«Ci è più facile leggere e rappresentare questo nostro mondo in balia della pandemia alla luce della croce e del buio e del silenzio schiacciante del sepolcro del Golgota, del venerdì di passione e del sabato di mestizia e di sospensione.
Questo mondo sembra essere un ospedale da campo e una immensa fossa comune. In preda agli abissi. Eppure, lo abbiamo ascoltato, il mare si apre e gli abissi generano liberazione e vita: «Gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra. In quel giorno il Signore salvò Israele» (Es 14,29-30). Dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, dal canto di lutto al canto di esultanza.
Il nuovo, seppur attraverso il travaglio e la sofferenza, emerge lentamente da un mare di dolore e di naufragi.
Anche noi discepoli di Cristo, in questo crollo delle certezze, siamo posti dinnanzi alla novità della sua Pasqua che sempre sopraggiunge, come l’inverno cede il passo alla primavera, la mestizia dei canti quaresimali al canto dell’exultet e dell’alleluia pasquali.
Quella tomba presidiata dalle guardie (come annota Mt 27,66: «assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia») e visitata da un gruppetto di donne perché custodiva un morto da imbalsamare, ora è vuota, «la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande» (Mc 16,4). Quel sepolcro è ormai scardinato. Anche quei prezzolati al servizio di una macchinazione di eliminazione, sopraggiunti per custodire il «sepolcro fino al terzo giorno», confermano la profezia proferita da Gesù: «Ecco, saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo lo uccideranno e dopo te giorni risorgerà» (Mc 10,33-34). Ma essi ‒ annota l’evangelista Marco ‒ non capivano e avevano paura (cf Mc 9,32). Incomprensione e paura.
Paura, incomprensione, morte inarrestabile, sospensione, smarrimento, precarietà.
Ma sopraggiunge qualcosa di inaspettato per le discepole e i discepoli di ogni tempo, come anche per gli uomini e le donne nostri fratelli e sorelle, tutti ‒ perché le donne al sepolcro vuoto ci rappresentano tutti, ci ricordano che non solo i cristiani ma l’umanità intera desidera essere riscattata dalla paura della solitudine e della morte poiché porta in sé il germe della vita senza fine, della fraterna felicità ‒ in quel mattino inedito e inatteso, in quel «primo giorno dopo il sabato (Mc 16,2)», giorno della deflagrazione della nuova creazione, della nascita dell’uomo nuovo, della umanità nuova: la paura cede il passo allo stupore, si aprono i cuori ‒ i veri sepolcri che dobbiamo temere ‒, ormai raggiunti dalla Bella Notizia (E-vangelo) del giovane vestito di luce portatore di una dalla Parola definitiva che Dio pronuncia sull’intera vita di Gesù, anche sulla sua morte: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il Crocifisso. È stato risuscitato, non è qui» (Mc 16,6).
Veramente Gesù di Nazareth ci ha amati fino alla fine. «Come vi ha detto» (Mc 16,7), si sentono dire le donne al sepolcro. Lui ha una parola di verità. Continua a dircelo. Il chicco di grano sepolto porta frutto (cfr Gv 12,1-11). Noi siamo il frutto di quella vittoria sulla morte. Le acque battesimali – è qui sotto i nostri occhi, nei nostri catecumeni – nelle quali siamo stati immersi per la morte, ci hanno rigenerato alla vita. Nella morte e nella resurrezione di Cristo siamo stati battezzati. Ce lo ha ricordato l’Epistola ai Romani. La Pasqua di Gesù si ripete, si attua qui, ora. Per me per voi, per tutti i rinati nel battesimo, nostra prima Pasqua. Ma anche per tutti gli uomini e le donne che conoscono le acque travolgenti delle tempeste umane, che partecipano al gemito della storia. La Pasqua di Gesù intercetta il desiderio di vita, di bene, di felicità, di liberazione di riscatto che si innalza ogni giorno dalla casa comune che è la Terra. E assicura a tutti che il giorno inedito, «il primo giorno dopo il sabato», il nuovo giorno è deflagrato.
Oggi riceviamo anche noi come le donne al Sepolcro questo mandato: «Andate, dite “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete”» (Mc 16,7). È la Galilea della nostra vita, in questo momento intrisa di paura, di sospensione, di precarietà, di lutti, povertà vecchie e nuove, violenze, respingimenti, ingiustizie, solitudini. È lì che ogni discepolo del Signore deve contribuire a rendere evidente come anche questo spazio umano, in ogni sua frazione di tempo, è ormai frazione del Giorno primo e ultimo, del Giorno nuovo, quello che ha fatto il Signore. Che solo lui ci può donare.
La Pasqua di Cristo è il lievito dell’intera storia. Anche questa nostra storia è parte dell’unica storia della salvezza di Dio
Mi rivolgo a te, Santa Assemblea, facendo mia una domanda che un grande e meraviglioso prete pose alla sua comunità durante un’omelia di Pasqua: «Quanti credono veramente al Risorto? Quanti fra gli stessi che in questi giorni affollano le chiese per i riti pasquali, sentono negli attuali avvenimenti il ritorno del Cristo come sentiamo nell’aria e nei campi il ritorno della primavera? Chi di noi vuole la Pasqua come un impegno preso nell’Eucarestia per la giustizia, la pace la carità di Cristo nel mondo? […] “Andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro ch’Egli vi precede”. Dove? Dappertutto. […] ovunque l’uomo pianterà le sue tende, farà la sua giornata di fatica e d’avventura, spezzerà il suo pane, costruirà le sue città, piangendo o cantando, sorridendo o imprecando. Egli vi precede. Questa è la consegna della Pasqua» (Primo Mazzolari, Egli vi precede, in La Parola che non passa). Buona Pasqua a voi tutti».
Corrado Lorefice, Arcivescovo
Nel corso della Veglia Pasquale, l’Arcivescovo ha ammesso ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana otto adulti preparati dal Servizio Diocesano per il catecumenato: Nadia e Sabrina Ammar della Parrocchia Gesù Sacerdote, Salvatore Lo Cascio della Parrocchia Annunciazione del Signore, Stanislava Tania Minkova della Missione Speranza e Carità, Plamedie Muwana Nzuanzu, Maximor Alex e Faith Omorelugie della Parrocchia di San Nicolò di Bari, Yuliia Zazirna Villafranca della Parrocchia di San Giovanni Battista.