Padre Santo, amatissimo Papa Francesco,
i nostri cuori sono pieni di gioia e cantano il Magnificat per questa Eucaristia. Con i nostri corpi, il nostro spirito e tutta la nostra vita ringraziamo Dio nostro Padre, e ringraziamo Lei, Vescovo di Roma, garante della comunione tra le Chiese e segno della loro unità nella fede in Cristo Gesù. E a Lei, noi, Chiese e Vescovi di Sicilia, noi popolo di Dio di questa meravigliosa isola, noi Chiesa di Palermo, dal profondo del cuore, gridiamo: «Benvenuto tra di noi! Grazie della Sua visita. Le vogliamo bene!». La Sua visita rinnova e rafforza in noi la certezza che il Signore genera sempre «gioia piena e vita in abbondanza», come dicevo nella mia prima lettera pastorale a questa amata Chiesa[1].
La visita appartiene infatti allo stile proprio del Vangelo. I cristiani sono donne e uomini ‘visitanti’ sin dal giorno del celere passo di Maria sulle alture della Giudea, icona della loro autentica vocazione: portare sostegno e consolazione agli altri in tutte le circostanze – belle o dolorose – della vita. Una compagnia gratuita e premurosa che il Vangelo di Luca, nel testo greco, assimila alla risurrezione, usando per l’alzarsi di Maria in partenza verso la casa di Zaccaria lo stesso verbo che userà per il sorgere di Gesù dal sepolcro: anistemi. Come a dire che la visita è l’evento quotidiano del Vangelo che pone fine ad ogni orgoglio e ad ogni paura, vince la solitudine, l’esclusione mortale, e crea famiglia. E noi siamo qui stamattina, come figli accanto a un padre, desiderosi di ascoltarLa e di raccontarci, di essere confermati, sostenuti e incoraggiati. Da parte nostra, Le assicuriamo la nostra vicinanza, la nostra gratitudine, la nostra fedeltà: in ogni momento, sereno o difficile, può contare su di noi.
È bello fare esperienza di questa vicinanza dentro l’Eucaristia, in cui ci ritroviamo, amati e perdonati, ascoltatori della Parola, partecipi dell’unico Corpo e dell’unico Sangue di Cristo. Ci ritroviamo, cioè, baciati dallo Spirito che unisce il Padre e il Figlio; e unisce noi, Chiesa, col suo Sposo, il Crocifisso Risorto, immolato e vittorioso. Sentiamo stamattina, riuniti in riva a questo mare, il Mare Nostro, novello lago di Tiberiade (come amava definirlo Giorgio La Pira), che l’abbraccio e il bacio di Dio raggiunge tutti: ogni uomo e ogni donna, i piccoli, i lontani, i sofferenti, chi ha peccato e chi ha tradito. Come affermava Benedetto XVI, l’Eucaristia è «la cura e la guarigione dell’amore»[2]; è schola amoris in cui apprendiamo il segreto delle relazioni umane; è – come metteva in luce san Paolo VI – il testo supremo di «una tranquilla ma impegnativa palestra di sociologia cristiana»[3]; rappresenta la vera esperienza relazionale che forma e trasforma nello Spirito i legami affettivi[4]: l’Eucaristia, segno e pegno di quella Gerusalemme Celeste a cui la nostra tormentata Città terrena tende, e di cui, con la Pasqua, è divenuta gravida. «La creazione geme e soffre nelle doglie del parto», dice Paolo ai Romani (8, 22).
In questa Eucaristia, amato Padre e Fratello nostro, Le presentiamo il cammino della Chiesa palermitana: il suo slancio, la sua fatica; quello che siamo e quello che vorremmo diventare, guardando, insieme a Lei, a colui che da venticinque anni qui a Palermo (e non solo) è l’icona della testimonianza cristiana nel nostro tempo: Don Pino Puglisi. Lei, Santo Padre, è venuto in mezzo a noi per celebrare il XXV anniversario della morte del Beato Giuseppe Puglisi: beato perché le Beatitudini sono state la luce e la stella polare della sua esistenza.
Si legge nel martirio di Policarpo: «Dopo abbiamo portato via le sue ossa e le abbiamo deposte in un luogo degno. In questo luogo, per quanto è possibile, ci raduneremo nella allegrezza e nella gioia, quando il Signore ci concederà di celebrare il giorno natale del suo martirio, a memoria di quanti hanno lottato prima di noi, e ad incoraggiamento di coloro che dovranno lottare in seguito» (XVIII, 2).
Sulle orme del Beato Pino Puglisi stiamo camminando. Nella sua immagine si rispecchiano oggi la Chiesa di Palermo e le Chiese di Sicilia. Da lui, dal nostro “3P”, impariamo a porre al centro della nostra esistenza la Parola di Dio. Da questo prete mite, dall’apparenza fragile e inoffensiva, schierato dalla parte degli ultimi, impariamo la gentilezza, la cordialità e la mitezza che fanno intimamente parte della vita cristiana: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11, 29). Dalla sua profonda fede, dalla sua bella umanità sgorgavano quell’accoglienza che sorrideva ad ogni uomo e quella inspiegabile, inesauribile forza che produceva cambiamenti sociali in una realtà in cui era a rischio la sopravvivenza stessa dell’umano.
