Fratelli e sorelle amati dal Signore ed a me carissimi!
1. Si è ripetuto anche quest’anno, in questa primaverile Domenica delle Palme, il gesto che ci ha fatto rivivere l’ingresso del Signore Gesù a Gerusalemme, la città santa nella quale egli porterà a compimento la missione affidatagli dal Padre suo, sigillando con il dono della sua vita la nuova ed eterna alleanza.
Fra gli ulivi e le palme che con devozione abbiamo portato nella processione introitale, abbiamo ricordato con fede quel giorno così significativo nel quale Gesù viene acclamato come Figlio di Davide. Nello stesso tempo, con la nostra partecipazione, abbiamo testimoniato come anche noi vogliamo impegnarci non soltanto ad osannarlo e lodarlo, ma anche ‘ e soprattutto ‘ a seguirlo fedelmente sulla via che egli ci indica.
‘Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria’. Questa santa Domenica delle Palme ci invita ad aprire le ‘porte antiche’ del nostro cuore, per consentire a Gesù, re della gloria, di entrare nella nostra vita, di trasformarla in sua lode perenne, di offrirla a lui fiduciosamente, anche nei momenti più difficili e dolorosi del nostro quotidiano.
‘Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria’. Mentre lasciamo che ci visiti ‘colui che viene nel nome del Signore’ siamo noi stessi introdotti, proprio da questa Domenica delle Palme, alle celebrazioni della Settimana Santa. In modo così intenso e solenne, così partecipato e vissuto, veniamo coinvolti all’interno di un grande mistero, ne percepiamo tutta la forza, ne cogliamo la portata.
2. Eppure, come pesa su ognuno di noi il contrasto di questa Domenica! La nostra commozione si fa stupore e preghiera quando pensiamo che la Gerusalemme che osanna il Figlio di Dio è anche quella che, di lì a qualche giorno, lo condanna a morte, che lo rinnega dinanzi ai capi, che a lui preferisce un malfattore.
Proclamando solennemente la Passione del Signore ci stupisce e ci colpisce come, accanto alla vicenda del Dio accolto e lodato, dinanzi ai nostri occhi e al nostro cuore, si presenti il mistero del Dio tradito e condannato.
Rimaniamo senza parole! Dio si lascia tradire! Dio si lascia consegnare! Dio si lascia oltraggiare, schernire, flagellare, crocifiggere! Quanto è profondo questo mistero! Più ancora se pensiamo che il Figlio di Dio viene tradito, consegnato e abbandonato anche da coloro che egli aveva scelto come fratelli, nuova famiglia dei suoi discepoli.
Essi, alla vista del fallimento umano del loro profeta, fuggono in preda alla paura ed alla delusione. Lo stesso Pietro non ha il coraggio di confessarsi suo discepolo: il canto del gallo suggellerà il suo rinnegamento.
Ma c’è una figura che, in particolare, ritorna col suo nome, con la sua identità associata al mistero di amore di Dio, eppure tanto pesante da diventare il traditore per eccellenza. È Giuda Iscariota il discepolo che ‘ in prima persona ‘ consegna Cristo nelle mani del Sinedrio. Di lui ci si vergogna. Da lui si prendono spontaneamente le debite distanze. Eppure, in una celebre omelia del Giovedì Santo del 1958, don Primo Mazzolari, definì Giuda ‘suo fratello’. Accostando alla tragica vicenda del discepolo traditore, la vicenda del peccato che segna il cuore dell’uomo che tradisce Dio, don Primo ebbe a dire: ‘Non vergognatevi di assumere questa fratellanza. Io non ne ho vergogna, perché so quante volte ho tradito il Signore’.
Carissimi fratelli e sorelle, la storia di Giuda racchiude anche la nostra storia di figli prediletti, scelti ‘ come lui ‘ per grazia, per divenire suoi discepoli e familiari, accolti fra i più cari, amati fino al punto da chiamarci ‘non più servi ma amici’. Egli incarna la nostra storia di ribelli, di peccatori, che ‘ come Giuda ‘ tradiamo le vie del Signore, la sua fiducia, la sua volontà, consegnando la nostra vita in mano alle nostre passioni ed al nostro egoismo, tradendo Cristo ancora una volta, nelle scelte che compiamo, assecondando il nostro peccato.
