0. Ancora una volta il Signore, servendosi della testimonianza di san Josemaria, ci riunisce insieme in questa Cattedrale facendoci vivere quella ‘festa di famiglia’ che, illuminata dalla Parola di Dio ed alimentata dall’Eucaristia, ci fa pregustare fin d’ora la Pasqua senza tempo e senza fine.
Come figli riuniti nel ricordo del ‘Padre’, voi toccate con mano, nella vostra esistenza personale e nel quotidiano della vita, la sfida sorprendente di una santità ad un tempo ordinaria e straordinaria, entro quell’orizzonte che la testimonianza di San Josemaria ha consegnato non soltanto all’Opus Dei ma a tutta la Chiesa.
Il mondo come luogo teologico della santità
1. Le prime pagine del libro della Genesi raccontano la creazione, e pongono nella creazione dell’uomo il culmine dell’attività di Dio traboccante d’amore.
Nei celebri mosaici della Cattedrale di Monreale, il Verbo di Dio che crea viene raffigurato nella sua forma di uomo, con le fattezze del viso evidentemente simili a quelle di Adamo. In tutti i riquadri raffiguranti le singole giornate della creazione egli è elegantemente vestito e calza dei sandali. Ma nella scena in cui Dio crea l’uomo, e gli spira la vita, il Signore è invece raffigurato senza sandali, scalzo.
Non sappiamo quale sia il senso, ma possiamo fare un’ipotesi. Il particolare potrebbe ricordare la richiesta che Dio fa a Mosè quando questi si avvicina al roveto ardente: ‘Togliti i sandali dai piedi perché il luogo sul quale stai è una terra santa‘ (Es 3,5). Ecco: il momento della creazione dell’uomo è per Dio molto importante, anzi è particolarmente sacro! Per questo Dio vi entra scalzo, rispettosamente e amorevolmente scalzo.
Di più! In Genesi Dio non soltanto mostra di sapere che il suo atto creativo sta raggiungendo nell’uomo il punto più alto, ma si dice anche soddisfatto e felice dell’uomo, di una creatura fatta a sua immagine e somiglianza.
Ora, all’uomo viene dato il comando di continuare l’azione di Dio Creatore vivendo e lavorando. Guardate, figli miei: all’inizio del racconto della storia della salvezza non si parla di preghiera, di riti religiosi, piuttosto della stessa vita normale, dello stesso lavoro quotidiano, delle stesse relazioni sociali e familiari. Tutto questo è occasione per stare vicini a Dio, per dare gloria a Dio.
Il progetto originario di Dio, di armonia e di bene nella vita ordinaria, ci interpella anche oggi: abbiamo bisogno di riscoprire ogni giorno, nelle cose che ci è dato da fare, il nostro essere figli di Dio, il nostro rapporto con il Padre buono che è disposto a ‘togliersi i sandali’ quando entra nella terra santa del nostro cuore, che continua a invitarci alla gioia di amarlo e di sentirci da lui amati, proprio lì dove ci ha voluti come creature, come figli suoi!
E’ quello che, in una celebre omelia, san Josemaría esorta a vivere:
“Non è forse vero che questo sguardo a ciò che abbiamo intorno vi conferma – con un’immagine viva e indimenticabile – che è la vita ordinaria il vero luogo della vostra esistenza cristiana? Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. È in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini.
Trasformare il lavoro in Amore
2. Si tratta pertanto, di lavorare con professionalità e con Amore: di trasformare il lavoro in Amore. Come? Facendo in modo che il lavoro sia servizio: mettersi al servizio del prossimo e di Dio comportandoci da figli. Ascoltate queste altre parole di un’omelia di san Josemaría:
“Non bisogna pertanto dimenticare che tutta la dignità del lavoro è fondata sull’Amore. Il grande privilegio dell’uomo è di poter amare, trascendendo così l’effimero e il transitorio. L’uomo può amare le altre creature, può dire un tu e un io pieni di significato. E può amare Dio, che ci apre le porte del Cielo, ci costituisce membri della sua famiglia, ci autorizza a dar del tu anche a Lui, a parlargli faccia a faccia.
