Dal Conte 1 al Conte 2 tra miraggi e realtà

La narrazione di una crisi

Nell’intervista di Salvini, pubblicata in prima pagina da «Libero» (4 settembre), il giorno in cui veniva annunciata la formazione del nuovo governo, l’ormai ex vice-premer si attribuiva come unico errore quello di essersi fidato della democrazia italiana e dei 5stelle.

Alla prima, addebitava il fatto che, per la soluzione della crisi, invece dei sondaggi fossero stati decisivi i gruppi parlamentari.

Ai secondi rimproverava di aver voluto formare un governo con il Pd. «Grillini servi, venduti. Ho sottovalutato la loro fame di poltrone. Invece io ho valori e dignità, gli italiani sono con me, tornerò».

È una narrazione ampiamente condivisa sui social, che traboccano di insulti e maledizioni nei confronti dei pentastellati e di Conte, definiti «traditori» e «affamati di poltrone». Anche la discussione sui ministri del Conte 2 viene bollata come un «mercato delle vacche», indegno di una vera democrazia.

 

I fatti

Come fra poco spiegherò, non sono particolarmente entusiasta del governo che è appena nato.

Ma chiedo alle persone intellettualmente oneste – grazie a Dio ce ne sono ancora! – se questo modo di presentare la crisi del Conte 1 sia compatibile col rispetto della verità (che è cosa molto diversa dal quotidiano che porta questo nome).

Perché quello che qui è messo del tutto in secondo piano è il dato semplice, innegabile, indistruttibile, che è stato Salvini a decidere, a freddo, con sorpresa e sgomento dei suoi ingenui alleati e dello stesso premier, di metter fine all’esperienza di quel governo, dopo aver continuamente ripetuto che le sarebbe rimasto fedele fino alla scadenza dei cinque anni.

«La mia parola è sacra», aveva aggiunto una di queste volte, per sottolineare la solennità del suo impegno. Poi… la scelta di rompere, contraria al giuramento. Adducendo un motivo – i “troppi no” detti dai suoi alleati – che suonava palesemente infondato, all’indomani di una serie ininterrotta di rese da parte loro.

 

Chi è che ha tradito?

Insomma, è come se Renzi, all’indomani della pugnalata alla schiena inferta a Letta dopo il famoso «Enrico, stai sereno», lo avesse accusato di tradimento…

Dove la “colpa” dei grillini, gettati a mare di punto in bianco quando pensavano di aver fatto tutte le concessioni possibili all’alleato (le frottole sul “complotto” ordito da Pd e 5stelle, oltre ad essere prive di qualunque prova, cozzano in modo evidente col fatto che Di Maio, se avesse voluto rompere con la Lega, avrebbe messo fine al governo prima e non dopo l’approvazione della Tav) è stata solo quella di cercare di nuotare per non affogare, come il progetto di Salvini cinicamente prevedeva, e la «fame di poltrone» dei suoi rappresentanti è consistita nel rifiuto di cederle agli uomini della Lega, che speravano di sedercisi al posto loro, interrompendo la legislatura quasi quattro anni prima del suo termine fisiologico.

 

I valori di Salvini

Suona difficile da digerire, a questo punto, l’autocertificazione di Salvini: «Invece io ho valori e dignità».

Tra questi valori evidentemente non ci sono la fedeltà alla parola data e l’onestà intellettuale nel riconoscere le proprie responsabilità politiche e morali.

Ma quello che mi preoccupa di più è che ci siano milioni di persone sane di mente che, contro ogni evidenza (i fatti sono stati pubblici e innegabili) condividono questo resoconto e, contro il nuovo governo, gridano indignati al «tradimento».

La realtà non conta più? La post-verità ha veramente il potere di capovolgere ciò che è stato, ciò che è, trasformandolo nel suo contrario?

 

Verità e illusione nel bilancio del Conte 1

Così è andata, del resto, nei confronti del “governo del cambiamento”, apprezzatissimo, fino alla fine, da più della metà degli italiani, e che, al di là delle ricorrenti sceneggiate, finalizzate a mostrare il pugno di ferro del ministro degli Interni nei confronti dei migranti, e dei fieri proclami contro i “poteri forti” dell’Europa, lascia un Paese in ginocchio, che si sta riprendendo a poco a poco solo dopo la fine di quel governo.

I migranti in arrivo hanno continuato a entrare, con “sbarchi fantasma”; neppure uno di quelli clandestini già presenti è stato rimpatriato; i due decreti sicurezza hanno solo distrutto i pochi canali che permettevano una loro sana integrazione, aumentando di molto i rischi di comportamenti aggressivi e criminali.

 

Il rapporto con l’Europa

Quanto all’Europa, la giusta esigenza di una maggiore condivisione da parte sua dei nostri problemi è stata interpretata, ancora una volta, in chiave meramente spettacolare.

