L’arresto dell’onorevole Cateno De Luca, appena rieletto nelle file dell’Udc – una delle liste di centrodestra che, nelle elezioni siciliane appena svolte, hanno sostenuto Nello Musumeci – , con l’imputazione di avere creato una vera e propria associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale, conferma le perplessità che hanno accompagnato fin dall’inizio queste elezioni.
La vittoria di Musumeci è stata salutata dall’esultanza del centro-destra come una vera e propria rivoluzione. Qualcuno, forse, a stemperare questa lettura, potrebbe ricordare che in realtà la Sicilia – se si eccettuano i cinque anni dell’ultimo governo, guidato da Rosario Crocetta – è stata tradizionalmente un feudo della destra, e che anche alle precedenti elezioni questa fu sconfitta solo perché si era divisa. A fil di storia, oltre che di logica, più che di rivoluzione si dovrebbe parlare, dunque, di ritorno al passato.
Che poi non sarebbe, di per sé, un valido motivo di critica – non sempre il nuovo è migliore di ciò che lo ha preceduto, e il governo Crocetta ne è stato la prova – , se non si dovesse purtroppo accompagnare alla constatazione che gli ultimi governatori di destra della Sicilia, Salvatore Cuffaro e Raffaele Lombardo, sono stati entrambi condannati, il primo per favoreggiamento aggravato alla mafia, il secondo per voto di scambio, aggravato, secondo i giudici, dall’avere favorito Cosa Nostra. Senza dire che, al di là delle vicende giudiziarie, al periodo della loro presidenza ha corrisposto, secondo molti osservatori, una notevole accelerazione del processo di decadimento della Sicilia (che il loro successore ha ulteriormente accentuato).
Questa è la storia che il neoletto governatore, Nello Musumeci, si trova alle spalle. O, forse, “sulle” spalle. Di lui si dice che sia una persona perbene e capace. Questo è già molto. Però non è tutto. Perché per governare ci vogliono i numeri e la lista personale del vincitore, “Sarà Bellissima”, ha perfino rischiato di non superare la soglia di sbarramento del 5%. A portare i voti sono stati, in realtà, gli alleati dei bei tempi di Cuffaro e Lombardo, Forza Italia e Udc.
E del resto, quale fosse la situazione lo si era già capito quando, alla vigilia del voto, scorrendo le liste, si sono trovati i nomi di figli e parenti di personaggi della peggiore Sicilia, i cosiddetti “impresentabili”. Ma, quando lo hanno fatto notare a Musumeci, alla vigilia delle elezioni, lui ha risposto candidamente che aveva appreso di questi nomi dai giornali, perché le liste non le faceva lui, e si è limitato a invitare a non votare i candidati sospetti.
Non si può dire, peraltro, che sia stato ascoltato. Emblematico il trionfo di Luigi Genovese – figlio ventunenne di Francantonio, ex–segretario regionale del Pd trasmigrato in Forza Italia e condannato a undici anni – , eletto con quasi ventimila preferenze, e che a Messina ha avuto un vero plebiscito, consentendo a Musumeci di superare in questa città il cinquanta per cento.
Sorge spontanea la domanda: chi governerà effettivamente la Sicilia? Chi ha fatto le liste “sporche”, ottenendo la maggioranza dei voti e dei deputati, o l’onesto neo–governatore? I fatti lo diranno, ma le previsioni, alla luce di quanto è accaduto finora, non sono entusiasmanti.
Né si può dire che una eventuale vittoria delle altre due principali forze di questa competizione elettorale avrebbe aperto scenari molto migliori. La sinistra, nei cinque anni in cui è stata al potere, ha governato talmente male da essere costretta ad ammetterlo e a rinunziare alla conferma del governatore uscente. Ma ha creduto di potersi rinnovare puntando sulla scelta di un singolo personaggio della società civile, il rettore dell’Università di Palermo – tirato fuori per l’occasione come un coniglio dal cappello del prestigiatore – , invece di rimettere in discussione tutto il suo gruppo dirigente, ampiamente squalificato da una storia di compromessi e di assoluta mancanza di idee “di sinistra”. Né ha giovato, evidentemente, la divisione interna, anche qui, come a livello nazionale, caratterizzata spesso da un astioso battibecco pro o contro Renzi. Una sinistra, insomma, autoreferenziale, con pochissime idee e lontana dalla gente e dai suoi problemi.
Molto più vicini alla base sono sicuramente i 5stelle, che però, purtroppo, pur avendo promosso nel recente passato delle iniziative meritorie – come quella di destinare un parte degli emolumenti dei deputati regionali a sostenere piccole aziende dell’Isola – , scontano la loro mancanza di cultura politica e una radicale difficoltà ad avere un progetto di largo respiro. Per questo sono costretti a puntare tutto sul mito del “politico onesto” e quando, come in questa vigilia elettorale, il mito viene smentito da deplorevoli scivoloni, lasciando intravedere la differenza tra enunciazioni di principio e realtà concreta, perdono inevitabilmente credibilità. Ma, soprattutto, l’esperienza dimostra che le loro posizioni – proprio perché non sono inserite in una prospettiva più ampia – possono cambiare “democraticamente”, sul web, nel giro di poche ore, senza altra logica che quella delle indicazioni provenienti dai vertici del movimento. Finta democrazia, resa più pericolosa da una spiccata tendenza a voler governare da soli, mandando tutti gli altri “a casa” (così nascono le dittature!).
Un cenno a Siciliani Liberi, anche se la loro consistenza, in termini elettorali, è stata minima. Loro i progetti ce li hanno e nelle loro file militano alcune persone rispettabilissime. Ma molti, in quest’Isola (e tra questi lo scrivente) sono convinti che l’autonomia regionale è stata una delle principali cause del disastro della Sicilia, favorendo – ora come in passato – una casta che l’ha usata per accaparrarsi privilegi, in collusione con la mafia. In un “chiaroscuro” di qualche tempo fa su “Tuttavia” ho scritto che la sola speranza dei siciliani è di dichiarare guerra alla Svizzera, di perderla e di essere invasi e retti da un governo elvetico, come la Lombardia e il Veneto lo sono stati in passato dall’Austria. Per certi versi uno scherzoso paradosso, ma che spiega perché personalmente non rimpiango la loro sconfitta.
Davanti a questo scenario, si capiscono anche le ragioni che hanno spinto 2.179.474 elettori (su 4.661.111: il 53%!) a non andare neppure a votare. E che hanno costretto chi alle urne c’è andato, come il sottoscritto, a turarsi il naso per il cattivo odore emanato da questa politica.
Ma “il giorno dopo” non viene solo per recriminare. È anche quello in cui si deve cercare di ricominciare. In cui si può e si deve guardare al futuro. Non certo puntando su questa classe dirigente, ma neppure illudendosi sui siciliani, almeno per come sono adesso. Un popolo ha i governanti che si merita. Perciò è dalla gente che forse bisogna partire, con una campagna di educazione alla cittadinanza capace di formare, prima di tutto, gli elettori. Prima di pensare ai futuri rappresentanti, è ai rappresentati che è urgente dedicarsi, per renderli un po’ più consapevoli e responsabili. Fin da ora! Perché si formino, qua e là, gruppi di cittadini in grado di esprimere, nell’arco dei prossimi cinque anni, volti nuovi e soprattutto idee e programmi (latitanti in questa tornata elettorale) – e non ci troviamo ancora una volta, all’indomani delle prossime elezioni, a tracciare uno sconsolato bilancio del presente e soprattutto delle prospettive future della Sicilia.