OMELIA DI MONS. PAOLO ROMEO
ARCIVESCOVO DI PALERMO
20-03-2008
Fratelli e sorelle amati dal Signore ed a me carissimi!
1. Anche quest’anno la Messa del Crisma, nella mattina del Giovedì Santo, ci vede riuniti insieme nella comunione dell’unica Chiesa che, raccolta attorno al suo Signore, presente ancora una volta nel dono di sé, si manifesta sua Sposa, nella varietà dei carismi che Egli le ha donato, nel popolo santo che Egli si è scelto, e per il quale ha dato se stesso nel mistero della sua morte e della sua risurrezione.
Anche la nostra Chiesa di Palermo può oggi unirsi all’acclamazione ascoltata or ora dal libro dell’Apocalisse: ‘A Colui che ci ama e ci ha liberati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen’. (cf. Ap 1,6)
La Messa Crismale diviene così autentico evento di comunione, manifestazione forte e significativa dell’unità della nostra Chiesa locale, nella quale tutte le membra del Corpo sono presenti, partecipi dell’unica lode a ‘Colui che è, che era e che viene’ (cf. Ap 1,8).
Anche la nostra Chiesa di Palermo può oggi unirsi all’acclamazione ascoltata or ora dal libro dell’Apocalisse: ‘A Colui che ci ama e ci ha liberati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen’. (cf. Ap 1,6)
La Messa Crismale diviene così autentico evento di comunione, manifestazione forte e significativa dell’unità della nostra Chiesa locale, nella quale tutte le membra del Corpo sono presenti, partecipi dell’unica lode a ‘Colui che è, che era e che viene’ (cf. Ap 1,8).
2. Durante la Messa del Crisma, attorno all’altare del Signore, si raccoglie anche l’intero presbiterio insieme con il suo Vescovo, per rinnovare solennemente le promesse dell’ordinazione sacerdotale.
Per questo, è a voi presbiteri, figli carissimi, che desidero rivolgermi in particolare, in questa celebrazione così solenne, per riflettere insieme sull’essenza della nostra chiamata, una chiamata che esige di essere tutti una cosa sola, come bene avete espresso significativamente attraverso gli auguri che mi avete formulato per il mio XLVII anniversario dell’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 18 marzo 1961.
Figli miei carissimi! Rimango sempre più convinto ‘ e credo che siate con me concordi nel pensarlo ‘ che col sacerdozio abbiamo ricevuto un dono immenso, smisurato. Immenso quanto le profondità del cuore stesso di Dio. Smisurato quanto la sua instancabile misericordia che continuamente bussa alle porte del cuore dell’uomo.
Il nostro sacerdozio è anzitutto un dono da amare, assaporandone ogni giorno il senso.
È poi un dono da condividere, nel ricercare e attuare la comunione fra di noi presbiteri, nel promuovere quell’unità per la quale Gesù ha tanto pregato: ‘Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola’ (cf. Gv 17,21).
Infine il nostro sacerdozio è un dono da testimoniare, nel servizio generoso al popolo di Dio che ci è stato affidato a vario titolo.
È a questi tre aspetti che desidero riferirmi come per incontrarvi tutti in questa comune riflessione, come per ascoltare ancora una volta il Cristo che parla ai suoi nel Cenacolo, nell’intimità della confidenza e nella reciproca amicizia.
Per questo, è a voi presbiteri, figli carissimi, che desidero rivolgermi in particolare, in questa celebrazione così solenne, per riflettere insieme sull’essenza della nostra chiamata, una chiamata che esige di essere tutti una cosa sola, come bene avete espresso significativamente attraverso gli auguri che mi avete formulato per il mio XLVII anniversario dell’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 18 marzo 1961.
Figli miei carissimi! Rimango sempre più convinto ‘ e credo che siate con me concordi nel pensarlo ‘ che col sacerdozio abbiamo ricevuto un dono immenso, smisurato. Immenso quanto le profondità del cuore stesso di Dio. Smisurato quanto la sua instancabile misericordia che continuamente bussa alle porte del cuore dell’uomo.
Il nostro sacerdozio è anzitutto un dono da amare, assaporandone ogni giorno il senso.
