Cattedrale di Palermo
28-08-2008
Carissimi fratelli e sorelle nel Signore!
1. Convocati dal Padre come suoi figli, nell’ambito di questa 59a Settimana Liturgica Nazionale che come Chiesa di Palermo abbiamo la gioia di ospitare, veniamo oggi accolti nella cornice liturgica e artistica della nostra Cattedrale, cuore della nostra amata Arcidiocesi, simbolo di unità dei fedeli attorno al Vescovo, Padre e Pastore di questa porzione di popolo di Dio.
Il Cristo Risorto che domina la zona absidale ci invita a rivolgere il nostro sguardo al suo mistero di morte e risurrezione, mistero per il quale siamo Chiesa, mistero che, come Chiesa, nella liturgia continuiamo a celebrare rendendo presente, nello Spirito Santo, la salvezza di quel Dio che continua a compiere meraviglie.
Anche questa sera il Signore ci invita ad ascoltare la sua Parola, e in essa, dona al nostro cuore un nuovo slancio per riprendere con vigore i nostri percorsi di fede che si esprimono nel servizio all’interno delle nostre singole chiese di appartenenza. Su questo vorrei soffermarmi con voi in modo più specifico.
2. Il brano evangelico che è stato appena proclamato è tratto dal discorso escatologico che Gesù rivolge ai Giudei nei capitoli 24 e 25 del Vangelo di Matteo. Un lungo discorso nel quale Gesù, pur annunciando la fine dei tempi, intende soffermarsi sul fine della storia.
In particolare, nella pericope che la liturgia ci offre oggi, troviamo la prima delle parabole attraverso le quali è espresso l’insegnamento di Cristo sul modo di vigilare da parte dei credenti.
Il primo invito è quello alla vigilanza. ‘Vegliate, perché non sapete in quale giorno e in quale ora il Signore vostro verrà‘ (Mt 24,42). ‘Vegliate!‘. Questo imperativo urgente è consegnato da Cristo alla sua Chiesa, caratterizzata, come la comunità dei Corinzi ai quali l’Apostolo Paolo rivolge il suo scritto, dalla ricchezza di ogni dono di grazia, dalla stabilità della testimonianza, e dall’attesa della manifestazione del Signore Gesù (Cf. 1Cor 1, 4-7).
La venuta del Figlio dell’uomo è descritta come inaspettata, perché fuori da ogni previsione umana, nell’assoluta libertà divina. E ciò mi sembra valido sia per la venuta escatologica del Signore, alla fine dei tempi, per la restaurazione e la ricapitolazione di ogni cosa, come pure per quella venuta di Cristo che ogni giorno ci interpella e ci coinvolge, nella possibilità di incontro con Dio nelle pieghe della realtà che siamo chiamati a vivere, nel tempo che ‘ in Cristo ‘ è divenuto kairòs, opportunità di salvezza.
Con il santo vescovo Agostino, di cui oggi facciamo memoria, tutti dovremmo poter dire: ‘Timeo Deum transeuntem et non redeuntem’ ‘ ‘Temo Dio che passa e non ritorna indietro‘. Dovremmo, cioè, poter avvertire non tanto la paura dell’incontro con Dio, bensì tutto il peso e la responsabilità di non mancare all’incontro con lui, di non vanificare nemmeno la più piccola opportunità di salvezza che egli ci svela nelle vicende quotidiane, nei fratelli che incontriamo, nei servizi che svolgiamo, nella vita con la quale siamo chiamati a dargli gloria.
Ecco perché l’appello alla vigilanza non solo si riferisce all’attesa del Cristo glorioso alla fine dei tempi, ma chiede di incarnarsi nei cammini di santità che ciascuno di noi è chiamato a compiere nel già e non ancora della Chiesa, manifestato, in modo mirabile, in ogni azione liturgica, nella quale ‘ come afferma il Concilio Vaticano II ‘ ‘partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo; [‘] e aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria’.