L’uomo, pertanto, non deve limitarsi a fare delle cose, a costruire oggetti. Il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, è ordinato all’amore”. (È Gesù che passa, 48).
Il lavoro è santificato se diventa amore, ossia servizio: non basta (anche se è importante) che sia tecnicamente svolto bene. Il lavoro, che Dio aveva affidato al primo uomo quale luogo della gloria di Dio e della gioia dell’uomo, deve ridiventare il luogo dell’Amore.
Per questo, alla luce della Parola di oggi, è necessario riscoprire il fascino, la bellezza del mondo: questo mondo è bello e Dio ce lo ha affidato, un po’ come un padre affida le sue cose ai figli, e noi vogliamo ‘ sono parole del ‘Padre’ ‘ amarlo appassionatamente.
E proprio per questo nessuno di noi, di voi, figli miei, vuole chiudere gli occhi di fronte ai suoi molteplici e gravi problemi. Piuttosto ci sembra che questi dobbiamo cercare di risolverli dal di dentro, pensando che in questo mondo siamo stati posti a vivere e ad amare, pensando che il bene di questo mondo dipende da quanto bene c’è e ci sarà nel nostro cuore e nella nostra vita.
Infatti che cosa fa un operaio che lavora in fabbrica producendo oggetti se non contribuire al miglioramento del mondo? Una insegnante che col suo lavoro educa culturalmente i suoi alunni? Una madre di famiglia che governa ed amministra la casa (con la collaborazione dei figli e del marito) rendendo bella la vita alla sua famiglia? Un bancario che cerca di tenere bene la sua contabilità? Un promotore finanziario che aiuta i suoi clienti a fare investimenti intelligenti? Sono tutte persone che cercano di migliorare il mondo.
Lavoriamo nel mondo, ci diamo da fare per questo mondo partecipando al potere creatore di Dio. La creazione non si è conclusa: continua ‘ in un certo senso ‘ attraverso il lavoro dell’uomo! Lavoriamo da figli, non da impiegati che lavorano malvolentieri per un titolare dell’impresa (o dell’ufficio) malsopportato! Figli di Dio, come dice la pagina della Lettera ai Romani di san Paolo che abbiamo ascoltato: ‘Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio‘ (Rm 8,14).
Conoscere il mondo per amarlo
3. Il brano evangelico di Luca ci racconta la vocazione di Pietro. Gesù sembra dirgli in buona sostanza: ‘Ora, una volta che ti sei deciso ad ascoltare la Parola di Dio, diventerai pescatore di uomini. Fidati di me e ti farai carico con amore dei problemi dei tuoi fratelli‘.
Ma, per aiutare i fratelli nel mondo ‘ ossia tutte quelle persone che ci stanno accanto ‘ dobbiamo conoscere questo mondo. Per amare bisogna conoscere. Conoscere per migliorare il mondo dal di dentro.
Si richiede quindi a noi una grande apertura di mente e di cuore. Già l’anno scorso nella Messa che fu celebrata in questa Cattedrale in memoria di San Josemaría ci venivano ricordate alcune parole particolarmente significative del Fondatore dell’Opus Dei:
“Per te, che desideri formarti una mentalità cattolica, universale, trascrivo alcune caratteristiche:
– ampiezza di orizzonti, e un vigoroso approfondimento, in quello che c’è di perennemente vivo nell’ortodossia cattolica;
– anelito retto e sano – mai frivolezza – di rinnovare le dottrine tipiche del pensiero tradizionale, nella filosofia e nell’interpretazione della storia…;
– una premurosa attenzione agli orientamenti della scienza e del pensiero contemporanei;
– un atteggiamento positivo e aperto, di fronte all’odierna trasformazione delle strutture sociali e dei modi di vita.” (Solco n. 428).
La Chiesa infatti non è (e non lo è mai stata, sin dalle origini) un club: la Chiesa è cattolica, ossia universale.