È poi un dono da condividere, nel ricercare e attuare la comunione fra di noi presbiteri, nel promuovere quell’unità per la quale Gesù ha tanto pregato: ‘Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola’ (cf. Gv 17,21).
Infine il nostro sacerdozio è un dono da testimoniare, nel servizio generoso al popolo di Dio che ci è stato affidato a vario titolo.
È a questi tre aspetti che desidero riferirmi come per incontrarvi tutti in questa comune riflessione, come per ascoltare ancora una volta il Cristo che parla ai suoi nel Cenacolo, nell’intimità della confidenza e nella reciproca amicizia.
3. Amare il dono ricevuto. ‘Canterò in eterno le grazie del Signore; di generazione in generazione annunzierò la sua fedeltà’. È il canto della gratitudine che l’antifona di comunione, proposta dai testi liturgici di oggi, ci farà innalzare al Signore. Questo canto può risultare autentico e levarsi in pienezza come lode al Signore solo a patto che noi riconosciamo e amiamo il dono del nostro sacerdozio. E forse è il caso che ciascuno di noi ‘ anche in un giorno così solenne come lo è il Giovedì Santo ‘ si chieda con grande sincerità: amo veramente il mio sacerdozio? Sono davvero grato al Signore per quanto ha operato in me e per me?
E’ una domanda che l’intero popolo di Dio è chiamato a farsi. Perché il sacerdozio conferito ad alcuni dei suoi membri, è al servizio della santità di tutti.
Alcuni di noi sono sacerdoti ormai da molti anni ‘
Altri ‘ e penso in particolar ai primi cinque presbiteri diocesani da me ordinati nello scorso giugno ‘ lo sono da meno di un anno’
Nel nostro presbiterio abbiamo la gioia di avere don Saverio Lipari e don Giuseppe Uzzo che quest’anno celebrano il 60° di ordinazione; don Mariano Lo Coco, Mons. Giovanni Muratore e don Mariano Passamonte che celebrano il loro 50°; Mons. Raffaele Mangano, Mons. Giuseppe Oliveri e don Carmelo Torcivia che celebrano il loro 25°. Alcuni di loro sono presenti in mezzo a noi, questa mattina.
A tutti auguro in questa significativa occasione di celebrare con la vita la misericordia di Dio che li ha chiamati a questa missione.
A tutti, carissimi fratelli miei, è stato comunicato ‘ certo immeritatamente ‘ un dono di grazia che discende direttamente dal cuore di Dio.
Tuttavia vorrei che tutti noi, qui presenti, ritornassimo al giorno della nostra ordinazione. Vorrei che non fosse soltanto un esercizio di memoria, un ricordo nostalgico intonato al clima che respiriamo oggi. Vorrei fosse di più: un vero e proprio ‘memoriale’ del nostro sacerdozio, perché ciò che viene ricordato è reso vivo ed attuale dal nostro quotidiano impegno per la santità, dalla nostra disponibilità a vivere la nuova identità che sempre dono gratuito ‘ è stata configurata con la nostra ordinazione.
Perché amare il proprio sacerdozio? Perché il dono che ci è stato fatto, cari fratelli miei, non è un’aggiunta opzionale della nostra vita, un accessorio che ci siamo sentiti di assumere come impegno, una funzione che c’è stata data da svolgere. No! Esso è la nostra più profonda identità. Una identità nuova. Sempre innestata nella nostra umanità, sempre ‘impastata’ con al nostra umanità, ma nuova nella piena identificazione con Cristo, l’Unto del Padre, il Figlio dell’Uomo su cui riposa lo Spirito.
L’ ‘oggi’ del compimento, nel quale Gesù situa la sua missione, nella sinagoga di Nazareth, dopo aver proclamato la parola che a lui si riferisce nella profezia di Isaia, è ‘ in certo qual senso ‘ l’ ‘oggi’ dei nostri giorni, nei quali il nostro ‘sì’ compie ‘ per così dire ‘ la parola che Dio ha pronunciato anche su di noi: ‘Tu sei sacerdote in eterno’. Una parola che ci fa suoi. Una parola che ci fa ‘altri Cristi’.
