La costruzione di un mondo nuovo, più giusto e fraterno, è il sogno, ma anche l’impegno di tutti. È opera dell’uomo, ma risponde al disegno di Dio creatore, e non può realizzarsi compiutamente senza il sostegno del suo previdente e provvidente amore.
Ce lo ha ricordato il salmista con un’affermazione che stronca l’arroganza dell’assolutismo dell’uomo sganciato da Dio, dell’uomo che si illude di poter costruire il suo futuro senza o peggio contro Dio, dell’uomo che presume di prendere il posto di Dio. ‘Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori’ (Sal 126,1).
Il senso di questa affermazione è stato precisato da Gesù nel Vangelo: ‘Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta’ (Mt 6,33). Non si costruisce la Città dell’uomo, veramente degna dell’uomo, se non fondandola su autentici valori religiosi e morali.
2. D’altra parte, la visione trascendente della vita dell’uomo, non circoscritta nel presente e negli angusti confini dell’esistenza terrena, ma protesa verso l’eternità del Regno di Dio nella prospettiva dei ‘cieli nuovi’ e della ‘terra nuova’ (cf Ap 2,1), non solo non indebolisce, ma piuttosto stimola il senso di responsabilità verso la terra presente, motiva l’impegno nella costruzione della città terrena e rafforza il compito ‘di contribuire con la luce del Vangelo alla edificazione di un mondo a misura d’uomo e pienamente rispondente al disegno di Dio’ (EdE, 20).
Per questo, Gesù ci ha insegnato a chiedere al Padre l’avvento del suo Regno, ‘Venga il tuo Regno’ (Mt 6,10), e ha promesso la sua indefettibile presenza in mezzo a noi: ‘Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo’ (Mt 28,20). È una promessa, che apre il cuore alla speranza anche nelle fasi più oscure della storia umana, e trova la sua piena e definitiva realizzazione nella presenza eucaristica, la presenza per antonomasia del Signore.
In questa sua incessante presenza, che è sacrificale e conviviale insieme, è iscritta la promessa di una umanità rinnovata dal suo amore.
Non per nulla l’evangelista Giovanni, che a differenza degli altri tre non narra l’istituzione dell’Eucaristia, ne illustra il significato più profondo col racconto della ‘lavanda dei piedi’, in cui Gesù si fa esempio e maestro di comunione e di servizio.
3. Celebrare l’Eucaristia comporta l’impegno di trasformare la propria vita in senso eucaristico, ossia nella logica della donazione e del servizio, per contribuire a trasformare il mondo nella giustizia e nella pace.
È quanto chiederemo al Signore nell’orazione sulle offerte e soprattutto nel Prefazio.
Nei segni del pane e del vino la Chiesa consacra a Dio la fatica dell’uomo, chiamato a cooperare con il lavoro quotidiano al progetto della creazione e destinato a diventare in Cristo, l’uomo nuovo, con la grazia dello Spirito Santo, artefice di giustizia e di pace.
Un compito, questo, indubbiamente difficile: esige l’assunzione di quella responsabilità sociale che l’apostolo Paolo nella prima lettura ha ribadito con forza, proponendo l’esempio della sua condotta, condannando coloro che vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione, e riaffermando una regola sempre attuale: ‘Chi non vuol lavorare neppure mangi’ (2Ts 3,10). Per noi cristiani, la luce che illumina questo compito e dona la forza per attuarlo, anche nelle condizioni più difficili, è l’Eucaristia.
4. Nell’enciclica Laborem excercens, l’amatissimo Papa Giovanni Paolo II ha illustrato il ‘Vangelo del lavoro’, inteso, il lavoro, come ogni opera compiuta dall’uomo ‘non solo per procurarsi il pane quotidiano, ma anche per contribuire al progresso della scienza e della tecnica e soprattutto all’incessante elevazione culturale e morale della società in cui vive in comunità con i propri fratelli’ (n. 1).
Il Vangelo del lavoro è Gesù stesso: per quello che ha detto e per quello che ha fatto.
Facendosi uomo, il Figlio di Dio si è presentato alla storia come un lavoratore. Lo ha fatto non solo per affermare la dignità del lavoro umano, ma anche, e di conseguenza, per presentare il lavoratore come collaboratore di Dio Creatore e Redentore.
E poiché nell’Eucaristia è veramente, realmente e sostanzialmente presente la persona di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, essa è un richiamo perenne alla dignità del lavoratore, al rispetto dei suoi diritti ma anche all’osservanza dei suoi doveri.
5. Contro una concezione materialistica ed economicistica del lavoro, inteso come una specie di merce che il lavoratore vende al datore di lavoro, per cui l’uomo viene trattato come uno strumento di produzione, il Vangelo del lavoro afferma che l’uomo, l’uomo solo, indipendentemente dal lavoro che compie, deve essere trattato come suo vero artefice e creatore. E questa concezione dovrebbe trovare un posto centrale in tutta la sfera della politica sociale ed economica.
Si comprende meglio così il valore antropologico del lavoro. Questo è un bene dell’uomo, è un bene della sua umanità, perché mediante il lavoro egli non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo.
Conseguentemente si comprende in tutta la sua gravità il dramma della disoccupazione, che nel Sud sta diventando una vera calamità sociale.