3. Ma quali altri aspetti cogliere nella risposta di vigilanza che, da discepoli, il Signore ci invita a dare?
In primo luogo, è ben vero che ogni cristiano è chiamato ad attendere il Cristo nella sua manifestazione gloriosa e definitiva, ma è ugualmente importante ricordare che, in questa attesa, egli viene confermato, fortificato, arricchito, sostenuto dalla grazia. Mentre vigiliamo nell’attesa del Signore, ne sperimentiamo nella fede la presenza salvifica, perché egli è fedele, e su questa fedeltà ci chiama ad aver parte della sua vita. Così Paolo può incoraggiare i Corinzi: ‘Egli vi confermerà sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo: fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!’ (1Cor 1, 8-9).
4. In secondo luogo la vigilanza del discepolo di Cristo ha una connotazione ben precisa: il cristiano vigila da servo operoso e responsabile.
La seconda parte del brano evangelico ci presenta due figure che sono due modi di vivere l’attesa del Signore. Da un lato il servo fidato e prudente, che è stato posto a capo di altri domestici perché la casa del padrone fosse ben governata e i domestici fossero rispettati. Dall’altro il servo malvagio e violento che, approfittando della lontananza del padrone di casa, e giudicandone vana l’attesa, sperpera i beni e percuote quanti gli erano stati affidati.
Carissimi fratelli e sorelle, il cristiano vigila da servo sollecito e responsabile! Attendere operosamente, per noi che crediamo, nell’ambito della chiamata alla santità che è percorso di tutta la nostra vita, è svolgere quella missione che Dio ci consegna rendendoci figli nel Figlio: la missione di essere responsabili di quei fratelli e di quelle sorelle che a vario titolo ci sono stati affidati, di essere solleciti verso i loro bisogni, di trarre esempio dal Cristo che si china a lavare i piedi ai suoi, deponendo le vesti e donando la vita per gli amici.
Se la chiamata alla santità di ciascuno di noi non può prescindere dalla dimensione della Chiesa che, nel fonte battesimale, ci ha rigenerato dall’acqua e dallo Spirito, anche la vigilanza che Gesù raccomanda va vissuta comunitariamente, nella stessa Chiesa, ponendosi in autentico e fattivo atteggiamento di servizio. Ciò manifesta l’unità del Corpo Mistico di Cristo, annunciata dalla Parola, significata nella liturgia, compiuta ‘ finalmente ‘ nella diaconia.
Questa missione, questa dimensione del servizio, delle membra sollecite le une per le altre, rende visibile la Chiesa, come unica famiglia di Dio, e diviene profezia anche per il nostro tempo, nella testimonianza coerente del Vangelo che ‘ lungi dal disimpegno e dall’apatia ‘ si fa forza propulsiva per il cambiamento dell’uomo e della società.
5. Ecco perché ‘ accostando, nella parabola, al servo fedele il servo violento ‘ Gesù mette in guardia da un pericolo gravemente diffuso: il tradimento dell’autenticità del servizio, l’abbandono della missione affidata al servo che preferisce ‘bere e mangiare con gli ubriaconi’.
Ogni volta che nella nostra realtà individuale ed ecclesiale si affaccia questo pericolo è necessario riandare al cuore delle nostra fede, all’origine della nostra chiamata, alla Parola che su di noi Dio ha pronunciato e compiuto donandoci la sua grazia e il suo amore.
E per ritornare all’origine basta avvertire il bisogno del nostro cuore, scrutarne le profondità, indagarne le ragioni, perché esso non ci tradisce mai, sa riconoscere cosa gli corrisponde e, come afferma Sant’Agostino, ‘è inquieto finché non riposa in Dio’.
Dio l’ha creato e solo lui è in grado di rispondere alle esigenze di felicità, bellezza, bontà e amore insite in ogni persona. Ritornare all’origine e alla motivazione profonda di ogni missione e di ogni servizio nella Chiesa è assimilare sempre più che il nostro cuore è totalmente appagato solo dall’incontro con lui e dal suo amore.
6. La vicenda esistenziale di Agostino si è incontrata con il mistero dell’Amore di Dio. Il Santo Padre Benedetto XVI, in occasione della sua ultima visita alle spoglie del Santo di Ippona, conservate a Pavia, affermava: ‘La luce di questo amore ha aperto gli occhi di Agostino, gli ha fatto incontrare la “bellezza antica e sempre nuova” (Conf. X, 27) in cui soltanto trova pace il cuore dell’uomo’.