Amare il proprio sacerdozio è amare questa identità cristica, cristificata. Amare il dono del proprio sacerdozio è amare il rapporto con l’autore del dono, col Dio Amore che ci ha voluto ministri della sua salvezza.
È vero. Nella nostra vita sacerdotale siamo quotidianamente presi e coinvolti da tutta una serie di esigenze che la cura del popolo di Dio ci impone di considerare ed assolvere.
Certo, ringrazio il Signore per incontrare ogni giorno tanti esempi di presbiteri che si spendono per il servizio al popolo santo di Dio. Mi confronto spesso con gli eroismi quotidiani di chi mi fa dono della sua esperienza e mi edifica con il suo impegno pieno di fiducia in Dio e di entusiasmo profetico. Per questo, come Vescovo e come Padre, non posso far altro che rendere lode a Dio per l’abbondanza di questo dono che ‘ attraverso un’incessante preghiera al Padrone della messe ‘ imploro sempre più numeroso e generoso.
Tuttavia non dobbiamo negare che il nostro ministero rischia spesso di diventare una sorta di continua ‘gestione delle emergenze’, con il far fronte ad impegni di vario tipo, con il confronto costante su interrogativi e sfide che ci vengono incontro, spesso di non facile ed immediata soluzione.
Forse l’amore per il nostro sacerdozio è sovente insidiato dal rischio di fare continuamente esperienza della ‘distrazione’, quando da ogni parte veniamo richiesti e quasi fagocitati: nel raggio d’azione dei nostri apostolati l’assolvimento dei nostri doveri immediati, nella carità pastorale, diviene così ‘assorbimento’ della nostra persona, e nello stesso tempo ‘ come una forza centrifuga ‘ ci allontana verso la periferia del nostro sacerdozio.
A lungo andare, in questo continuo stato di ‘distrazione’, è necessario trovare un centro unitario, un polo di armonizzazione. E questa è la sfida: amare il nostro sacerdozio significherà cercare e ricercare, nello scorrere del tempo e nel susseguirsi delle attività, il rapporto con il Cristo Amore, ricentrare su di lui il nostro sacerdozio amandolo con rinnovato slancio, con sempre più forte meraviglia e gratitudine per l’immenso dono a noi elargito.
È la sfida di riscoprire proprio l’Amore di Dio come centro unificante del nostro essere, della nostra vita sacerdotale, per dimorare con gioia nella Trinità, nutrendoci della sua linfa vitale.
Ne siamo certi: la sintesi del nostro ministero si farà attorno all’amore. E in questo siamo altrettanto certi di non poter riuscire con le nostre sole forze: sarebbe solamente presunzione.
La sola possibilità per rimanere nell’amore di Dio, amando di restarvi per amare noi stessi come sacerdoti, è imparare a vivere l’atto di abbandono di Cristo nelle mani del Padre, consegnandogli e ricon-segnandogli ogni giorno la nostra vita.
L’unzione dello Spirito, implorata ed attuata nel giorno dell’ordinazione, sarà allora piena, totale. Anche le nostre difficoltà vengono così poste nel suo cuore, amante ma crocifisso. E la sua stessa vita diviene l’amoroso accompagnamento della nostra. Solo così il rinnovo delle promesse sacerdotali ‘ che faremo tra poco ‘ sarà il rinnovo di una risposta amorosa per questo dono che si nutre dell’amicizia costante con Cristo e si compie nella fiducia di abbandonarsi nelle sue mani.
E’ una domanda che l’intero popolo di Dio è chiamato a farsi. Perché il sacerdozio conferito ad alcuni dei suoi membri, è al servizio della santità di tutti.
Alcuni di noi sono sacerdoti ormai da molti anni ‘
Altri ‘ e penso in particolar ai primi cinque presbiteri diocesani da me ordinati nello scorso giugno ‘ lo sono da meno di un anno’
Nel nostro presbiterio abbiamo la gioia di avere don Saverio Lipari e don Giuseppe Uzzo che quest’anno celebrano il 60° di ordinazione; don Mariano Lo Coco, Mons. Giovanni Muratore e don Mariano Passamonte che celebrano il loro 50°; Mons. Raffaele Mangano, Mons. Giuseppe Oliveri e don Carmelo Torcivia che celebrano il loro 25°. Alcuni di loro sono presenti in mezzo a noi, questa mattina.
