1. È per me motivo di immensa gioia l’aver accolto l’invito del Generale Capolupo e ritrovarmi con tutto il Corpo della Guardia di Finanza per la celebrazione dell’Eucaristia nella festa di San Matteo Apostolo, vostro Patrono.
Si tratta di un’occasione che ci fa sentire tutti visibilmente più uniti, nella comune fede professata e negli sforzi protesi ad accostare l’uomo del nostro tempo cercando di garantirgli bene e giustizia, dando tutti e ciascuno il nostro contributo.
2. La Parola di Dio che la Chiesa ci propone in questo giorno, ci offre davvero tanti validi spunti per meglio ‘sintonizzarci’ ‘ per così dire ‘ sul compimento pieno della sua volontà.
La pagina evangelica narra di un evento decisivo vissuto dal vostro santo Patrono: ‘Gesù passando vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: ‘Seguimi’. Ed egli si alzò e lo seguì’. Il Signore Gesù incontra Matteo nel bel mezzo della sua attività di riscossione delle tasse. È un incontro assolutamente imprevisto, per nulla programmato. Eppure in questo incontro Gesù rivolge a San Matteo una proposta ben precisa: ‘Seguimi‘. Lo fa diventare uno dei suoi discepoli, e poi uno dei suoi apostoli. Gesù aggrega a sé, fra i suoi più fidati collaboratori ed amici, un peccatore pubblico: così erano considerati i pubblicani, che riscuotevano le tasse per conto dell’Impero Romano e per questo avevano la fama di traditori.
Il ‘Seguimi‘ rivolto a Matteo esprime una chiamata ad un particolare rapporto di amicizia e confidenza con il Signore, una proposta che Gesù fa ad ogni uomo. Si tratta della prima e più fondamentale vocazione: quella universale alla santità, a cui tutti siamo chiamati. E come Matteo accoglie con prontezza ed entusiasmo quella chiamata a cambiare vita e a seguire il Signore, alla stessa maniera dovremmo essere tutti più determinati nell’accogliere la stessa proposta che Dio fa a noi. Egli ha un progetto di bene sulla nostra vita, e solo accogliendo la sfida della santità potremo realizzarlo e così realizzarci come uomini veri.
3. Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, l’apostolo Paolo si rivolge così ai suoi: ‘Vi esorto a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto‘.
Comportarsi in maniera degna della vocazione ricevuta. La chiamata alla santità, ricevuta come vocazione in quel ‘Seguimi’ che ogni giorno il Signore ci rivolge, ha bisogno di attuarsi coerentemente in un comportamento ben preciso. Siamo gli unici capaci di realizzare il progetto di bene che Dio ha pensato per l’uomo e lo possiamo fare con il nostro comportamento e con la nostra fedeltà, specie nei compiti che ci vengono affidati, nella missione che è propria a ciascuno di noi.
Non basta dirsi uomini e donne di fede. Essa richiede che la vita si veda differente, luminosa, coerente con i Comandamenti di Dio, lontana da ogni forma di compromesso e dalla scelta volontaria del peccato.
Una vita nuova e ‘degna della vocazione ricevuta’, secondo quanto l’apostolo Paolo ci chiede, si esplicita in una varietà di contributi. A titolo diverso, infatti, tutti abbiamo ricevuto doni di grazia che ci distinguono in compiti specifici: ‘A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri [‘] allo scopo di edificare il corpo di Cristo‘. (cf. Ef 4, 11-13)
In tanti e in tanti modi si può edificare il Corpo di Cristo che è al Chiesa e il Regno di Dio in mezzo agli uomini! Ma solo facendo ognuno la nostra parte, nell’ambito a noi affidato, possiamo davvero creare condizioni migliori non solo per la nostra crescita personale e la nostra vita di santità, ma anche per il mondo in cui viviamo e nel quale siamo chiamati ad offrire un esempio leale, generoso e trasparente.
4. Comportarsi in maniera degna della vocazione ricevuta. In una sola parola: amare.
È quanto all’antico popolo di Israele ‘ come abbiamo ascoltato dalla prima lettura ‘ fu dato come primo comandamento: ‘Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze‘. Ed è quanto Gesù, interrogato da un dottore della legge, confermò ed ampliò. Addirittura unificando in un unico comandamento, il ‘primo e più grande’, l’amore a Dio e al prossimo: ‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza e il prossimo tuo come te stesso’ (cf. Mc 12, 29-31).
Il comandamento dell’amore è quel binario sicuro sul quale può camminare la nostra vocazione alla santità. Chi ama mostra così che qualcosa nella sua vita è cambiato, che quel ‘Seguimi‘ ha avuto delle conseguenze, non è rimasto una bella parola o un’appartenenza di fede anonima. Solo la strada dell’amore rende concreta e luminosa la fede che diciamo di professare.
L’amore ha poi tante sfumature. San Paolo ce le propone con chiarezza: umiltà, mansuetudine, pazienza, sopportazione reciproca, sforzo per mantenere l’unità anche nelle difficoltà, impegno per la pace, stima cordiale, coerenza con gli impegni presi. Sono tutte tonalità di una ‘ricetta’ con la quale possiamo anche noi, come Matteo seguire il Signore, e possiamo farlo non da soli ma insieme ai fratelli che Dio ci pone accanto, con cui condividiamo ogni giorno la vita e la missione.
Questa fraternità ‘ che come Corpo dovete anche voi sperimentare in modo particolare ‘ ci fa sentire uniti. Essa non ammette animosità e discordie, perché uno è il Padre e noi siamo tutti figli: ‘Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti‘ (Ef 4, 4-6).