La sete di verità che spingeva Agostino all’adesione alle più svariate dottrine filosofiche, viene appagata solo da Dio, dal Verbo Incarnato, dal Dio Amore che si rivela all’uomo in cammino sui sentieri della vita. Per questo Agostino diviene autenticamente servo fedele, e porta a termine la missione affidatagli da Dio nella custodia dei fratelli. Il prefazio proprio del Santo di Ippona lo sintetizza: ‘Vero buon pastore, guidò con soavità e fermezza il tuo popolo, per rinnovarlo continuamente secondo l’immagine del Figlio tuo’.
Il cristiano vigila con quell’amore che Dio ha effuso nel cuore di ciscuno dei suoi figli, confrontandosi continuamente con il comandamento di Cristo che è ogni giorno ‘nuovo’ perché capace di interpellarlo e di scomodarlo, di scardinare le sue convinzioni umane e di abbattere i muri della chiusura e dell’indifferenza.
E ancora è il Santo Padre a indicare in Agostino un modello: ‘Ecco, servire Cristo ‘ dice il Papa ‘ è anzitutto questione d’amore’. E poi, rivolgendosi ai presenti: ‘La vostra appartenenza alla Chiesa, il vostro apostolato risplendano sempre per la libertà da ogni interesse individuale e per l’adesione senza riserve all’amore di Cristo. Ecco perché Agostino ha vissuto in prima persona ed ha esplorato fino in fondo gli interrogativi che l’uomo si porta nel cuore e ha sondato le capacità che egli ha di aprirsi all’infinito di Dio’.
7. Il Signore ci conceda di poter vivere in pienezza l’attesa della sua manifestazione gloriosa, la gioia dell’incontro quotidiano con lui, il fondamento di ogni nostra missione nella Chiesa e per la Chiesa, per risplendere nel firmamento della sua gloria già nell’oggi della salvezza, e irradiare nel mondo intero la sua luce e la sua pace.
1. Convocati dal Padre come suoi figli, nell’ambito di questa 59a Settimana Liturgica Nazionale che come Chiesa di Palermo abbiamo la gioia di ospitare, veniamo oggi accolti nella cornice liturgica e artistica della nostra Cattedrale, cuore della nostra amata Arcidiocesi, simbolo di unità dei fedeli attorno al Vescovo, Padre e Pastore di questa porzione di popolo di Dio.
Il Cristo Risorto che domina la zona absidale ci invita a rivolgere il nostro sguardo al suo mistero di morte e risurrezione, mistero per il quale siamo Chiesa, mistero che, come Chiesa, nella liturgia continuiamo a celebrare rendendo presente, nello Spirito Santo, la salvezza di quel Dio che continua a compiere meraviglie.
Anche questa sera il Signore ci invita ad ascoltare la sua Parola, e in essa, dona al nostro cuore un nuovo slancio per riprendere con vigore i nostri percorsi di fede che si esprimono nel servizio all’interno delle nostre singole chiese di appartenenza. Su questo vorrei soffermarmi con voi in modo più specifico.
2. Il brano evangelico che è stato appena proclamato è tratto dal discorso escatologico che Gesù rivolge ai Giudei nei capitoli 24 e 25 del Vangelo di Matteo. Un lungo discorso nel quale Gesù, pur annunciando la fine dei tempi, intende soffermarsi sul fine della storia.
In particolare, nella pericope che la liturgia ci offre oggi, troviamo la prima delle parabole attraverso le quali è espresso l’insegnamento di Cristo sul modo di vigilare da parte dei credenti.
Il primo invito è quello alla vigilanza. ‘Vegliate, perché non sapete in quale giorno e in quale ora il Signore vostro verrà‘ (Mt 24,42). ‘Vegliate!‘. Questo imperativo urgente è consegnato da Cristo alla sua Chiesa, caratterizzata, come la comunità dei Corinzi ai quali l’Apostolo Paolo rivolge il suo scritto, dalla ricchezza di ogni dono di grazia, dalla stabilità della testimonianza, e dall’attesa della manifestazione del Signore Gesù (Cf. 1Cor 1, 4-7).