A tutti auguro in questa significativa occasione di celebrare con la vita la misericordia di Dio che li ha chiamati a questa missione.
A tutti, carissimi fratelli miei, è stato comunicato ‘ certo immeritatamente ‘ un dono di grazia che discende direttamente dal cuore di Dio.
Tuttavia vorrei che tutti noi, qui presenti, ritornassimo al giorno della nostra ordinazione. Vorrei che non fosse soltanto un esercizio di memoria, un ricordo nostalgico intonato al clima che respiriamo oggi. Vorrei fosse di più: un vero e proprio ‘memoriale’ del nostro sacerdozio, perché ciò che viene ricordato è reso vivo ed attuale dal nostro quotidiano impegno per la santità, dalla nostra disponibilità a vivere la nuova identità che sempre dono gratuito ‘ è stata configurata con la nostra ordinazione.
Perché amare il proprio sacerdozio? Perché il dono che ci è stato fatto, cari fratelli miei, non è un’aggiunta opzionale della nostra vita, un accessorio che ci siamo sentiti di assumere come impegno, una funzione che c’è stata data da svolgere. No! Esso è la nostra più profonda identità. Una identità nuova. Sempre innestata nella nostra umanità, sempre ‘impastata’ con al nostra umanità, ma nuova nella piena identificazione con Cristo, l’Unto del Padre, il Figlio dell’Uomo su cui riposa lo Spirito.
L’ ‘oggi’ del compimento, nel quale Gesù situa la sua missione, nella sinagoga di Nazareth, dopo aver proclamato la parola che a lui si riferisce nella profezia di Isaia, è ‘ in certo qual senso ‘ l’ ‘oggi’ dei nostri giorni, nei quali il nostro ‘sì’ compie ‘ per così dire ‘ la parola che Dio ha pronunciato anche su di noi: ‘Tu sei sacerdote in eterno’. Una parola che ci fa suoi. Una parola che ci fa ‘altri Cristi’.
Amare il proprio sacerdozio è amare questa identità cristica, cristificata. Amare il dono del proprio sacerdozio è amare il rapporto con l’autore del dono, col Dio Amore che ci ha voluto ministri della sua salvezza.
È vero. Nella nostra vita sacerdotale siamo quotidianamente presi e coinvolti da tutta una serie di esigenze che la cura del popolo di Dio ci impone di considerare ed assolvere.
Certo, ringrazio il Signore per incontrare ogni giorno tanti esempi di presbiteri che si spendono per il servizio al popolo santo di Dio. Mi confronto spesso con gli eroismi quotidiani di chi mi fa dono della sua esperienza e mi edifica con il suo impegno pieno di fiducia in Dio e di entusiasmo profetico. Per questo, come Vescovo e come Padre, non posso far altro che rendere lode a Dio per l’abbondanza di questo dono che ‘ attraverso un’incessante preghiera al Padrone della messe ‘ imploro sempre più numeroso e generoso.
Tuttavia non dobbiamo negare che il nostro ministero rischia spesso di diventare una sorta di continua ‘gestione delle emergenze’, con il far fronte ad impegni di vario tipo, con il confronto costante su interrogativi e sfide che ci vengono incontro, spesso di non facile ed immediata soluzione.
Forse l’amore per il nostro sacerdozio è sovente insidiato dal rischio di fare continuamente esperienza della ‘distrazione’, quando da ogni parte veniamo richiesti e quasi fagocitati: nel raggio d’azione dei nostri apostolati l’assolvimento dei nostri doveri immediati, nella carità pastorale, diviene così ‘assorbimento’ della nostra persona, e nello stesso tempo ‘ come una forza centrifuga ‘ ci allontana verso la periferia del nostro sacerdozio.
A lungo andare, in questo continuo stato di ‘distrazione’, è necessario trovare un centro unitario, un polo di armonizzazione. E questa è la sfida: amare il nostro sacerdozio significherà cercare e ricercare, nello scorrere del tempo e nel susseguirsi delle attività, il rapporto con il Cristo Amore, ricentrare su di lui il nostro sacerdozio amandolo con rinnovato slancio, con sempre più forte meraviglia e gratitudine per l’immenso dono a noi elargito.