Il suo impegno, la sua testimonianza finale a Brancaccio sono germogliati da questa costante tensione a comprendere quanto succedeva attorno a lui alla luce del Vangelo. Uno sguardo luminoso che vogliamo far nostro davanti ai poteri che schiacciano l’uomo, alla mafia e a tutte le mafie, davanti alle ingiustizie del mondo che Palermo ha sperimentato nella sua carne quando ha visto uccidere uomini leali e coraggiosi, quando ha visto giungere nei nostri porti gli ultimi della Terra, in cerca di riscatto e di giustizia. Davanti a tutto questo, con Don Pino, con Lei Papa Francesco, con Gesù nostro Fratello e Signore, gridiamo: «Padre, venga il tuo Regno! Aiutaci a trasformare questa Terra nel tuo Regno di giustizia, di accoglienza, di pace». Per Don Puglisi infatti – lo sappiamo – il Padre Nostro era una regola di vita, capace di produrre una cultura della convivenza, di conciliare nella fraternità universale la condivisione del pane e del perdono.
Da lui la nostra Chiesa impara che cosa significa stare accanto alla gente, e in primo luogo ai giovani, a Lei, Santo Padre, così cari. Don Pino è per loro un modello, perché sapeva coniugare innocenza ed esperienza. Era mite infatti, ma non ingenuo: «Me l’aspettavo», dice ai suoi assassini. Chi cerca di vivere ed annunciare il Vangelo – lui lo sapeva – impara la freschezza del bambino e la forza del martire, pronto con il sorriso ad affrontare persecuzioni, calunnie e anche la morte. Per Don Pino si trattava di vivere un radicale consegnarsi, un essere dentro la sua terra, la sua storia, la sua gente, come il pastore che si porta addosso l’odore delle pecore. Non c’è Vangelo senza questo movimento, questo sguardo dal basso. Dalle viscere della terra, dalla radicalità del corpo di carne è sbocciata la Grazia, si è irradiata e continua ad irradiarsi come soffio bruciante e risanante, come spira un vulcano dal cuore del mondo, come fa il nostro Etna, Santità, da tempo immemorabile.
A Palermo e in tutta la Sicilia, Padre Santo, tanti cristiani seguono le orme del Beato Puglisi, si nutrono della Parola e colgono nei poveri, negli ultimi, ogni giorno, la presenza di Dio. Di questo non finiamo di rendere grazie, pregando perché l’energia della carità e la potenza della diaconia continuino a crescere nella nostra Chiesa.
Un cammino che condividiamo anche con tutte le confessioni religiose di Palermo. Altro dono prezioso di questi anni! Lo Spirito soffia dove e quando vuole, e abbraccia tutti, e si manifesta (come a Lei, Padre Santo, piace ricordare) ben prima delle nostre teologie, sulla frontiera della mistica e del dialogo autentico.
Amato Papa Francesco, oggi facciamo memoria liturgica della Vergine Addolorata, a cui il popolo siciliano è storicamente devoto in quanto icona del dolore dei poveri: ‘a Bedda Matri Addulurata’, che conservando nel cuore il dolore per il Figlio ucciso e il perdono per gli uccisori diventa, ai piedi della Croce, Madre della Chiesa e dell’Umanità. Lei è per noi Odigitria. Ci indica cioè l’unica strada contro la deriva della barbarie e della guerra mondiale fratricida, in cui ad essere falciati sono i poveri, interi popoli afflitti e depredati. Accanto a Rosalia, ‘ipostasi della Chiesa palermitana’, a S. Benedetto il Moro e a tutti i santi silenziosi della nostra Chiesa, la Vergine Odigitria è dunque icona del nostro futuro.
La ringraziamo Santità perché Lei stesso è stato oggi per noi un odopoietés, un inventore di strade di fedeltà creativa al Cristo. Quando nel silenzio del Suo cuore pregherà la Vergine di Lujan e il Suo San Giuseppe (che – come ci ha confessato – non Le dice mai di no), si ricordi di noi, si ricordi di Palermo, si ricordi di questa Sicilia che vuole essere terra di santi, umili e quotidiani, di semplici testimoni del Regno, quale era Don Pino Puglisi, martire in odium fidei, di cui ora Le consegniamo l’icona. Come diceva il Padre De Lubac, infatti, anche nei periodi più difficili «una segreta germinazione prepara nuove primavere, e malgrado tutti gli ostacoli che magari noi frapponiamo, i santi rinasceranno sempre»[5]. Assieme all’icona, Le consegniamo la ferula, dono del Seminario, intarsiata da un nostro seminarista su cui troneggia la croce. La Chiesa di Palermo così sarà sempre al Suo fianco nell’annuncio della «parola della croce, stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, [è] potenza di Dio» (1Cor 1, 18).
Grazie Papa Francesco! Che questa comunione eucaristica, questo suo germinare, non abbia mai fine! Un grande abbraccio a Lei, Padre Santo, da tutti noi!
[1] C. Lorefice, Scrivo a voi Padri, scrivo a voi giovani. Lettera pastorale, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2017.
[2] J. Ratzinger, La comunione nella Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, 76.
[3] Paolo vi, Udienza generale, 26 Novembre 1969.
[4] Cfr. G. Salonia, Odós. La Via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, Dehoniane, Bologna 2007.
[5] H. De Lubac, Meditazioni sulla Chiesa, Jaca Book, Milano 1993.