Gesù lavoratore dalla sua presenza eucaristica, che richiama nei segni del pane e del vino il lavoro dell’uomo, chiede a tutti, ai legislatori, alle forze imprenditoriali, commerciali, finanziarie e sindacali, un’azione convergente, unitaria, concorde, concreta e non più dilazionabile, perché si vinca questo dramma, che non solo impedisce lo sviluppo e paralizza il futuro del Sud, ma costituisce il terreno più fertile per la manovalanza della malavita organizzata, la quale può essere tanto più efficacemente estirpata quanto più si assicura il lavoro a chi lo ha perduto e a chi lo cerca invano.
6. Ma dall’Eucaristia Gesù lavoratore si rivolge particolarmente anche ai lavoratori. Li invita a considerarsi ed essere collaboratori di Dio Creatore, per la realizzazione del suo piano provvidenziale nella storia, e collaboratori di Dio Redentore, in quanto, col lavoro, partecipano all’incessante opera di salvezza dell’umanità che egli ha operato anche attraverso il lavoro. Lavorando con mani d’uomo, egli ha riscattato il lavoro dell’antica maledizione e ne ha fatto uno strumento di salvezza e di santificazione.
Sopportando la fatica del lavoro in unione con lui Crocifisso e Risorto e offrendola a Dio, specialmente durante la Messa domenicale, i lavoratori non solo santificano se stessi, ma collaborano con Cristo alla santificazione degli altri.
Ciò significa che il lavoro deve essere compiuto come una missione affidata da Dio, e quindi con spirito di fede, con competenza professionale, con onestà morale, con amore verso il prossimo, con apertura alla più ampia solidarietà, senza chiusure e senza egoismi.
Questo vale per tutti i lavoratori, qualunque sia la professione che esercitano: tutti siamo impegnati a costruire la Città dell’uomo secondo il disegno di Dio, con quello spirito di servizio umile e generoso che Gesù volle manifestare e insegnare, istituendo l’Eucaristia, attraverso il segno della lavanda dei piedi.
7. Mi pare, tuttavia, doveroso sottolineare lo specifico compito di quanti si dedicano più direttamente all’azione politica e amministrativa nella costruzione della Città dell’uomo, a servizio del bene comune.
Questo è l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la loro perfezione più pienamente e speditamente.
Esso è richiesto dalla stessa dignità della persona umana, centro di tutto l’ordine sociale, per cui occorre rendere accessibile all’uomo, ad ogni uomo, tutto ciò che è necessario a condurre una vita veramente umana, [come il vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto a fondare una famiglia, all’educazione, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso (cf. GS, 26)].
E’ richiesto ancora dalla pari dignità dell’uomo, dalla fondamentale uguaglianza fra tutti, per cui ogni genere di discriminazione nei diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della stirpe, del colore della pelle, della condizione sociale, della lingua o della religione, deve essere rifiutato ed eliminato come contrario al disegno di Dio.
Al bene comune pertanto, devono tendere le leggi, per tutelarlo e promuoverlo. A esso devono costantemente riferirsi quanti servono il popolo, nella convinzione che la costruzione stabile di una convivenza sociale, pacifica, serena, gioiosa, ha come fondamento ineludibile e insostituibile la giustizia distributiva, intesa come doveroso e imparziale riconoscimento dei diritti dei cittadini e mai come arbitraria e interessata distribuzione di favori, fosse anche per semplice amicizia, tanto meno per avvilente clientelismo o calcolo elettorale.
8. Il bene comune, che l’autorità deve servire, è pienamente realizzato solo quando tutti i cittadini, ma specialmente quelli che non hanno voce, sono sicuri dei loro diritti.
Tra questi diritti, oltre quello al lavoro, c’è anche il diritto al riposo. La Domenica, giorno di Dio creatore e del Signore risorto, è anche il giorno dell’uomo, il giorno della famiglia, il giorno del riposo, ed esige il rispetto di questo diritto.
‘D’altra parte ‘ come scriveva Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Dies Domini – il legame tra il giorno del Signore e il giorno del riposo nella società civile ha una importanza e un significato che vanno al di là della prospettiva propriamente cristiana. Il riposo è cosa sacra essendo per l’uomo la condizione per sottrarsi al ciclo, talvolta eccessivamente assorbente, degli impegni terreni e riprendere coscienza che tutto è opera di Dio’ (n. 65).
Da qui scaturisce un duplice dovere da parte dei cristiani. Quello di adoperarsi perché, anche nelle circostanze speciali del nostro tempo, ‘la legislazione civile tenga conto del loro dovere di santificare la Domenica’. È quello di organizzare il riposo domenicale in modo che sia loro possibile partecipare all’Eucaristia, astenendosi dai lavori e affari incompatibili con la santificazione del giorno del Signore, con la sua tipica gioia e col necessario riposo dello spirito e del corpo’ (ib., 67).
9. Ci siano di esempio i martiri di Abiténe la cui coerenza è espressa nella decisa affermazione dalla quale è tratto il tema del Congresso: ‘Senza la Domenica, senza l’Eucaristia domenicale, non possiamo viverre’.
La Vergine Santa, ‘donna eucaristica con tutta la sua vita’ (EdE, 53), ci ottenga la grazia di comprendere il loro messaggio per costruire la Città dell’uomo sui valori eucaristici del Regno di Dio, il quale, come canta la Liturgia della Chiesa, ‘è il Regno della verità e della vita, il Regno della santità e della grazia, il Regno della giustizia, dell’amore e della pace’.