“A Palermo sono presenti ben 126 etnie di popoli diversi per cultura, lingua, religione, tradizioni, con la speranza di trovare delle risposte alla loro esigenze, ai loro bisogni ai loro sogni, per un futuro senza guerre, violenze, soprusi, miseria, disperazione…e da quanti calpestano i sacrosanti diritti della persona umana (…) Dobbiamo imparare ad ascoltare il grido degli ultimi, dei poveri, dei più deboli e svantaggiati, il grido di tutti i popoli. Ciò è un dovere di giustizia, di civiltà, di solidarietà; è in particolare un dovere profondamente religioso che interpella tutti. Pensiamo che la premessa da cui occorre partire per fondare la ricostruzione dei diritti dei più deboli, sia l’avvio di un processo culturale di cambiamento, che abbia una forte rilevanza a carattere politico, sociale e religiosa e che metta al centro la promozione della persona umana”. (Don Pietro Magro, Direttore Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso)
Melle giornate in cui si fa memoria e si celebra Santa Rosalia, l’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice torna ad accogliere nella Chiesa Cattedrale i rappresentanti di tutte le confessioni e delle religioni cristiane presenti in città:
Benvenute care Sorelle, benvenuti cari Fratelli!
Ci ritroviamo qui, nel bel mezzo di un tempo inedito per i nostri percorsi personali e comunitari, e ci sentiamo ancora come in trincea di fronte a una sfida che continua a mettere alla prova l’umanità intera. È la sfida della pandemia, a cui siamo chiamati a reagire tenendo conto delle risorse e anche dei rischi attuali, assumendo gli interrogativi che questo tempo suscita nei cuori di tutti gli uomini e di tutte le donne. Perché le domande – come sempre – ci uniscono, ci riconducono alla nostra condizione di fratelli e sorelle che non hanno risposte precostituite, ma che si sentono accomunati dalla fatica del cercare e del condividere. Con il cuore e con gli occhi siamo aperti a comprendere il senso e il compito che questo tempo già difficile rappresenta, con le conseguenze che porterà e che rimangono non ancora prevedibili.
Non è un paradosso. Un virus invisibile ha messo in crisi una società ossessionata dalla visibilità, rivelandoci definitivamente l’illusione del potere. Ci ha arrestati e ci ha denudati, riconsegnandoci ai limiti della nostra natura umana. E in questo modo, in una parola, ci ha spogliati di ogni presunta differenza. Ci ha ricordato cioè che siamo anzitutto sorelle e fratelli: nella vulnerabilità, nella malattia, nel dolore della perdita e nella morte, così come nella precarietà, nell’incertezza, nella paura, nella diffidenza. Ma siamo fratelli e sorelle anche nella fiducia, nell’istinto di solidarietà, nella tensione alla generosità, nell’altruismo, nell’abnegazione, nella cura. Oggi più che mai tocchiamo con mano cosa vuol dire ritrovarci dentro un destino comune. Comprendiamo bene quale minaccia ci si presenterebbe se le soluzioni possibili, come i vaccini, non venissero messe subito a disposizione di tutti gli uomini, di tutti i popoli. E impariamo ancora una volta che la forza di una catena si misura dall’anello più debole e che se a quest’anello restassimo indifferenti esporremmo a un danno incalcolabile noi stessi e le generazioni future.
Fino a ieri qualcuno poteva ancora voltarsi dall’altra parte, ma adesso che lo scenario di disperazione di un mondo oltraggiato dagli squilibri, dalle razzie, dagli sfruttamenti, dal dolore della povertà, si è manifestato in modo dirompente nella vita di tutti, tutti abbiamo dovuto affinare lo sguardo. Lo abbiamo fissato a lungo sulla morte di 4 milioni di vittime del Covid-19 in tutto il mondo, lo abbiamo fissato sgomenti sul dramma di quei Paesi che non avevano le risorse per prevenire, per isolare, per prendersi cura dei vivi, per avere rispetto dei morti. Ma dobbiamo continuare a fissarlo anche sul retroscena che già da tempo era premessa della tragedia pandemica: il saccheggio delle risorse nei Paesi poveri, poveri perché tenuti in condizioni di povertà al fine di garantire gli interessi dell’Occidente; l’esodo di chi da quella povertà tenta di fuggire e si ritrova rifiutato, escluso, respinto; l’abisso in cui a centinaia, oramai a migliaia, questi nostri fratelli e sorelle – anche neonati e bambini, ahimè! – annegano senza che ci sia chi ricordi il loro nome, chi si dimostri capace di portare al di là del mare il loro sogno, il semplice sogno di continuare ad esistere. Fissiamo lo sguardo, sorelle e fratelli, sul volto sfigurato della Madre Terra, ferita da abusi infiniti, da continue devastazioni, assimilata dalla sfrenata ambizione dei ricchi e dei potenti al destino di tutti i poveri del mondo.