È la sfida di riscoprire proprio l’Amore di Dio come centro unificante del nostro essere, della nostra vita sacerdotale, per dimorare con gioia nella Trinità, nutrendoci della sua linfa vitale.
Ne siamo certi: la sintesi del nostro ministero si farà attorno all’amore. E in questo siamo altrettanto certi di non poter riuscire con le nostre sole forze: sarebbe solamente presunzione.
La sola possibilità per rimanere nell’amore di Dio, amando di restarvi per amare noi stessi come sacerdoti, è imparare a vivere l’atto di abbandono di Cristo nelle mani del Padre, consegnandogli e ricon-segnandogli ogni giorno la nostra vita.
L’unzione dello Spirito, implorata ed attuata nel giorno dell’ordinazione, sarà allora piena, totale. Anche le nostre difficoltà vengono così poste nel suo cuore, amante ma crocifisso. E la sua stessa vita diviene l’amoroso accompagnamento della nostra. Solo così il rinnovo delle promesse sacerdotali ‘ che faremo tra poco ‘ sarà il rinnovo di una risposta amorosa per questo dono che si nutre dell’amicizia costante con Cristo e si compie nella fiducia di abbandonarsi nelle sue mani.
4. Il sacerdozio è poi un dono da condividere. Certamente tutti penseremo adesso a quanto lo condividiamo con i fratelli che ci sono stati affidati, nelle comunità e nei servizi che ci sono confidati. In fondo il dono del nostro sacerdozio non riguarda soltanto noi stessi, anzi è un ministero che ci è stato dato a servizio della comunità, della famiglia dei figli di Dio, la Chiesa.
Tutto questo è vero ma non deve farci dimenticare che abbiamo anche l’obbligo di condividere il dono del nostro sacerdozio tra di noi, fratelli nell’ordine sacro.
Il Concilio Vaticano II ed il Magistero di questi ultimi decadi hanno tanto insistito sulla dimensione comunionale della vita presbiterale, come pure sul ruolo fondamentale e fondante del presbiterio come realtà di comunione. La fraternità tra di noi ‘ infatti ‘ è principalmente sacramentale e soprannaturale, effettiva più che affettiva.
Sperimentiamo ogni giorno quanto sia complesso e difficile corrispondere a questo ideale. Esso è certamente un dono che ‘ non dimentichiamolo ‘ ci è stato elargito nel giorno dell’ordinazione, quando ‘ significativamente ‘ è stato espresso dall’imposizione delle mani di tutti i presbiteri presenti e dall’abbraccio di pace.
Ma le forme nelle quali la comunione può e deve diventare condivisione autentica dell’unico dono ricevuto, vanno attuate nell’impegno costante a vari livelli. Spesso ci domandiamo: come realizzare la comunione presbiterale? Come renderla più visibile?
Penso che non sia questione di grandi e complessi progetti, bensì di piccoli gesti concreti, come sentirsi telefonicamente in occasione di ricorrenze, condividere iniziative e vacanze, rendersi accoglienti e disponibili non soltanto nella collaborazione pastorale ma anche ‘ e soprattutto ‘ nel confronto reciproco, nell’ascolto paziente, nell’amicizia semplice e disinteressata, e financo nella correzione fraterna.
Penso a quanto sarebbe significativo che ai nostri incontri di clero si partecipasse non in una continua e spasmodica ricerca di iniziative di comunione di cui si attende proposta in modo ‘ direi ‘ istituzionale, ma con un retroterra già avviato di apertura, amicizia, fraternità, esperienze attuate.
E penso anche a quanto sarebbe luminoso ed efficace che soprattutto i giovani presbiteri potessero ricordarsi più spesso dei confratelli più anziani, di quelli ammalati, in nome della comune fraternità e per il generoso servizio nel quale essi si sono spesi per tanti anni.