Quanto è triste, certe volte, vedere cattolici (che si ritengono tali) che si chiudono in un mondo idealmente perfetto (“perfettino“, direi)!
Noi cattolici dobbiamo avere cuore e mente universale, aperta, e ben aperta sul mondo! Cerchiamo di riconoscere i ‘segni dei tempi’, ma direi meglio cerchiamo di riconoscere Gesù che, nel mondo, passa accanto a noi.
Ma chi è, e dov’è questo Gesù?
Gesù passa accanto a noi in questa storia e in questo mondo! Non in un ‘altrove’ né in un ‘magari’! In quell’amico/amica che ha una difficoltà nella sua relazione matrimoniale (e ha bisogno di affetto e di aiuto), in quella persona disoccupata (che non ha di che vivere), nell’immigrato (è Gesù che passa coperto di stracci), nei malati…
La realtà della nostra creaturalità e della nostra vocazione alla santità è che siamo per gli altri! Un figlio di Dio non può vivere isolandosi: necessariamente è chiamato a farsi carico ‘ per quello che gli è possibile! ‘ dei problemi e delle gioie degli altri.
Sconfiggete il fatalismo con coraggio
4. Nell’omelia del 3 ottobre scorso al Foro Italico Benedetto XVI ha detto:
“A voi, fedeli laici, ripeto: non abbiate timore di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana, soprattutto in quelle difficili! La fede vi dona la forza di Dio per essere sempre fiduciosi e coraggiosi, per andare avanti con nuova decisione, per prendere le iniziative necessarie a dare un volto sempre più bello alla vostra terra”.
E poi, nel pomeriggio in piazza Politeama ai giovani:
“Non abbiate paura di contrastare il male! Insieme, sarete come una foresta che cresce, forse silenziosa, ma capace di dare frutto, di portare vita e di rinnovare in modo profondo la vostra terra!” […]
Vi vedo qui presenti numerosi’ Giovani e meno giovani’ Da pastore di questa amata Chiesa di Palermo, faccio eco al Papa e vi dico con affetto energico di padre: mi aspetto dai voi fedeli laici un’attenzione particolare ai problemi sociali della città, ai poveri e agli emarginati.
Amare appassionatamente il mondo per voi oggi vuol dire questo. Mi aspetto da voi una coraggiosa testimonianza di fede fra i vostri amici, parenti e colleghi. Lì dove voi vivete, siete insostituibili!
So che spesso è difficile testimoniare, ma è vostro compito affascinante essere ‘Gesù che passa’ in mezzo agli altri, è vostro compito urgentissimo far vedere (con le vostre vite normali) ‘Gesù che passa’ per le strade di Palermo. Sconfiggete, con la Grazia di Dio, l’amaro fatalismo che sembra paralizzare la nostra città. Lo chiedo in modo particolare a voi laici che seguite la spiritualità laicale dell’Opus Dei. Siate coraggiosi!
San Josemaria, don Pino Puglisi e i nuovi sacerdoti
5. A conclusione, in questa memoria liturgica di San Josemaria, che amò tanto i sacerdoti, e che per essi spese le sue migliori energie trasmettendo con grande senso di paternità la propria esperienza sacerdotale, desidero parteciparvi la gioia che il prossimo sabato 9 luglio alle ore 10 in questa Cattedrale conferirò l’ordinazione sacerdotale ad 8 diaconi. sarà un momento di grazia particolare per la nostra Chiesa di Palermo e per questo vi invito tutti a pregare con affetto e costanza per questi prossimi sacerdoti: perché abbiano come esempio e fratello maggiore il nostro amatissimo Servo di Dio don Pino Puglisi.
La Chiesa tutta ha bisogno non solo di laici santi (qui tutti ne siamo consapevoli) ma anche di ministri di Dio innamorati del loro servizio sacerdotale. Li affidiamo per questo all’intercessione di san Josemaría e della beatissima Vergine Maria, Madre della Chiesa.