarsi, decidendo di sé per un amore più grande. Per assumerci nell’amore e all’amore di Dio Padre.
Condividere e mangiare l’Eucaristia significa mangiare la carne di Gesù Cristo, essere assimilati alla sua vita e performati dalla sua logica. Chi si fa assimilare a Cristo mangiando il suo Corpo sacramentale, non vive più la sua vita “nella carne” per se stesso ma in lui, per lui e per altri (cfr Gal 2,20). Viene rigenerato mentalmente in virtù dell’obbedienza d’amore alla sua parola: “prendete, mangiate, fate questo in memoria di me” (Mt 26,26). Gesù Cristo ci coinvolge nella sua stessa relazione d’amore con il Padre: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Gesù si dona come cibo per unirci a sé, per assimilarci a lui per farci diventare un unico corpo in lui, il suo Corpo, la sua Chiesa.
Se la manna però è data per il popolo nel deserto, l’Eucaristia è data per la Chiesa nella città. Le parole di Gesù ascoltate oggi nel Vangelo vogliono introdurre la folla al senso ultimo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Secondo l’evangelista Giovanni, Gesù le pronuncia a Cafarnao nella sua città. Così come Gesù il gesto della fractio panis lo farà nella stanza superiore della casa di Gerusalemme (cfr Mc 14,15) e lo ripeterà nella casa di Emmaus (cfr Lc 24,30). Da allora l’Eucaristia è il centro della Chiesa, il cuore pulsante e irrorante delle nostre comunità. E le fraternità cristiane la celebrano e la attuano nella santa Messa, al centro della comunità e al centro della città. L’Eucaristia invia, è sempre inviata nella città: “Ite missa est”, andate è inviata (l’Eucaristia).
L’Eucaristia vive al centro della città, perché celebrata da uomini e donne che fanno parte anche di una comunità cittadina. Sì, al centro della città che è soprattutto ed essenzialmente un agglomerato di case, un tessuto di relazioni umane, un’esperienza umana viva, radicata territorialmente, storicamente e culturalmente; una comunità di persone, in particolare di famiglie, e di spazi relazionali lavorativi e professionali, formativi e associativi; una comunità carica di attese e di speranze, di traguardi e di travagli, di benessere e di malessere, di redenzione e di perdizione, di creativa solidarietà e di strutture perverse di peccato. Ma l’Eucaristia al centro della città non è invasiva, non tende a guadagnare spazi, a imporre un ‘potere divino’. È presenza umile e feriale di Gesù Salvatore – pane, corpo frantumato –, dono della Parola del Signore che semina vita in abbondanza; compagna discreta, custode e promotrice di solidarietà; annuncio di speranza dei Cieli e della Terra nuovi, energia di comunione e di alleanza degli uomini e delle donne con Dio, segno e fermento di unità, sostegno di cammini di conversione e di rigenerazione, fonte di vita rinnovata.
Penso in questo momento anche alla nostra città “bella e tormentosa” (Card. Salvatore Pappalardo), ancora martoriata, dove nelle madie di casa non c’è farina per impastare il pane, dove non ci sono ancora tetti per posare il capo, lavoro per provvedere alle nostre famiglie, spazi dignitosi per seppellire i morti e luoghi idonei per conferire i rifiuti. Dove i piccoli e le donne spesso non sono tutelati, gli anziani sfruttati e abbandonati. Dove tanti giovani mangiano e fumano hashish e muoiono di crack, dove si diventa pusher da bambini sotto gli occhi compiacenti dei genitori, dove la febbre del sabato sera scatena branchi giovanili sempre più violenti.
Don Giuseppe Dossetti, descriveva l’Eucaristia che celebriamo nelle nostre comunità incastonate tra le case dei nostri quartieri, come il sale, il lievito, la luce e l’anima della città: «Come la Chiesa riunita nell’assemblea eucaristica è l’epifania anticipata del Regno, così la Chiesa inviata dall’Eucaristia è un’epifania se volete della polis salvata: “politicità” tutta sui generis, che non governa e non ha potere, che non muove verso gli altri per quello che hanno di appetibile, ma unicamente per quello che sono in mysterio (anche se poveri, deformi, incoscienti, in tutto inappetibili): cioè non incontra l’uomo dall’esterno e in superficie, ma lo incontra nel suo “sè” più intimo, più invisibile, più pneumatico, creando e divulgando ovunque […] un’atmosfera di rispetto, di comprensione, di fiducia, di valorizzazione degli esclusi, di amore-oblativo indipendente da ogni condizione esterna mutevole che “non avrà mai fine” (1Cor 13,8)» (Eucaristia e città).
La fiducia che ci viene dalla presenza eucaristica di Gesù nel cuore della città ci spinge a guardare a tutti coloro che vi abitano – anche da poco tempo o in condizioni svantaggiate, o ristretti in un carcere – come a persone da accogliere, da aiutare, da inserire nel grande compito di dare un volto umano all’esistenza quotidiana della nostra metropoli. Stasera porteremo in processione nelle nostre strade l’Eucaristia perché essa stessa ci vuole e ci rende vicino a tutti coloro che hanno la volontà sincera di costruire una città sempre più a misura d’uomo, il che vuol dire anche a misura di bambini, di anziani, di malati, di persone sole o in difficoltà, di emarginati e di stranieri non riconosciuti.
Continuiamo a celebrare l’Eucaristia, sia il cuore pulsante delle nostre comunità al centro della nostra città. Accogliamo il dono dell’Eucaristia e continuiamo a farne dono alla nostra città. Più tardi, recando in processione il Corpo del Signore noi vogliamo impegnarci e dire a tutti che nell’amore siamo una sola cosa e intendiamo camminare tutti per la stessa strada, per l’unica strada di Dio e della sua eternità, in virtù dell’unico pane della vita eterna. Che vogliamo contribuire a che questa città maturi sempre più un senso comunitario della vita, la corresponsabilità nel costruirla come dimora fraterna e solidale, gioiosamente fiera di condividere con tutti la sua ricca stratificazione artistica, la sua profonda cultura e la sua peculiare tradizione, testimone di una contaminazione che continua a renderla unica, bella e attrattiva.