Il nostro ministro degli Interni ha sistematicamente disertato le frequenti riunioni fatte dai suoi omologhi europei per regolare la questione delle migrazioni, preferendo piuttosto impiegare quel tempo a girare per le piazze facendo comizi in cui gridare che «l’Europa ci deve ascoltare!».

Le continue aggressioni verbali dei due vice-premier nei confronti dei vertici europei – dati erroneamente per spacciati in vista di un trionfo elettorale del sovranismo che poi non c’è stato – hanno soltanto isolato l’Italia la quale, mentre i suddetti vice-premier si vantavano di aver fatto sì che finalmente «rialzasse la testa», in realtà ha perduto i posti di prestigio e di peso politico che aveva avuto fino a poco prima e si è trovata ai margini di un sistema da cui però, contraddittoriamente, ha continuato a dipendere totalmente.

 

Altro che «boom»!

Per non parlare dell’economia, che, a dispetto delle trionfali previsioni del premier – «sarà un anno bellissimo!», aveva detto – e di Di Maio, che aveva annunciato la possibilità di «un boom economico, come negli anni sessanta», ha rallentato ulteriormente rispetto al già misero tasso di crescita registrato sotto i governi precedenti, confermando le unanimi stime al ribasso degli esperti (i «professoroni» e i «giornaloni» tanto disprezzati dai leader populisti).

Per non parlare dell’aspetto finanziario, con lo spread, risalito vertiginosamente dopo che nel recente passato si era stabilizzato.

Anche la sola misura veramente opportuna varata in nome del “cambiamento” – l’abolizione dei vitalizi – si è rivelata per quello che era: un gesto simbolico, significativo, ma del tutto inadeguato a migliorare le finanze del Paese.

In questo contesto, le due riforme vantate dal governo come effettivamente incidenti a livello sociale – il reddito di cittadinanza e le pensioni a quota cento – hanno sicuramente avuto un effetto positivo immediato su quella parte della popolazione che ne ha fruito, ma hanno avuto l’effetto di sottrarre le poche risorse disponibili a investimenti produttivi che avrebbero potuto favorire l’occupazione, soprattutto quella giovanile, e si sono rivelate un modo di far pagare il prezzo della crisi ai figli invece che ai padri.

 

L’incapacità di auto-critica

Questo è il Paese che il nuovo governo Conte 2 eredita dal Conte 1. Con l’aggravante che una parte di ministri e lo stesso premier si dicono felici del «buon lavoro» che hanno fatto finora!

È questa incapacità di autocritica che getta un’ombra sinistra sul futuro di questo esecutivo.

Tremo al pensiero che Di Maio, protagonista di alcune tra le più clamorose gaffe nei confronti degli altri Paesi europei – vi ricordate quando andò a Parigi a creare un’intesa cordiale col capo dell’ala più violenta dei gilets jaunes, dando luogo a un serio incidente diplomatico, a stento sanato dalla nostra diplomazia? – sia il nuovo ministro degli esteri.

 

Che ruolo deve avere il Parlamento?

E constato con ancora maggiore preoccupazione che i 5stelle ribadiscono ad ogni occasione (lo hanno appena fatto in questi giorni) la loro idea secondo cui la vera democrazia sarebbe garantita dai settantamila iscritti della piattaforma Rousseau e non dai rappresentanti parlamentari di milioni di italiani che li hanno eletti.

Un misconoscimento del principio di fondo della nostra democrazia, che spiega come mai la sconfitta dell’autoritarismo salviniano sia stata frutto solo di un clamoroso autogol dello stesso Salvini, mentre quella dell’analogo tentativo di Boris Johnson, in Gran Bretagna, sia stata determinata dalla rivolta del Parlamento.

 

Un programma che consente di sperare

Un po’ di speranza viene dai 29 punti del programma di governo, inevitabilmente vaghi, ma in complesso ispirati a una logica di apertura – verso l’Europa, verso gli altri continenti – e allo sforzo di conciliare le esigenze di rilancio dell’economia con quelle della giustizia sociale e della sostenibilità ambientale.

Il peggio del “contratto” sembra finalmente scartato. È, insomma, un programma che, comunque, consente di sperare. Ma è troppo presto, evidentemente, per fare previsioni attendibili.

 

La vera priorità

A essere decisivo, però, al di là delle scelte del nuovo governo, sarà l’atteggiamento dei cittadini. Il clima da cui proveniamo ha prodotto, a livello popolare, consensi e dissensi più frutto di miraggi che di onesta considerazione della realtà.

È su questo terreno che è urgente una radicale discontinuità. Sarebbe triste che il Conte 2 venisse apprezzato o contestato sulla base di proiezioni illusorie, come è avvenuto col Conte 1.

L’Italia ha un disperato bisogno di un’opinione pubblica informata e dotata di senso critico. È questa la vera priorità. Le divergenze di opinioni ci saranno sempre, legittime e feconde, ma purché si sviluppino a partire dai fatti e non dagli slogan. È a questo, da oggi, che tutti – governo e cittadini – dobbiamo lavorare.