5. Comportarsi in maniera degna della vocazione ricevuta. A ben guardare il termine originale che si ritrova è letteralmente ‘camminare’: Paolo esorta i suoi a ‘camminare’ nella vocazione ricevuta.
Carissimi! La vocazione alla santità non è un ideale ‘da vetrina’, ma un vero e proprio percorso di vita nell’amore. Essa è un cammino lungo quanto la vita stessa, con l’ovvia presenza di tutte quelle difficoltà connesse con le nostre fragilità e le nostre debolezze.
Tutti facciamo esperienza che questo ‘camminare’ coerente nell’amore risulta arduo ed impegnativo.
Da un lato perché vediamo le nostre inerzie personali: l’amore infatti ci fa uscire dai nostri egoismi, dal nostro orgoglio, dalle nostre visioni limitate e possessive’ fa morire insomma una parte di noi stessi. E questo costa!
Dall’altro ogni giorno vediamo che il male assume dimensioni sociali, si coalizza per raggiungere i suoi obiettivi, si rileva nella comunità civile, combattivo e capillarmente presente.
Dovremo abbandonare l’impresa? Dovremo scoraggiarci? No!
Ricordiamo come continua il racconto della chiamata di San Matteo narratoci nel brano evangelico di oggi’ Gesù mangia con i peccatori, e alle dirette critiche dei farisei risponde in modo lapidario: ‘Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori‘. I peccatori hanno il primo posto nell’azione di Gesù. Questo perché egli è venuto a rivelare il volto misericordioso del Padre, quel Padre che offre loro la possibilità della conversione, che crede nella capacità dell’uomo di migliorare, che scommette tutto sulla redenzione dell’umanità.
Per questo la misericordia di Dio continua ad accompagnare il nostro ‘camminare’ nella vocazione all’amore che abbiamo ricevuto e che intendiamo testimoniare a livello personale, come pure nell’ambito del delicato servizio che, a tutti i livelli, ci è stato affidato.
6. Carissimi! Sono certo che il corpo della Guardia di Finanza crede alla possibilità della redenzione dell’uomo! Accostando ogni giorno il dramma del male che si coalizza e che a livello sociale minaccia il compimento del bene comune e la diffusione della pace e della giustizia, voi dimostrate una fiducia nella possibilità che il mondo possa essere trasformato, che il Regno di Dio in mezzo agli uomini possa essere pazientemente costruito.
In ogni settore e a qualsiasi livello, il vostro impegno e la vostra creatività hanno dato frutti abbondanti e hanno permesso di conseguire risultati per i quali la nostra società esprime la sua gratitudine. Le vostre delicate missioni di vigilanza finanziaria ‘ dovremmo riconoscerlo sempre più ‘ cercano di promuovere e garantire la giustizia, il rispetto della legalità e l’ordine in un settore delicato in cui il tessuto sociale sembra oggi fortemente segnato.
Le vostre azioni, tuttavia, devono nascere da un cuore nobile che crede alla possibilità del cambiamento, e che ‘ in accordo a quanto afferma il vostro motto ‘Nec recisa recedit‘ ‘ non retrocede neppure in mezzo alle difficoltà e non si scoraggia per la vastità della missione che spesso può causare ferite e perdite, come pure apparenti fallimenti e mancato raggiungimento di obiettivi.
7. Carissimi fratelli e sorelle, certamente San Matteo è stato scelto come vostro Patrono per il fatto che prima della sua netta conversione egli ebbe a che fare con la riscossione dei tributi, con le finanze dello Stato Romano.
Ma permettetemi di evidenziare un collegamento più profondo.
In San Matteo, vostro Patrono, e nella sua chiamata da peccatore ad apostolo, si evidenzia la grande fiducia che Dio nutre nei confronti della possibilità di miglioramento dell’uomo e della società stessa: è la fiducia che Dio nutre nella possibilità che l’uomo possa comportarsi in maniera degna della vocazione alla santità che ha ricevuto.
In San Matteo la misericordia di Dio incontra il peccatore e lo invita a cambiare vita.
Sia così anche per voi.
Innanzitutto a livello personale, perché sempre più la vostra fede possa manifestarsi in un luminoso comportamento e in una coerenza di vita che rendano visibile la santità negli ambienti in cui vi trovate a doverla testimoniare.
E poi a livello sociale, perché la vostra azione possa essere non soltanto un’azione di giustizia, ma soprattutto ho un’azione che promuova il bene comune, che recuperi l’uomo a quella dignità della persona nella quale egli è stato creato e nella quale Dio vuole che viva nell’unica famiglia umana.
Ci accompagnano sentimenti di gratitudine e di riconoscenza nei confronti di quanti hanno già testimoniato questi alti valori. In modo particolare è doveroso ricordare oggi il Tenente Alessandro Romani, l’incursore della Folgore ucciso in Afghanistan lo scorso venerdì, durante un’operazione militare, mentre svolgeva fedelmente la sua delicata missione volta a costruire il futuro di quel Paese lontano. Ci stringiamo a quanti, stamattina, gli danno l’estremo saluto e in particolare alla sua famiglia, che ne soffre la perdita: il Signore possa consolare e pacificare i loro cuori ed accogliere il giovane nelle dimore eterne.
Imploriamo per noi dal Signore la coerenza della vita, la perseveranza nelle difficoltà, l’abbondanza dei suoi doni di misericordia per continuare, sulla scorta di nobili esempi, a compiere fedelmente il nostro dovere e ‘camminare’ sulla strada che egli ha da sempre, e con amore, pensato per noi.