3. In fondo tradire Cristo è tradire l’uomo. È tradire la propria coscienza. È allontanarsi sensibilmente dal compimento della propria realtà più profonda, deviando dalla via pensata e tracciata da Dio per la nostra felicità. Tradire Dio è tradire l’uomo. E viceversa. Non si possono fare distinzioni perché queste ci portano a scivolare in possibili alibi.
Quanto tradimento troviamo nella realtà che ci circonda! E quante forme e possibilità diverse ci sono di tradimento nei confronti di Dio e nei confronti dell’uomo! Sono radicate in oscuri compromessi, in scelte di vita che offendono la libertà e la dignità dell’uomo.
Tradire Dio è facile. E’ incredibilmente alla nostra portata, perché i ‘trenta denari’ con i quali e per i quali lo consegniamo sono facilmente a nostra disposizione.
Sono a nostra disposizione le occasioni nelle quali prevalgono logiche perverse fondate sull’egoismo, che negano i più elementari diritti dell’uomo e ne offendono la dignità di figli fatti a immagine e somiglianza del Creatore. Penso ai tanti casi ‘ esponenzialmente in aumento ‘ di violenza, perpetrata financo all’interno delle mura domestiche: Dio viene tradito proprio nell’ambito di quelle relazioni che dovrebbero essere le più sane e le più protette, dove l’amore reciproco è stato soppiantato dalla strumentalizzazione della persona per il proprio piacere. Penso ancora alle famiglie in crisi per le quali la società, nelle sue amministrazioni e nelle sue espressioni, fa davvero poco: Dio viene tradito nel disegno di bene che egli ha voluto inscrivere nell’uomo e nella donna, deturpato ad ogni momento dal nostro arrogante libero arbitrio.
Ho in mente i continui tradimenti nei confronti del mistero della vita: nessuno può arrogarsi il diritto di ostacolarne l’inizio né di determinarne a piacimento la fine. E poi il traffico della droga, gli affari illeciti della prostituzione, la tratta di clandestini, lo sfruttamento minorile anche a sfondo sessuale. Tutti ambiti nei quali vengono movimentati e riciclati enormi capitali e da cui si traggono immensi profitti illeciti. Tutti tradimenti di quel Dio che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, imprimendogli il soffio della sua stessa vita, e la cui dignità di figlio amato e prediletto è stata restaurata.
Persino la perversa piaga del ‘pizzo’, di cui troviamo eco giornaliera nei mezzi di comunicazione sociale, è ancora troppo diffusa e sommessamente viva nel nostro tessuto sociale, tanto da incidere fortemente sulla rinascita dell’intera nostra comunità civile. Anche se segnali positivi di speranza si possono cogliere in alcune denunce e nella cultura che esse contribuiscono a creare, tanti ‘ ancora troppi ‘ continuano a piegarsi dinanzi all’offerta di questa protezione così subdola e disonesta che offende la convivenza civile e ferisce lo stato di diritto. Perciò, anche le vittorie che pur sono presenti, fanno fatica a tradursi in un reale cambiamento di mentalità, concreto e deciso: è il tradimento di quella limpidezza e di quell’onestà che il Signore ci ha insegnato. È pervasiva corruzione che paralizza l’autentica ricerca del bene comune, la trasparente legalità nei rapporti sociali, il rispetto integrale della dignità umana.
Quanti tradimenti di Dio pesano sulle nostre coscienze! Dio continua ad essere offeso ed oltraggiato come da un Giuda presente nell’abisso del cuore dell’uomo. Per questo Giuda è un po’ anche ‘nostro fratello’.
4. Eppure c’è una fratellanza con Giuda che non posso accettare.
Pur nel sentirlo mio fratello, nella triste esperienza del tradimento, non posso tuttavia accettare la sua più grande colpa: la disperazione nel pensare di essere stato abbandonato da Dio, inesorabilmente condannato nel peccato e dal peccato.
No! Questa fratellanza non posso e non devo accettarla! E mentre Giuda, dopo aver avuto la lucidità di rigettare i trenta denari dello squallido baratto, sceglie di terminare la sua triste esperienza impiccandosi, io voglio e devo sperare di andare oltre il peccato dell’uomo, oltre l’orizzonte tenebroso della sua infedeltà e delle sue passioni.
