In occasione della Commissione Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana

Roma
23-09-2009

E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.

    Cari fratelli,

    1. Il mistero del Regno di Dio si rende manifesto nel brano evangelico che abbiamo ascoltato. Si tratta del racconto lucano dell’invio in missione dei Dodici da parte di Gesù. Quel piccolo gruppo di uomini che ‘ sin dall’inizio ‘ ha costituito con Cristo una nuova famiglia, viene pienamente associato alla sua missione.
    A loro viene affidata la predicazione, l’annuncio della Parola di salvezza. A loro vengono affidati pure i gesti di guarigione dal male spirituale e dal male fisico. Gesù, dunque, nell’inviarli agli uomini, li associa alle sue parole e alle sue opere, li associa alla dura lotta contro le potenze delle tenebre, sempre operanti nel cuore degli uomini.
    In tutto questo, il Signore sembra come voler dare compiutezza alla sequela che aveva loro chiesto sin dal principio. La generosità con la quale i Dodici hanno seguito e continueranno a seguire il Maestro deve ora diventare la generosità con la quale lo annunciano al mondo: questa è la sfida che Gesù pone loro innanzi. E confrontarsi con questa nuova dimensione servirà loro a ritrovare ogni giorno le motivazioni della sequela. Quelle più autentiche e profonde.

    2. Vengono inviati i Dodici. Vengono inviati in dodici.
    Ed è ancora un segno dell’estrema piccolezza con la quale il Regno cresce. Questi dodici uomini, gente umile della Galilea, devono essere uniti in piena ed operante comunione per essere come quel lievito che fa fermentare la pasta. Dovranno testimoniare che il Regno è come il granello di senape, il più piccolo tra tutti i semi che poi diviene il più grande fra gli alberi. Saranno come a perenne ricordo che la missione rimane ‘ in tutti i tempi e in tutti i luoghi ‘ troppo grande, sproporzionata.
    Un ricordo che è anche un monito alla Chiesa, corpo mistico di Cristo: il Regno di Dio si annuncia e si compie nel tratto essenziale della piccolezza, dell’inferiorità e della povertà.
    Per questo Gesù è chiaro e perentorio: Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche.
    È quell’essenzialità che ci invita a considerare esclusivamente il cuore della missione: il Vangelo del Regno. Nelle parole e nei gesti di coloro che vengono inviati questo è ciò che conta. Questo è ciò che deve emergere. Questo è ciò che deve sconvolgere positivamente la vita.
    Di cosa vive l’annuncio del Vangelo? In modo pieno e radicale, vive di Colui che viene annunciato: Cristo Gesù. La Persona che la Chiesa rende presente nella vita degli uomini di tutti i tempi è anche la forza della stessa missione. La missione della Chiesa vive del Cristo che si annuncia. Non può pensarsi se non in questa radicale compagnia.
    Ecco perché l’invito di Gesù è quello a ritrovare un’essenzialità che dice centralità di Dio e della sua azione nel cuore degli uomini.