Quanta speranza potrebbe seminare la comunione vissuta in questo modo! Una comunione fra noi fatta ad immagine e somiglianza della vita stessa di Dio, del Dio che non è solitudine, bensì Trinità di Persone, comunione e comunicazione d’Amore. Non semplice relazione. Non facile affinità. Di più: comunione e comunicazione d’Amore.
Per questo alla comunione presbiterale, nella quale si esprime la forza della condivisione del proprio sacerdozio, non può non essere impegno di costante crocifissione, attraversamento del mistero pasquale nel morire ogni giorno a se stessi per rinascere alla vita del proprio confratello, oltre gli antagonismi delle visioni terrene, oltre i pregiudizi che uccidono sin dentro al cuore, oltre gli egoismi e le chiusure che ci rendono poco credibili dinanzi al popolo di Dio.
Tutto questo è vero ma non deve farci dimenticare che abbiamo anche l’obbligo di condividere il dono del nostro sacerdozio tra di noi, fratelli nell’ordine sacro.
Il Concilio Vaticano II ed il Magistero di questi ultimi decadi hanno tanto insistito sulla dimensione comunionale della vita presbiterale, come pure sul ruolo fondamentale e fondante del presbiterio come realtà di comunione. La fraternità tra di noi ‘ infatti ‘ è principalmente sacramentale e soprannaturale, effettiva più che affettiva.
Sperimentiamo ogni giorno quanto sia complesso e difficile corrispondere a questo ideale. Esso è certamente un dono che ‘ non dimentichiamolo ‘ ci è stato elargito nel giorno dell’ordinazione, quando ‘ significativamente ‘ è stato espresso dall’imposizione delle mani di tutti i presbiteri presenti e dall’abbraccio di pace.
Ma le forme nelle quali la comunione può e deve diventare condivisione autentica dell’unico dono ricevuto, vanno attuate nell’impegno costante a vari livelli. Spesso ci domandiamo: come realizzare la comunione presbiterale? Come renderla più visibile?
Penso che non sia questione di grandi e complessi progetti, bensì di piccoli gesti concreti, come sentirsi telefonicamente in occasione di ricorrenze, condividere iniziative e vacanze, rendersi accoglienti e disponibili non soltanto nella collaborazione pastorale ma anche ‘ e soprattutto ‘ nel confronto reciproco, nell’ascolto paziente, nell’amicizia semplice e disinteressata, e financo nella correzione fraterna.
Penso a quanto sarebbe significativo che ai nostri incontri di clero si partecipasse non in una continua e spasmodica ricerca di iniziative di comunione di cui si attende proposta in modo ‘ direi ‘ istituzionale, ma con un retroterra già avviato di apertura, amicizia, fraternità, esperienze attuate.
E penso anche a quanto sarebbe luminoso ed efficace che soprattutto i giovani presbiteri potessero ricordarsi più spesso dei confratelli più anziani, di quelli ammalati, in nome della comune fraternità e per il generoso servizio nel quale essi si sono spesi per tanti anni.
Quanta speranza potrebbe seminare la comunione vissuta in questo modo! Una comunione fra noi fatta ad immagine e somiglianza della vita stessa di Dio, del Dio che non è solitudine, bensì Trinità di Persone, comunione e comunicazione d’Amore. Non semplice relazione. Non facile affinità. Di più: comunione e comunicazione d’Amore.
Per questo alla comunione presbiterale, nella quale si esprime la forza della condivisione del proprio sacerdozio, non può non essere impegno di costante crocifissione, attraversamento del mistero pasquale nel morire ogni giorno a se stessi per rinascere alla vita del proprio confratello, oltre gli antagonismi delle visioni terrene, oltre i pregiudizi che uccidono sin dentro al cuore, oltre gli egoismi e le chiusure che ci rendono poco credibili dinanzi al popolo di Dio.
5. Infine il dono del sacerdozio è un dono da testimoniare incessantemente nel servizio costante alla porzione di popolo di Dio che ci è stata affidata.
Nella sinagoga di Nazareth gli occhi dei presenti stanno fissi su Gesù. Essi hanno ascoltato la sua proclamazione della Scrittura e divengono testimoni del suo compimento nell’ ‘oggi’ della salvezza.
