La trionfale vittoria della destra nelle recenti elezioni regionali dell’Umbria – una regione tradizionalmente “rossa” – è stata ampiamente commentata e spiegata. Qui, però, vorrei richiamare l’attenzione su due avvenimenti politici, uno verificatosi in contemporanea in Germania, l’altro poco dopo in Spagna, che credo vadano tenuti presenti nel valutare il significato di quella vittoria.
So bene che, tradizionalmente, all’opinione pubblica italiana ciò che accade negli altri Paesi interessa abbastanza poco. Sui nostri quotidiani le notizie di politica estera occupano quasi sempre un posto di secondo piano. E anche su “Tuttavia” ho potuto constatare che i post da me dedicati a situazioni o personaggi stranieri ricevono minore attenzione di quelli riguardanti la politica italiana. Eppure ci sono fasi della storia in cui solo uno sguardo d’insieme consente di comprendere gli sviluppi di casa nostra. E credo proprio che quella attuale sia una di queste.
Perciò sarebbe bene che – a prescindere dalle valutazioni di parte, inevitabilmente divergenti, che possono esserne date – gli italiani si rendessero conto di ciò che sta accadendo in Europa in questo primo scorcio del XXI secolo.
Dove ciò che conta non è tanto la registrazione dello stato di fatto, quanto il trend, la tendenza – irresistibile, a quanto pare – , che sembra attraversare da un capo all’altro il nostro continente.
La vittoria dell’Afd in Germania…
Gli avvenimenti a cui faccio riferimento sono, rispettivamente, la netta affermazione dell’estrema destra «Alternative für Deutschland (AfD)» – «Alternativa per la Germania» – alle elezioni svoltesi il 27 ottobre nello Stato della Turingia, nella Germania centro-orientale, e quella, altrettanto trionfale, del partito «Vox» nelle elezioni spagnole del 10 novembre. Nelle prime l’AfD si è imposto come secondo partito dietro alla sinistra, davanti alla Cdu della cancelliera Angela Merkel, prendendo il 23,4%, cioè più del doppio rispetto al risultato delle precedenti consultazioni del 2014; nelle seconde «Vox» ha ottenuto il 15% dei voti, anche in questo caso raddoppiando i propri consensi e imponendosi come la terza forza politica in Spagna.
La vittoria in Turingia segue di poco quella che l’AfD ha avuto recentemente in altri due Länder, quelli di Sassonia, dove è arrivato secondo, dietro alla Cdu (il partito di Angela Merkel), con una percentuale del 27,5%, e in Brandeburgo, dove è stato di nuovo secondo, dietro alla Spd (i socialdemocratici), con il 23,5%.
Non stupisce che la comunità ebraica tedesca, dopo la pubblicazione dei risultati elettorali della Turingia, sia sotto shock. L’ex presidente del Consiglio centrale ebraico, Charlotte Knobloch, ha dichiarato: «Che un partito come Alternative für Deutschland abbia potuto ottenere un risultato di questa portata dimostra che nel nostro sistema politico qualcosa di fondamentale è finito fuori controllo».
E quella di Vox in Spagna
Quanto a «Vox», questo partito è monarchico e nazionalista, fortemente euroscettico e decisamente contrario all’immigrazione, all’Islam e al multiculturalismo, ritenendoli una minaccia per l’identità spagnola. Sua la proposta di costruire un muro per fermare l’immigrazione dal Marocco. Del suo leader, Santiago Abascal, viene citata la dichiarazione, a 7TV Andalusia nel 2017: «Sono un sostenitore della discriminazione». Queste posizioni si coniugano, peraltro, con la difesa della vita dell’embrione, contro l’aborto.
A differenza di «Alternativa per la Germania», «Vox» non era presente al grande raduno dei sovranisti celebrato a Milano il 18 maggio scorso. Ma Salvini ne ha commentato il successo elettorale con esultanza in un tweet; «Grande avanzata degli amici Vox. Scommetto già pronti titoli di tg e giornali su “vittoria estrema destra, razzisti, sovranisti, fascisti…”. Macché razzismo e fascismo, in Italia come in Spagna vogliamo solo vivere tranquilli in casa nostra».
L’estrema destra vittoriosa in Inghilterra, in Francia…
Lo stesso desiderio di “vivere tranquilli in casa propria” oggi sembra condiviso da molti popoli europei. A cominciare dagli inglesi, i quali, dopo il referendum in cui hanno deciso l’uscita dall’Europa, alle ultime elezioni europee – malgrado gli innumerevoli problemi che questa decisone ha determinato – hanno confermato la loro piena fiducia nel Brexit Party di Nigel Farage, che ha avuto il 31,6% , decretando il declino dei due partiti fino a quel momento più forti, i Conservatori e i Laburisti.
