“CELEBRIAMO IL NATALE RICONOSCENDO GESU’ NEL VOLTO DI OGNI UOMO E DI OGNI DONNA”

L'Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice ci esorta a essere "artigiani della storia della salvezza" e ricorda, durante l'omelia, l'esempio lasciato dal professor Pietro Carmina, tra le vittime della tragedia di Ravanusa

«Oggi anche noi come i pastori di Betlemme, siamo avvolti dalla luce della gloria del Signore. Siamo venuti – corroborati nella speranza dal tepore spirituale dell’Avvento – a contemplare il Bambino Gesù nato dalla Vergine Maria. Lo stupore ci avvolge. Il «Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11), assume, con benevolenza e misericordia, la nostra condizione terrena, la nostra stessa carne. Non disdegna la miseria umana, non prende le distanze, anzi l’assume fino a farsi bambino, indigente, precario, povero, emarginato, profugo. Diventa – in tutto – quello che noi siamo, assumendo l’unica vera eredità di cui gli esseri umani possiamo vantarci: la fragilità e la piccolezza. La nostra vera grandezza è la nostra piccolezza. La fragilità ci segna per tutta la vita. È iscritta nel nostro DNA, sin dal nostro primo vagito. Non c’è realtà più fragile e impotente di un neonato. Dipende in tutto da un altro. Così come accade ancora nella ‘seconda piccolezza’ della vecchiaia e della malattia.

Oggi, nel segno del Neonato avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia (cfr Lc 2,12), facciamo memoria di questa piccolezza assunta liberamente: la Parola eterna (o logos) si assoggetta allo scorrere del tempo (del kronos), assume la carne umana (sarx egheneto), ne accetta la precarietà e la condivide venendo ad abitare fra di noi (eskenosen en emin) (cfr Gv 1,14). Dietrich Bonhoeffer scriveva: «Dio ha assunto corporalmente l’umanità. […] Dio si fa uomo per amore degli uomini. Non cerca il più perfetto degli uomini per unirsi a lui, ma assume la natura umana così com’è. Gesù Cristo non è un’umanità eccelsa trasfigurata, ma è il “sì” di Dio all’uomo reale. Non il “sì” spassionato del giudice, ma il “sì” misericordioso del compagno di sofferenze» (Etica, Milano 1983, 63). Per noi, Dio «ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,2). Ha adagiato nella ‘greppia’ del mondo la sua Parola. Per non lasciarci nella menzogna originaria della supponenza autoreferenziale, dell’individualismo, dell’egoismo, dell’indifferenza concorrenziale, della divisione. Per riconsegnarci al ‘potere’ della figliolanza, della fraternità e della ‘con-divisione’ che trabocca in noi dalle viscere paterne di Dio, del quale, Egli, il Figlio, è la luminosa immagine (cfr 2Cor 4,6).

Eppure non accettiamo la nostra piccolezza. La nascondiamo. La mascheriamo. Nella ricerca spasmodica di grandezza e di spazi di potere, idolatrati come garanzia di perenne benessere e baluardo di infallibile sicurezza. Fino a quando non veniamo travolti da un evento inaspettato; un altro non ci scavalca; un virus più resistente non ci assoggetta e livella. L’esperienza dell’impotenza ci riporta sempre alla ‘quota originaria’, alla nostra fragilità e precarietà. Alla piccolezza che accomuna tutti, che tutti parifica.

Oggi nella piccolezza del Bambino Gesù ci è dato di riscoprirci. Di ritrovarci. Da questo Bambino, che solamente Dio ci poteva dare, viene la moltiplicazione della nostra gioia e l’aumento della letizia (cfr Is 9,2). La salvezza viene da Lui. Il Bambino a noi donato è il Salvatore. E la salvezza scaturisce proprio dallo “scambio” con la nostra fragilità umana, come rimarca Paolo Apostolo in 2Cor 5,8: «Dio ci ha scambiati (katallaxantos) con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero dello scambio (katallaghes)». Nella condivisione della debolezza è la salvezza. Questo è il messaggio che nella notte stellata [che nel giorno della luce] della grotta di Betlemme ci viene dal Bambino nato dalla Vergine Maria, dal «Consigliere mirabile», come lo qualifica Isaia (9,5). La santità di quel giorno ora, nel memoriale liturgico, ci raggiunge e ci avvolge rendendoci partecipi della stessa inedita e trasfigurante luce: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).