Anche il popolo che amiamo condurre ci osserva, cari fratelli miei! Percepisce in noi l’intensità di una chiamata e il mistero di una risposta. La nostra risposta. Avverte nel nostro spenderci per il bene della Chiesa, il compiersi di questo amore di Dio per gli uomini che ancora oggi si fa presente nei doni che immeritatamente vengono elargiti per mezzo nostro.
Vede il volto sollecito della Chiesa che fedele al mandato di cristo, si prende cura dei suoi figli.
Lo riconosciamo. Davanti a noi stessi, agli uomini, a Dio. La testimonianza nel servizio passa dalla nostra povertà, dalle nostre fragilità, dalle nostre inconsistenze. La generosità con la quale ci spendiamo nei vari uffici ricoperti è spesso intercettata dalla pesantezza della nostra umanità.
Penso agli scoraggiamenti che spesso tanti vengono a confidarmi come al cuore di un padre. Penso alle difficoltà di mezzi con le quali tanti si trovano ad operare in tessuti sociali degradati e complesse situazioni pastorali. Penso ancora alla fedeltà e alla perseveranza con le quali tanti continuano la missione loro affidata pur sperimentando ogni giorno come un senso di impotenza per quelle situazioni nelle quali il Vangelo non può dare la concretezza di soluzioni che la gente attende nelle difficoltà che la vita riserva ogni giorno.
In tutto questo, solo un servizio sacerdotale vissuto nell’intensità della preghiera e nella coerenza agli impegni assunti, può essere visibile testimonianza della gioia e della pace con cui abbiamo scelto di seguirlo e servirlo.
Per l’unzione da noi ricevuta siamo stati mandati ‘a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri’ (cf. Is 61, 1-2).
L’unzione si è fatta servizio e missione. Il sacro Crisma ha unto le nostre mani, e lo Spirito Santo ha reso la nostra operatività direttamente dipendente dal Dio che proclama la sua misericordia. Le nostre mani sono quelle di Dio. Le nostre parole fanno risuonare la sua Parola. Il nostro servizio è il chinarsi amoroso del Cristo che ‘ come ricorderemo questo pomeriggio nelle nostre comunità ‘ lava i piedi deponendo le sue vesti, donando la sua stessa vita.
Per questo il nostro servizio sacerdotale sarà testimoniato autenticamente ed efficacemente se continueremo a pensare e a vivere nei nostri giorni quell’atteggiamento di umiltà e di abbandono significativamente espresso, nel giorno della nostra ordinazione, dal gesto della prostrazione: proponiamoci di servire sempre il popolo di Dio ‘da prostrati’, nella consapevolezza che la grandezza di Dio si cala nella piccolezza del nostro amore, perché è proprio nella nostra debolezza che si manifesta tutta la sua potenza.
Nella sinagoga di Nazareth gli occhi dei presenti stanno fissi su Gesù. Essi hanno ascoltato la sua proclamazione della Scrittura e divengono testimoni del suo compimento nell’ ‘oggi’ della salvezza.
Anche il popolo che amiamo condurre ci osserva, cari fratelli miei! Percepisce in noi l’intensità di una chiamata e il mistero di una risposta. La nostra risposta. Avverte nel nostro spenderci per il bene della Chiesa, il compiersi di questo amore di Dio per gli uomini che ancora oggi si fa presente nei doni che immeritatamente vengono elargiti per mezzo nostro.
Vede il volto sollecito della Chiesa che fedele al mandato di cristo, si prende cura dei suoi figli.
Lo riconosciamo. Davanti a noi stessi, agli uomini, a Dio. La testimonianza nel servizio passa dalla nostra povertà, dalle nostre fragilità, dalle nostre inconsistenze. La generosità con la quale ci spendiamo nei vari uffici ricoperti è spesso intercettata dalla pesantezza della nostra umanità.
Penso agli scoraggiamenti che spesso tanti vengono a confidarmi come al cuore di un padre. Penso alle difficoltà di mezzi con le quali tanti si trovano ad operare in tessuti sociali degradati e complesse situazioni pastorali. Penso ancora alla fedeltà e alla perseveranza con le quali tanti continuano la missione loro affidata pur sperimentando ogni giorno come un senso di impotenza per quelle situazioni nelle quali il Vangelo non può dare la concretezza di soluzioni che la gente attende nelle difficoltà che la vita riserva ogni giorno.
