Anche in occasione della celebrazione dell’Epifania, animata dal coro “Arcobaleno dei popoli”, l’arcivescovo di Palermo è tornato sui temi dell’accoglienza. “L’Europa, che è una contaminazione di popoli e che custodisce le nazioni che hanno in mano il potere – ha detto mons. Corrado Lorefice – ha paura di quaranta persone. Questa è l’Europa che a volte rivendica le radici cristiane”.
La vicenda dei migranti ancora in mezzo al mare, in attesa di un porto in cui le due navi “Sea Watch” e “Sea Eye” possano attraccare, è stata al centro della celebrazione della Messa dei popoli, organizzata dall’Ufficio Migrantes diretto da Mario Affronti e padre Sergio Natoli e che riunisce i rappresentanti dei cinque continenti davanti a Gesù Bambino nel segno della fratellanza, con canti in otto lingue, preghiere in 15 idiomi, abiti di ogni foggia e colore, pastori di varia nazionalità.
Lo striscione che ha aperto la processione introitale, recitava un messaggio alquanto significativo: “Siamo tutti sulla stessa barca”.
“Il pericolo è la rabbia – ha detto Mario Affronti – oggi sembra che la chiusura, lo stare serrati siano la soluzione, ma la civiltà che si fonda sul “Mors tua vita mea” è una civiltà che si avvia alla distruzione. Se chiudiamo i porti, siamo dei disperati. La Chiesa non può restare in silenzio. La relazione è l’unica strada. Non è questione di accoglienza, di essere buoni, ma di essere giusti. Con questa visione contrasta il recente Decreto Sicurezza, che mette in situazione di insicurezza, sulla strada, i più deboli”. Presenti alla celebrazione anche decine di ospiti della missione Speranza e carità, fondata da Biagio Conte, a realizzare una sorta di presepe vivente. Ci sono anche due rappresentanze di bambini delle comunità musulmane e indù, assieme ai volontari dell’Ufficio della pastorale dell’Ecumenismo e del dialogo interreligioso.
E monsignor Lorefice sottolinea l’importanza di questi segni nel giorno in cui si celebra la manifestazione di Gesù bambino ai magi venuti dall’Oriente. “È lui che ci raduna, il Figlio che è venuto a renderci tutti figli, facendosi uno di noi, fragile come noi, scegliendo una famiglia umana, assaporando sin dai primi giorni un senso di precarietà. Gesù non nasce a Roma o a Gerusalemme, non lo riconoscono gli imperatori e neanche i sommi sacerdoti, ma umili pastori. Non lo riconoscono gli uomini che scrutano la legge e che conoscono la Bibbia, ma uomini sapienti che vengono dall’Oriente. Lui abbatte le barriere anche a motivo del credo religioso, tutti vengono ad adorarlo, a riconoscerlo – dice l’arcivescovo – Noi vogliamo seguirlo in quello che essenzialmente è: un piccolo, un fragile, un mite, che custodisce il cuore che Dio vuole dare all’uomo, il cuore che non si indurisce”.