Accogliere questo Bambino, la «grazia di Dio apparsa» (Tt 2,11) in questo giorno, significa riconciliarsi con la nostra fragilità e farsi attraversare da quella degli altri. La grazia di questo giorno sprigionerà così la forza trasformante della gratuità dell’amore che Dio riversa in noi. La sua capacità di raggiungerci e accoglierci nel nostro limite, di farlo suo, di condividerlo. Egli nei nostri peccati continua ad amarci, nella nostra sofferenza viene a condividerla, nella nostra oppressione sopraggiunge a liberarci. Come afferma S. Pietro Crisòlogo, Vescovo: «L’amore non si arresta davanti all’impossibile, non si attenua di fronte alle difficoltà» (Discorso 147).

Questo Natale del Signore, il secondo della pandemia da Covid-19, ci invita ad una svolta. Il Natale non ritorna solamente per solleticare emotivamente il nostro buonismo religioso o filantropico. Il grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, che ha condiviso la nostra condizione umana e ha dato sé stesso per noi (cfr Tt 2,13-14), ci chiede di immergere con gioiosa audacia ogni spazio umano da noi abitato, nella comunità cittadina come anche nella comunità cristiana, in un bagno rigeneratore di relazioni fraterne, di cammini condivisi, di processi sinodali, e di prendere parte allo stormo di uomini e di donne che già lavorano per una nuova stagione della storia umana. Molte gocce fanno il mare, tante rondini fanno primavera. Gesù viene per farci scoprire nuove rive e nuovi approdi per nuove stagioni di pace, di fraternità umana e di amicizia sociale.

Questo Natale del Signore ci chiede di accogliere – come esorta Papa Francesco – «il suo amore instancabile, che non cambia, ma ci cambia» (Omelia, Solennità del Natale del Signore, Santa Messa della Notte, 2020).  Ci sollecita a farci ricolmare dalla «grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza» (Tt 2,11-13) della parusia del Crocifisso risorto, il Messia dell’intera storia umana affrancata dalla morte e dal peccato, dal male e dalla sofferenza psichica e fisica, liberata da tutte le conseguenze sociali del peccato che alberga nei cuori induriti: l’ingiustizia, la violenza, l’indifferenza, l’emarginazione, le guerre. Gesù è il Messia della storia riscattata dal giogo e dalle sbarre che appesantiscono le spalle degli uomini e delle donne; liberata dai bastoni degli aguzzini (cfr Is 9,3) che segregano, percuotono, sfruttano, respingono ed eliminano bambini e donne, anziani ed ammalati, disabili e profughi: i vinti e le vittime innocenti della storia.

Questo Bambino dobbiamo riconoscere, abbracciare e curare in ogni bambino e in ogni ‘minimo’ che incontriamo sulle nostre strade e sulle nostre rotte quotidiane. Con la serena certezza che – come ha scritto in una recente riflessione notturna un mio arguto e sapiente amico – «se nonostante tutto il male che ci circonda e talvolta ci sommerge, il mondo va avanti e non crolla tutto, è perché una rete fittissima – che si scorge appena ma che è di una resistenza incredibile – sorregge la vita, il mondo, la storia. È la rete quotidianamente, silenziosamente, e spesso inconsapevolmente, tessuta da tutte le mamme, gli insegnanti, i medici, ecc. ecc. (e qui l’elenco sarebbe lunghissimo) che credono in quello che fanno e che credono in coloro a cui lo fanno. […] l’esistenza di tanti proff. come Pietro Carmina non è provata dal fatto che si vedono ma dal fatto che la vita, il mondo la storia procedono nonostante tutto» (A. B.).

Che questo Natale ci annoveri tra i ‘piccoli’ del ‘resto’ fedele e speranzoso del Signore, come Maria, Giuseppe, i pastori delle campagne di Betlemme, Giuseppe Puglisi, Pietro Carmina, Rosaria, Pippo, Maridina, Yambio David, … i tanti nomi di questo elenco lunghissimo di silenti artigiani della storia della salvezza».