A quanto pare vogliono vivere tranquilli anche i francesi, che – sempre alle ultime elezioni europee – hanno fatto diventare il «Rassemblement National» di Marine Le Pen il primo partito col 23,3%, risultando di misura, davanti alla lista «Renaissance» appoggiata dal presidente Macron, che ha avuto il 22%.
Ma anche altrove
Ma anche in Belgio, in Olanda, in Svezia, in Finlandia, in Lettonia, i partiti di destra sovranisti e antieuropei, pur non avendo quel trionfo elettorale che si aspettavano, sono in crescita. Per non parlare degli Stati dove i sovranisti sono già al potere, come l’Ungheria di Viktor Orbán – quello che ha costruito il muro lungo 175 km per fermare l’immigrazione dalla Serbia – e la Polonia di Jaroslaw Kaczynski – fautore della famiglia, ma anche accusato di minacciare la libertà di espressione. In entrambi i Paesi con grande sostegno popolare: in Ungheria il partito di Orbán, «Fidesz», ha avuto il 52,3 per cento dei voti; in Polonia il partito di Kaczynski «Diritto e giustizia (PiS», ha vinto con il 45,4 per cento .
Il successo della Lega non è un incidente
Avere presente questo quadro è fondamentale per rendersi conto che quanto accade in Italia non è uno spiacevole incidente, ma rientra in un grande spostamento della sensibilità e dell’appoggio dell’opinione pubblica europea verso la destra. Dove con questo termine si deve intendere una gamma variegata di posizioni, in cui è quasi sempre presente l’ostilità nei confronti degli islamici, degli ebrei, dei rom, in generale dei “diversi”, insieme alla tendenza a sostenere i valori della famiglia tradizionale e della patria.
Non è difficile ritrovare in questo scenario alcuni dei caratteri distintivi della Lega di Matteo Salvini, non a caso considerato da molti di questi partiti un punto di riferimento. C’è il “Prima noi” – naturalmente declinato in modi diversi da nazione a nazione –, da cui discendono direttamente la diffidenza o addirittura l’ostilità nei confronti dell’Europa e la chiusura all’immigrazione; c’è il richiamo alla difesa della famiglia; c’è l’insistenza sulla minaccia che verrebbe dall’islam e, più in generale, dagli stranieri; c’è un malcelato antisemitismo, di cui gli insulti dei militanti nei confronti di Gad Lerner a Pontida e il rifiuto di votare la mozione Segre in Senato sono solo alcuni sintomi.
Il problema è culturale
Il problema, prima di essere politico, è culturale: queste forze politiche non possono – per la loro stessa impostazione sovranista – dar luogo a un’alleanza internazionale. Non a caso, dopo le elezioni europee, il sogno di Salvini di una grande unione parlamentare è miseramente fallita. Non c’è spazio, in questa logica, per una ricerca di fini comuni: ognuno mira a fare l’interesse del suo Paese.
Però il clima culturale che si sta sempre più imponendo è invece univoco e tanto più inarrestabile quanto più logore sono le posizioni di coloro che gli si oppongono. Ovunque – non solo in Italia – la sinistra scopre di non avere più molto da dire ai suoi elettori, se non degli slogan che appaiono datati.
È possibile una vera “rivoluzione culturale”?
Per chi – come il sottoscritto – guarda con grande preoccupazione la deriva in corso, il vero problema è di elaborare una linea nuova, più capace di essere alternativa alle logiche di questa destra rampante. Per questo, però, si dovrebbe avere il coraggio di fare un esame di coscienza e riconoscere di non avere saputo intercettare, con un’ ossessiva insistenza sui diritti individuali, alcune istanze che oggi portano a votare i partiti della destra sovranista. La forza dell’estrema destra oggi è di apparire “rivoluzionaria”. E se fossero coloro che le si oppongono a proporre una prospettiva che rompa davvero col passato?
La chiave di volta di questa nuova prospettiva dovrebbe essere una maggiore capacità di coniugare la libertà con la dimensione comunitaria. Mentre la globalizzazione metteva in crisi i valori tradizionali e al tempo stesso impoveriva i ceti più deboli, una certa cultura “progressista” ha irriso la famiglia, la comunità nazionale, la logica dei doveri come contrappeso a quella – pur necessaria – dei diritti. Si tratta di recuperare questi frammenti di verità, oggi disseminati nei contesti distorti dei programmi di estrema destra, evidenziando che il superamento dell’individualismo e dell’anonimato della globalizzazione non comporta la chiusura in gruppi autoreferenziali, ostili ai diversi, ma, al contrario, favorisce la comunicazione e il rispetto reciproco.
Sono degli spunti che andrebbero, ovviamente sviluppati. A qualcuno sembreranno astratti, rispetto al problema concreto di vincere le elezioni in Emilia e Romagna. Ma solo se si pensa in grande si può far fronte a quello che oggi sta accadendo. Illudersi che il problema si riduca a fermare Salvini significa chiudere gli occhi sulla realtà. E noi, oggi come mai, abbiamo bisogno di tenerli bene aperti.