E se Giuda crede che Gesù non possa più chiamarlo ‘amico’ io voglio e devo sperare che in ogni istante il cuore dell’uomo sia pronto a scoprire e riscoprire l’amicizia con Dio, che si fa fraternità tra gli uomini.
Giuda si rassegna dinanzi alla possibilità che Dio possa perdonarlo e lavare anche lui nel sangue della Passione. Io voglio e devo sperare che le ferite del peccato possano essere lenite dalla misericordia infinita di Dio che dona il suo unico Figlio per la salvezza dell’umanità.
E mentre intorno a me la società compie assurdi movimenti verso drammi sempre più profondi, io voglio e devo sperare che in essa Dio possa agire, nella misura in cui egli è libero di agire nel cuore degli uomini, di tutti e di ciascuno.
5. Sì, il Signore accompagna questa umanità che cammina i sentieri della storia, e in questa storia si incarna ancora una volta attraverso le scelte dei singoli uomini.
Questa speranza che voglio e devo nutrire per la nostra città di Palermo e per l’intera Arcidiocesi è carica di responsabilità, per me come Pastore e per quanti, in virtù del Battesimo, costituiamo il Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa: richiede la risposta da me, dal mio ruolo, dal mio compito, e non da altri.
Una risposta di coerenza nella mia chiamata di discepolo. Una risposta che non può conoscere le tragiche scelte di morte, di illegalità, di violenza, di corruzione, di indifferenza. Una risposta che stia lontana da doppiezze, ipocrisie, convenienze, piccoli tradimenti, silenziose defezioni, dolorose ferite dell’amicizia di Cristo.
Una risposta che sia piuttosto carica della responsabilità di compiere ogni giorno il mio dovere, lì dove il Signore mi ha posto, in un’amministrazione pubblica come all’interno di una famiglia, in quel servizio ecclesiale come nell’esercizio della professione e nell’ambito delle relazioni umane che vivo.
E in questa speranza, sento il bisogno di non essere abbandonato, devo essere aiutato a sperare. Giuda muore da solo. Nessuno gli ricorda quella misericordia che tante volte egli aveva sentito annunziare nelle parole del Cristo, una misericordia così chiaramente proclamata nella parabola del ‘figliol prodigo’.
Anch’io, nella mia personale rinascita e in quella della società in cui vivo, voglio e devo essere aiutato a sperare. Continuamente. Concretamente. Al di là delle promesse, nell’attualità dei problemi.
Voglio e devo essere aiutato anche e soprattutto da coloro che presiedono e servono ‘ non dimentichiamolo: servono ‘ il bene comune.
Carissimi fratelli e sorelle! Nelle particolari situazioni che viviamo in questi giorni desideriamo tutti percepire programmi concreti, proposte che ci aiutino a guardare avanti, verso il rinnovamento del Paese, della nostra Regione, del nostro tessuto sociale.
Desideriamo che ancora una volta non venga tradito l’uomo con i trenta denari degli equilibrismi partitocratici, o con promesse cariche unicamente di false speranze. Desideriamo che l’uomo ‘ nell’impronta divina che egli porta iscritta nella sua natura ‘ non venga ancora una volta tradito con ambiguità su valori fondamentali e assolutamente non negoziabili. Che venga fatto tutto il possibile per assicurargli una vita dignitosa, onesta, in cui il lavoro permetta la personale realizzazione e tutto contribuisca ad alimentare in lui la speranza e la pace.
Così soltanto nel volto dell’uomo che soffre in questa società, potremo contemplare il volto sfigurato di Cristo Signore, senza tradirlo, consegnarlo all’inconsistenza, schernirlo e offenderlo nella dignità.
Così soltanto le nostre scelte quotidiane, concretamente orientate dalla fede nella quale continuiamo ad incontrare Cristo Signore, apriranno cammini di conversione personale che si faranno legalità, giustizia, pace, lealtà, interesse per il bene comune.
E tutto ‘ proprio tutto ‘ comincerà a risplendere di una luce nuova, quella del mattino limpido e gioioso della Pasqua ormai vicina.
Auguro a tutti una Settimana Santa vissuta nella ricerca di Dio e nella gioia del suo Amore misericordioso.