    3. Nella lettura vetero-testamentaria abbiamo ascoltato la voce del sacerdote Esdra, che innalza a Dio un’accorata preghiera di perdono per le numerose colpe commesse dal popolo d’Israele, deportato in Babilonia. Esdra comprende bene che l’esilio che segna in modo indelebile la vicenda del popolo eletto è collegato alla sua infedeltà, ma intravede lo spiraglio dell’azione misericordiosa di Dio: Ma ora, per un po’ di tempo, il Signore, nostro Dio, ci ha fatto una grazia: di lasciarci un resto e darci un asilo nel suo luogo santo, e così il nostro Dio ha fatto brillare i nostri occhi e ci ha dato un po’ di sollievo nella nostra schiavitù.
    Sappiamo che il sacerdote Esdra sarà guida religiosa della ricostruzione post-esilica del Tempio di Gerusalemme. Quel ‘resto’ del popolo, ritornato in patria, ritroverà la forza per riedificare la Dimora di Dio, il luogo dell’incontro fra Israele e Jahwé.
    Il ‘resto’ che ritornerà nella terra promessa ai padri, vedrà la sua piccolezza come potenziata e rivitalizzata dall’azione di Dio che ‘ mediante le sue mediazioni di uomini e di eventi ‘ infonderà coraggio, mostrerà salvezza, elargirà misericordia: il Tempio sarà un’opera grande di Dio, del Dio che cerca la compagnia degli uomini e non fa mancare la sua assistenza anche nei momenti più difficili.
    E la gratitudine di Israele si farà canto di lode: Lodatelo, figli d’Israele, davanti alle nazioni, perché in mezzo ad esse egli vi ha disperso e qui vi ha fatto vedere la sua grandezza (Tob 13). La logica di Dio mostra la sua grandezza nella debolezza e nelle vicende povere della vita dell’uomo, in particolare nella precarietà di un popolo che sa però accogliere con gratitudine l’azione misericordiosa di Dio, che non lo abbandona, e continua a riversare su di lui l’abbondanza della sua grazia.

4. Spesso, presi da mille incombenze e da mille preoccupazioni, anche autenticamente ecclesiali, ci dimentichiamo che è Dio che conduce la storia, la storia dell’umanità, ma anche la nostra storia personale e comunitaria. Ci dimentichiamo che siamo strumenti nelle sue mani, fragili vasi di creta che contengono un tesoro enorme. Nel mistero di questa scelta è contenuto anche il mistero della nostra scelta. Siamo stati scelti, come i Dodici, senza merito, senza un perché reale. Da loro dovremmo prendere esempio di umile e povero affidamento. Siamo chiamati a riedificare ogni giorno opere ben più grandi del Tempio. Ma mai da soli.
    Potremmo essere tentati di pensare alle facili ed immediate soluzioni. O alle più complicate geometrie pastorali. Troveremo sempre che la messe è molta, troppa. La missione è sconfinata. Terribilmente scoraggiante finché confidiamo sulle nostre forze e sui nostri strumenti, sul nostro ‘bastone’, sul nostro ‘pane’, sul nostro ‘denaro’.
    Finiamo allora schiacciati dal peso delle responsabilità, dal timore dell’incapacità e dal nostro limite. E rischiamo di dimenticare la centralità del Cristo da annunciare, ben più forte dell’annuncio da compiere.
    Dobbiamo davvero domandarci se viviamo un autentico senso di abbandono alla Provvidenza divina. Se Cristo sia per noi così reale da fidarci del fatto che in qualsiasi circostanza non ci farà mancare quello che è indispensabile per la nostra vita e per il nostro ministero. Potremmo accorgerci di quanto siamo attaccati alle nostre piccole cose, alle nostre piccole abitudini, determinati spesso da un nostro comodo piuttosto che da una cordiale adesione al progetto di Dio sulla nostra vita e sulla vita del gregge che ci è confidato.

    5. Venerati Confratelli, chiediamo oggi al Signore che ci doni questa tensione al bene, che non ci permetta mai di adagiarci sulle nostre piccole ‘conquiste’, ma che ci sproni a cercarlo in ogni circostanza. Se questo rinnovamento comincia da noi, verrà attraverso di noi trasmesso al nostro clero per primo e poi a tutti i fedeli, iniziando così quella trasformazione della società che comincia dal cambiamento del cuore di ogni persona, per un mondo più solidale e più in pace, quella pace duratura che niente e nessuno può togliere.
    Come ha detto il Santo Padre nell’omelia per le Ordinazioni Episcopali del 12 settembre scorso e citata dal Card. Presidente all’inizio dei lavori, lasciamoci guidare dalla grande finestra che Cristo ci ha aperto sull’intera verità, guardiamo il mondo e gli uomini e riconosciamo così che cosa conta veramente nella vita. Sapremo così affrontare le sfide, le provocazioni, le occasioni che il mondo contemporaneo ci sottopone secondo il cuore di Dio.