In tutto questo, solo un servizio sacerdotale vissuto nell’intensità della preghiera e nella coerenza agli impegni assunti, può essere visibile testimonianza della gioia e della pace con cui abbiamo scelto di seguirlo e servirlo.
Per l’unzione da noi ricevuta siamo stati mandati ‘a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri’ (cf. Is 61, 1-2).
L’unzione si è fatta servizio e missione. Il sacro Crisma ha unto le nostre mani, e lo Spirito Santo ha reso la nostra operatività direttamente dipendente dal Dio che proclama la sua misericordia. Le nostre mani sono quelle di Dio. Le nostre parole fanno risuonare la sua Parola. Il nostro servizio è il chinarsi amoroso del Cristo che ‘ come ricorderemo questo pomeriggio nelle nostre comunità ‘ lava i piedi deponendo le sue vesti, donando la sua stessa vita.
Per questo il nostro servizio sacerdotale sarà testimoniato autenticamente ed efficacemente se continueremo a pensare e a vivere nei nostri giorni quell’atteggiamento di umiltà e di abbandono significativamente espresso, nel giorno della nostra ordinazione, dal gesto della prostrazione: proponiamoci di servire sempre il popolo di Dio ‘da prostrati’, nella consapevolezza che la grandezza di Dio si cala nella piccolezza del nostro amore, perché è proprio nella nostra debolezza che si manifesta tutta la sua potenza.
6. Ho cercato di fermare la nostra attenzione su alcune sollecitazioni che provengono dalla meditazione dei testi sacri e da quanto, in poco più di un anno del mio ministero episcopale in Palermo, ho potuto conoscere e constatare. Vi ringrazio tutti, cari fratelli miei, cari figli amatissimi! La vostra preziosa collaborazione mi commuove! La vostra generosità mi edifica! La vostra vicinanza la sento come familiarità affettuosa!
A voi, che mi avete dato grande esempio, ho voluto parlare oggi col cuore di chi è più avanti negli anni di sacerdozio, e di chi continua ad assaporarne la gioia e sperimentarne le difficoltà in mezzo al quotidiano impegno di servire il Signore e la Chiesa sua sposa.
Affido alla vostra personale meditazione queste tracce, perché in questo Santo Triduo vi sentiate accompagnati dal vostro Pastore, custoditi e amati dal vostro Padre, e perché a voi e a tutti sia data la gioia di celebrare, nel cammino del popolo santo di Dio, il mistero della nostra salvezza che si è reso incredibilmente manifesto nel mattino della Risurrezione.
Cari fedeli, anche a voi chiedo di accompagnare con la vostra vicinanza il ministero dei presbiteri chiamati a guidarvi. Quando nella quotidianità delle vostre azioni voi vivete coerentemente gli impegni del vostro Battesimo ci aiutate a vivere più identificati al nostro sacerdozio ministeriale. Non fateci mancare mai la vostra preghiera ed il vostro sostegno.
A voi, che mi avete dato grande esempio, ho voluto parlare oggi col cuore di chi è più avanti negli anni di sacerdozio, e di chi continua ad assaporarne la gioia e sperimentarne le difficoltà in mezzo al quotidiano impegno di servire il Signore e la Chiesa sua sposa.
Affido alla vostra personale meditazione queste tracce, perché in questo Santo Triduo vi sentiate accompagnati dal vostro Pastore, custoditi e amati dal vostro Padre, e perché a voi e a tutti sia data la gioia di celebrare, nel cammino del popolo santo di Dio, il mistero della nostra salvezza che si è reso incredibilmente manifesto nel mattino della Risurrezione.
Cari fedeli, anche a voi chiedo di accompagnare con la vostra vicinanza il ministero dei presbiteri chiamati a guidarvi. Quando nella quotidianità delle vostre azioni voi vivete coerentemente gli impegni del vostro Battesimo ci aiutate a vivere più identificati al nostro sacerdozio ministeriale. Non fateci mancare mai la vostra preghiera ed il vostro sostegno.