La venuta del Figlio dell’uomo è descritta come inaspettata, perché fuori da ogni previsione umana, nell’assoluta libertà divina. E ciò mi sembra valido sia per la venuta escatologica del Signore, alla fine dei tempi, per la restaurazione e la ricapitolazione di ogni cosa, come pure per quella venuta di Cristo che ogni giorno ci interpella e ci coinvolge, nella possibilità di incontro con Dio nelle pieghe della realtà che siamo chiamati a vivere, nel tempo che ‘ in Cristo ‘ è divenuto kairòs, opportunità di salvezza.
Con il santo vescovo Agostino, di cui oggi facciamo memoria, tutti dovremmo poter dire: ‘Timeo Deum transeuntem et non redeuntem’ ‘ ‘Temo Dio che passa e non ritorna indietro‘. Dovremmo, cioè, poter avvertire non tanto la paura dell’incontro con Dio, bensì tutto il peso e la responsabilità di non mancare all’incontro con lui, di non vanificare nemmeno la più piccola opportunità di salvezza che egli ci svela nelle vicende quotidiane, nei fratelli che incontriamo, nei servizi che svolgiamo, nella vita con la quale siamo chiamati a dargli gloria.
Ecco perché l’appello alla vigilanza non solo si riferisce all’attesa del Cristo glorioso alla fine dei tempi, ma chiede di incarnarsi nei cammini di santità che ciascuno di noi è chiamato a compiere nel già e non ancora della Chiesa, manifestato, in modo mirabile, in ogni azione liturgica, nella quale ‘ come afferma il Concilio Vaticano II ‘ ‘partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo; [‘] e aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria’.
3. Ma quali altri aspetti cogliere nella risposta di vigilanza che, da discepoli, il Signore ci invita a dare?
In primo luogo, è ben vero che ogni cristiano è chiamato ad attendere il Cristo nella sua manifestazione gloriosa e definitiva, ma è ugualmente importante ricordare che, in questa attesa, egli viene confermato, fortificato, arricchito, sostenuto dalla grazia. Mentre vigiliamo nell’attesa del Signore, ne sperimentiamo nella fede la presenza salvifica, perché egli è fedele, e su questa fedeltà ci chiama ad aver parte della sua vita. Così Paolo può incoraggiare i Corinzi: ‘Egli vi confermerà sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo: fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!’ (1Cor 1, 8-9).
4. In secondo luogo la vigilanza del discepolo di Cristo ha una connotazione ben precisa: il cristiano vigila da servo operoso e responsabile.
La seconda parte del brano evangelico ci presenta due figure che sono due modi di vivere l’attesa del Signore. Da un lato il servo fidato e prudente, che è stato posto a capo di altri domestici perché la casa del padrone fosse ben governata e i domestici fossero rispettati. Dall’altro il servo malvagio e violento che, approfittando della lontananza del padrone di casa, e giudicandone vana l’attesa, sperpera i beni e percuote quanti gli erano stati affidati.
Carissimi fratelli e sorelle, il cristiano vigila da servo sollecito e responsabile! Attendere operosamente, per noi che crediamo, nell’ambito della chiamata alla santità che è percorso di tutta la nostra vita, è svolgere quella missione che Dio ci consegna rendendoci figli nel Figlio: la missione di essere responsabili di quei fratelli e di quelle sorelle che a vario titolo ci sono stati affidati, di essere solleciti verso i loro bisogni, di trarre esempio dal Cristo che si china a lavare i piedi ai suoi, deponendo le vesti e donando la vita per gli amici.
Se la chiamata alla santità di ciascuno di noi non può prescindere dalla dimensione della Chiesa che, nel fonte battesimale, ci ha rigenerato dall’acqua e dallo Spirito, anche la vigilanza che Gesù raccomanda va vissuta comunitariamente, nella stessa Chiesa, ponendosi in autentico e fattivo atteggiamento di servizio. Ciò manifesta l’unità del Corpo Mistico di Cristo, annunciata dalla Parola, significata nella liturgia, compiuta ‘ finalmente ‘ nella diaconia.