Oggi, portando qui tra voi la voce della Chiesa cattolica, della Chiesa ecumenica e accogliente di Gesù di Nazareth, non posso non ricordare i messaggi di Papa Francesco. Non posso non ricordare l’appello dell’enciclica Fratelli tutti, nella quale ha sapientemente tenuto insieme la molteplicità di riferimenti che anche noi qui, oggi, possiamo senz’altro considerare comuni, senza distinzione di confessione religiosa: da San Francesco d’Assisi a Desmond Tutu, passando per il Mahatma Gandhi e il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, che quest’enciclica l’ha in qualche modo stimolata, a partire dai temi affrontati insieme nello storico incontro di Abu Dhabi; (in questo contesto penso anche al grande contributo delle grandi tradizioni orientali, e penso anzitutto ai fratelli buddisti qui presenti come ogni anno). Ma non posso non ricordare che – in una sequenza non certo casuale – prima di quest’ultima Papa Francesco aveva fortemente voluto dedicare l’enciclica Laudato sì – anch’essa sollecitata dal dialogo interreligioso e in particolare dalla condivisione con il Patriarca ecumenico Bartolomeo – al tema della cura della casa comune, tema verso il quale riconosciamo e apprezziamo l’impegno prezioso di tutte le confessioni religiose. È una logica stringente: la genuinità della fraternità universale è garantita dall’amore alla Madre Terra che «ne sustenta et governa». E tutti siamo corresponsabili nel sentire la sua ricchezza come una risorsa non inesauribile, di custodire la sua bellezza, la sua armonia, la perfezione della sua misura e del suo ritmo, come un dono da cui lasciarci ispirare per porre in sintonia – come in un esatto accordo musicale – la misura delle nostre esistenze e il ritmo delle nostre relazioni. L’ecologia integrale – ambientale, economica e sociale – deve ormai diventare una scelta: la scelta dell’unico possibile stile della nostra vita.
Il nostro incontro di oggi assume dunque, se possibile, un valore ancor più grande. Come una chiamata a lavorare insieme per il bene dell’unica comunità in cui viviamo, a cui guardiamo con amore e con senso di responsabilità. Attraversiamo e accompagniamo ogni giorno il disorientamento e l’angoscia di chi è stato messo più in difficoltà e di chi è più spaventato. Ma restiamo vigili anche di fronte alle forze di segno contrario che si insinuano proprio tra le fragilità più grandi per tentare di farsi subdolo punto di riferimento, ambiguo strumento di difesa, falsa scorciatoia. Dobbiamo vigilare! Alla disperazione delle solitudini che si sono fatte più acute, al dramma dei conflitti nelle relazioni intime che si sono fatti più violenti, alla rabbia per le contraddizioni dello stato sociale che si sono fatte sempre più evidenti, c’è chi tenta di offrire risposte ingannevoli, insidiose, sventolando orgogliose bandiere di egoismo e di chiusura verso l’altro, che indicano assurde velleità di predominio sulla vita e sulla dignità altrui. Chi è portatore di questo modello dell’esistere e del co-esistere esaspera le ragioni dell’odio, dell’indifferenza verso le periferie, dell’interesse personale o di gruppo come unico valore.
Noi siamo qui per riaffermare ancora una volta che la fiducia, la speranza, la solidarietà, l’amicizia costituiscono la strada più certa, anche se a tratti più lunga e difficile, per tener conto fino in fondo della globalità e della sua complessità e per condurci alla giustizia e ad una vera condivisione. Perché solo questa via ci farà riscoprire capaci – individualmente e collettivamente – di immaginare e di realizzare un mondo nuovo, una nuova convivenza, una nuova prospettiva di pace e di fratellanza. Questo nostro ritrovarci qui, oggi, sorelle e fratelli di ogni fede, vuole essere un momento di incontro e di reciproco incoraggiamento, di reciproca confermazione, di ulteriore riconoscimento che il nostro essere vicini, il nostro camminare insieme è missione prioritaria ed è già testimonianza di questo nostro impegno. Ognuno di noi sa che l’autentica ricerca spirituale ci educa sempre e innanzitutto alla capacità di riconoscerci fratelli, di darci la mano affinché lo scoraggiamento, la delusione e la stanchezza non ci travolgano. Nell’amore è la risposta al travaglio di questi tempi, la risposta più semplice e più potente, grazie alla quale ogni uomo e ogni donna sono in grado di attraversare anche i passaggi più difficili.
Siamo chiamati oggi ad abbracciare ognuno, con tenerezza. A dire parole di speranza, a seminare speranza e a far circolare l’amore. Di ogni uomo (e di ogni credente in modo più pressante) è poi il compito di ricordare che abbracciare ogni sorella, ogni fratello, in particolare il più debole, in particolare il più povero, raggiunge la sua pienezza di senso e di cammino dentro l’abbraccio alla Madre Terra, al Creato che è la casa comune dentro la quale trascorriamo i nostri giorni. Il dialogo tra le confessioni religiose accolga e rafforzi l’urgenza di questo compito, in modo che l’interconnessione non più eludibile tra i poveri e la Terra, tra l’umanità e il Creato, possa essere posta con fermezza – come emergenza non più eludibile – in cima all’agenda dei temi del presente.
Care sorelle, cari fratelli, questo nostro incontro avviene tradizionalmente nei giorni che noi palermitani dedichiamo a Santa Rosalia, ricordando che la sua storia non può, nel corso dei secoli, non essersi legata a tante diverse e molteplici storie, a tanti diversi e molteplici destini che sono andati intrecciandosi, incarnandosi nel corpo della nostra città Tutto-porto, inscrivendosi insieme nel suo patrimonio genetico e nella memoria che oggi è di tutti. Quello di Rosalia è l’esempio umanissimo di una donna che, da sola, ha avuto il coraggio di compiere la scelta di sentirsi una creatura, una piccola parte del Creato, grata e vigile, accogliente e premurosa verso le altre creature. Ognuno di voi custodisce come me, nella propria tradizione, luminosi esempi di questa stessa scelta. Facciamola oggi, facciamola assieme!
Vi ringrazio dal profondo del mio cuore per essere qui convenuti, testimoniando in modo visibile la fraternità che annunziamo. Ancora una volta ad ognuno di voi, con un abbraccio da fratello, il mio affettuoso benvenuto.