Festa di San’Agostino d’Ippona

Pavia, Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro
28-08-2011

    Desidero esprimere, innanzitutto, la mia gioia per trovarmi qui in mezzo a voi, circondato da questa affettuosa cordialità con la quale mi avete accolto questa sera.
    Dei sentimenti di questa porzione del popolo di Dio pellegrina in Pavia si è fatto interprete il vostro Vescovo, Mons. Giovanni Giudici, al quale mi lega una decennale amicizia che continua a corroborare la fraternità episcopale nella quale il Signore ci ha voluti inserire.
    Saluto e ringrazio anche P. Robert Prevost, Priore Generale dei Padri Agostiniani che, in questa Basilica, onorano la memoria e le spoglie mortali del Santo Vescovo di Ippona. In lui ringrazio tutto l’Ordine per quanto, ancora oggi, continua a svolgere, nei vari ambiti, al servizio della Chiesa.
    Per la squisita presenza che certamente arricchisce la nostra celebrazione, mi è gradito anche porgere un cordiale e deferente saluto alle gentili e distinte Autorità civili e militari qui convenute. In particolare saluto il Sindaco di questa Città di Pavia, il Dott. Alessandro Cattaneo, il Signor Prefetto Vicario, Sua Eccellenza il Dott. Rinaldo Argentieri, la Vicepresidente della Provincia, Dott.ssa Milena D’Imperio.
    Tutti abbraccio in questa variegata assemblea, ma, soprattutto, permettetemi di ricordare quanti, per vari motivi, soffrono il disagio della solitudine, della vecchiaia e della malattia, e non possono essere presenti qui con noi: la nostra preghiera giunga loro come balsamo, nella certezza che la comunione dei santi colma le distanze e corrobora le forze nel viaggio della vita.
Tutti ci ritroviamo insieme per lodare il Signore nella Festa di Sant’Agostino, Vescovo d’Ippona, Doctor Gratiae, le cui spoglie mortali, acquistate dal re dei Longobardi Liutprando per la Città di Pavia, riposano in questa Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, nella splendida Arca marmorea fatta costruire dai Padri Agostiniani a partire dal 1362.

0. A VENTICINQUE ANNI DALLA AUGUSTINUM HIPPONENSEM
    In occasione della Festa che stiamo vivendo, mi piace ricordare che esattamente venticinque anni fa, in occasione del XVI centenario della conversione, il Beato Giovanni Paolo II rivolgeva a tutta la Chiesa la Lettera Apostolica Augustinum Hipponensem, dedicata alla figura di Sant’Agostino.
    A venticinque anni di distanza dalla promulgazione di un documento che tratteggia la figura del Vescovo di Ippona in modo ampio e significativo, desidero riferirmi ad esso per portare alcuni spunti di riflessione ed attualizzazione della figura di Sant’Agostino.