Questa missione, questa dimensione del servizio, delle membra sollecite le une per le altre, rende visibile la Chiesa, come unica famiglia di Dio, e diviene profezia anche per il nostro tempo, nella testimonianza coerente del Vangelo che ‘ lungi dal disimpegno e dall’apatia ‘ si fa forza propulsiva per il cambiamento dell’uomo e della società.
5. Ecco perché ‘ accostando, nella parabola, al servo fedele il servo violento ‘ Gesù mette in guardia da un pericolo gravemente diffuso: il tradimento dell’autenticità del servizio, l’abbandono della missione affidata al servo che preferisce ‘bere e mangiare con gli ubriaconi’.
Ogni volta che nella nostra realtà individuale ed ecclesiale si affaccia questo pericolo è necessario riandare al cuore delle nostra fede, all’origine della nostra chiamata, alla Parola che su di noi Dio ha pronunciato e compiuto donandoci la sua grazia e il suo amore.
E per ritornare all’origine basta avvertire il bisogno del nostro cuore, scrutarne le profondità, indagarne le ragioni, perché esso non ci tradisce mai, sa riconoscere cosa gli corrisponde e, come afferma Sant’Agostino, ‘è inquieto finché non riposa in Dio’.
Dio l’ha creato e solo lui è in grado di rispondere alle esigenze di felicità, bellezza, bontà e amore insite in ogni persona. Ritornare all’origine e alla motivazione profonda di ogni missione e di ogni servizio nella Chiesa è assimilare sempre più che il nostro cuore è totalmente appagato solo dall’incontro con lui e dal suo amore.
6. La vicenda esistenziale di Agostino si è incontrata con il mistero dell’Amore di Dio. Il Santo Padre Benedetto XVI, in occasione della sua ultima visita alle spoglie del Santo di Ippona, conservate a Pavia, affermava: ‘La luce di questo amore ha aperto gli occhi di Agostino, gli ha fatto incontrare la “bellezza antica e sempre nuova” (Conf. X, 27) in cui soltanto trova pace il cuore dell’uomo’.
La sete di verità che spingeva Agostino all’adesione alle più svariate dottrine filosofiche, viene appagata solo da Dio, dal Verbo Incarnato, dal Dio Amore che si rivela all’uomo in cammino sui sentieri della vita. Per questo Agostino diviene autenticamente servo fedele, e porta a termine la missione affidatagli da Dio nella custodia dei fratelli. Il prefazio proprio del Santo di Ippona lo sintetizza: ‘Vero buon pastore, guidò con soavità e fermezza il tuo popolo, per rinnovarlo continuamente secondo l’immagine del Figlio tuo’.
Il cristiano vigila con quell’amore che Dio ha effuso nel cuore di ciscuno dei suoi figli, confrontandosi continuamente con il comandamento di Cristo che è ogni giorno ‘nuovo’ perché capace di interpellarlo e di scomodarlo, di scardinare le sue convinzioni umane e di abbattere i muri della chiusura e dell’indifferenza.
E ancora è il Santo Padre a indicare in Agostino un modello: ‘Ecco, servire Cristo ‘ dice il Papa ‘ è anzitutto questione d’amore’. E poi, rivolgendosi ai presenti: ‘La vostra appartenenza alla Chiesa, il vostro apostolato risplendano sempre per la libertà da ogni interesse individuale e per l’adesione senza riserve all’amore di Cristo. Ecco perché Agostino ha vissuto in prima persona ed ha esplorato fino in fondo gli interrogativi che l’uomo si porta nel cuore e ha sondato le capacità che egli ha di aprirsi all’infinito di Dio’.
7. Il Signore ci conceda di poter vivere in pienezza l’attesa della sua manifestazione gloriosa, la gioia dell’incontro quotidiano con lui, il fondamento di ogni nostra missione nella Chiesa e per la Chiesa, per risplendere nel firmamento della sua gloria già nell’oggi della salvezza, e irradiare nel mondo intero la sua luce e la sua pace.