Fino a pochi giorni, la tempesta mediatica, suscitata dall’episodio dell’abilitazione per professori associati in Diritto Tributario, aveva dato l’impressione che l’Università fosse l’ambiente italiano più inquinato dalla corruzione. Poi, un servizio delle «Iene» sull’assunzione abusiva del figlio di un sottosegretario (un generale in aspettativa!) ci ha ricordato che la politica, su questo terreno, non è seconda a nessuno.
Due storie squallide, diversissime per certi versi, ma del tutto omologhe per la logica perversa che sta alla base di entrambe, che è quella di un totale – oserei dire primordiale – , misconoscimento del senso che hanno i ruoli istituzionali e delle responsabilità che essi comportano per chi è chiamato a svolgerli. Nel primo caso, un docente universitario, che, nel selezionare i futuri professori, dovrebbe avere a cuore, prima di ogni altra cosa, il livello culturale dell’Università e, di conseguenza il merito dei candidati, e che invece si fa guidare da ciniche strategie accademiche e usa l’arma del ricatto per realizzarle. Nel secondo, una persona chiamata a far parte del governo del Paese che, con la complicità di un altro parlamentare, invece di occuparsi del bene comune, pensa a “sistemare” suo figlio in uno di quei “posti di stipendio” che in Italia a volte sostituiscono i posti di lavoro.
In entrambi i casi, c’è voluta l’intraprendenza di singoli soggetti che, essendo danneggiati da questi comportamenti, si sono impegnati a documentarli registrando le conversazioni con i responsabili e rendendole pubbliche.
Fin qui, la cronaca dei fatti. Da cui tuttavia scaturiscono alcune riflessioni. La prima si potrebbe esprimere con un dubbio, che sorge spontaneo nell’opinione pubblica: ma allora, nel nostro Paese sono tutti corrotti? La risposta è, ovviamente, negativa. Ed è importante che di questo siamo consapevoli, proprio per evitare il pericolo che una frettolosa generalizzazione finisca per favorire i veri responsabili della corruzione. Perché, se sono tutti corrotti, la corruzione è un fatto normale, a cui ci si può solo rassegnare. Quante volte abbiamo sentito dire: «Della politica non mi interesso, perché tanto sono tutti ladri!». Ma è proprio questa omologazione, assolutamente infondata, che favorisce i ladri!
Al cittadino è chiesto, invece, di occuparsi seriamente di politica, per imparare a distinguere gli onesti (anche intellettualmente) da quelli che non lo sono. Di più, gli è chiesto di interrogarsi in che misura egli stesso si senta personalmente responsabile del bene comune e delle istituzioni democratiche che lo perseguono. E, in terza istanza, di educare le nuove generazioni, in tutte le forme a sua disposizione – come genitore, come insegnante, come presbitero – al rispetto e alla partecipazione nei confronti di questo bene comune. Solo da un diffuso senso critico e da una educazione alla cittadinanza che consentano di cogliere le differenze e di distinguere il vero dal falso, il bene dal male, le persone valide dai profittatori, può derivare uno stile abituale di correttezza che ci eviti le tristi sorprese di cui periodicamente scandalizziamo senza riuscire a prevenirle.
Analogamente, l’Università è un bene di tutti. Dare per scontato, come hanno fatto alcuni organi di stampa e l’opinione pubblica in questi giorni, che i docenti siano tutti baroni, che se ne servono per i loro giochi di potere, significa regalarla ai veri baroni. Ancora una volta, la generalizzazione non giova a bonificare le paludi. Nell’episodio che ha riempito le pagine dei giornali, nei giorni scorsi, si sono a volte equiparati con leggerezza docenti che usavano la violenza della minaccia per eliminare candidati scomodi o che cercavano di sistemare i loro parenti stretti e altri, universalmente noti come persone dedite all’Università, che semplicemente peroravano la causa di allievi – non di figli o amanti! – di cui avevano stima, cercando (magari con inopportuna insistenza) di sottolineare agli occhi della commissione i loro meriti scientifici. Col risultato di incriminare quasi tutti i cultori di una disciplina, consentendo ai veri corrotti di mimetizzarsi in questa massa.
Diceva un filosofo che è sbagliato ridurre la realtà a una notte informe, in cui tutte le vacche sono nere. Gli atteggiamenti di demonizzazione indiscriminata sono facili, ma non giovano alla verità. È necessario, anche se richiede informazione e spirito critico, saper fare le differenze. E questo clima, diffuso in tutti, sarebbe il migliore antidoto alla corruzione diffusa. Così non saremmo costretti, per il futuro, a sperare che siano un candidato deluso o l’assistente non retribuita di un deputato a dover denunciare la corruzione.