1. AGOSTINO: IL ‘CONVERTITO’
    Giovanni Paolo II insiste molto sulla vicenda di conversione di Agostino. Afferma, infatti, di voler fare della sua rievocazione anzitutto ‘un ringraziamento a Dio per il dono fatto alla Chiesa, e per essa all’umanità intera, con quella mirabile conversione‘ (AH, Introduzione).
    Il santo Vescovo di Ippona era stato, infatti, anzitutto protagonista, insieme con Dio, dell’avventura di un personalissimo itinerario di cambiamento interiore, una conversione piena, una scelta fondamentale e decisiva per Cristo e per il suo Vangelo.
    Egli vive e trasmette un’esperienza di incontro con Cristo e con il suo Amore. Da lì parte tutto. Da questa radice si sviluppa tutto il resto, una intera esistenza che si dispiega come itinerario di santità. Ma la santità di Agostino è solo la meta, l’arrivo, di un percorso di vita che è cominciato ed è continuato con una conversione quotidiana.
    Proprio in visita qui a Pavia, nel 2007, il Santo Padre Benedetto XVI, che definirei intimo ed entusiasta ‘amico’ dell’Ipponense, sottolineava con parole forti che la conversione di sant’Agostino ‘non fu un evento di un unico momento, ma appunto un cammino‘. Un cammino di vita: ‘al fonte battesimale questo cammino non era ancora terminato [‘] fin nella sua ultima malattia, quando fece applicare alla parete i Salmi penitenziali per averli sempre davanti agli occhi; quando si autoescluse dal ricevere l’Eucaristia per ripercorrere, ancora una volta la via della penitenza e ricevere la salvezza dalla mani di Cristo come dono delle misericordie di Dio‘ (Benedetto XVI, Omelia nella S. Messa agli Orti dell’Almo Collegio Borromeo, 22 aprile 2007).
    Al culmine della ricerca esistenziale di Agostino, e dunque al fondamento della sua novità cristiana, sta quell’esperienza del ritrovamento di Dio nascosto nel suo io, ‘in interiore homine‘ un’esperienza di ritorno in se stesso che egli narra in modo unico e coinvolgente nelle Confessioni: ‘Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell’uomo che risiede la verità‘.
    E’ proprio dalle Confessioni, sua originalissima autobiografia spirituale, che il ‘convertito’ Agostino emerge con tutta la forza della fede di un convertito. Ecco l’esperienza personale di Papa Benedetto XVI: ‘Quando leggo gli scritti di sant’Agostino non ho l’impressione che sia un uomo morto più o meno milleseicento anni fa, ma lo sento come un uomo di oggi: un amico, un contemporaneo che parla a me, parla a noi con la sua fede fresca e attuale‘ (Benedetto XVI, Catechesi del 16/1/2008).
Carissimi! Credo che il percorso di conversione di Agostino interpelli credenti e non credenti. Infatti, da un lato, chi non crede è stimolato dalla sua vicenda a ricercare senza posa, a non aver paura di indagare le profondità del suo cuore per scorgervi il desiderio di Dio.     Dall’altro anche chi già crede non può dirsi definitivamente ‘arrivato’: la fede autentica vive veramente quando si continua a coltivare senza posa il desiderio di Dio, della Verità e dell’Amore.
    Come ai suoi tempi, e forse più che ai suoi tempi, anche oggi Agostino sembra consegnare la sua esperienza ad una società che, nel proclamarsi radicalmente a-religiosa, in fondo, non ha il coraggio di cercare Dio con onestà intellettuale e disponibilità di cuore. La sua esperienza può essere la chiara dimostrazione che quando si cerca la verità con animo sincero e atteggiamento leale, il Signore si fa sempre trovare, e cambia in meglio la nostra vita.
    Per Agostino fu doloroso e travagliato il cercare Dio. Ma fu anche un travaglio l’abbandonare la sua vita sregolata e peccaminosa. La ricerca libera e appassionata giunse però al compimento in un’autentica revisione di vita, in un nuovo orientamento della sua vita, un radicale cambiamento del suo pensare e del suo agire. Conoscere e incontrare Dio non è solo un generico assenso intellettuale, né un trasporto emotivo sentimentale: porta a cambiar vita, a far morire l’uomo vecchio con le sue passioni e a far vivere l’uomo nuovo in Cristo.
    Lo è stato per Agostino. Lo è anche per l’uomo di oggi. In fondo, egli è caratterizzato da una paura: che Dio tolga qualcosa alla sua vita, alla sua libera realizzazione, alla sua gioia e alla sua libertà. Per questo non ricerca più Dio. Per questo evita di porsi il problema. Per questo non ne parla, celebrandone in silenzio l’assenza.
    ‘Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto‘ (Sal 26,8). La vita ‘ non solo le parole! ‘ la stessa vita di Agostino ci insegna che la ricerca del volto di Dio e della sua amicizia può solo renderci più ricchi!
    Come lo sottolineava Benedetto XVI all’inizio del suo pontificato, il 24 aprile 2005! Il suo Predecessore, in quel memorabile 22 ottobre 1978, aveva affermato con voce calda e decisa: ‘Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!”. E Benedetto XVI, al termine dell’omelia della sua prima Santa Messa nell’inizio del suo ministero di Successore di Pietro, gli faceva esplicita eco: ‘Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla ‘ assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! Solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera‘.
    E per questo concludeva: ‘Non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo ‘ e troverete la vera vita‘.
    ‘Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza‘. Agostino è segno tangibile che questa ‘vita in abbondanza’ non è esperienza intellettuale, ma incontro esistenziale con una Persona, la Persona di Gesù che ci ama. Quanto è incoraggiante tutto questo! Quanta forza per il nostro cammino di fede, spesso stanco e sconfitto, zoppicante o viziato! Forza che viene dall’esperienza consegnata più che dalle parole dette!

2. AGOSTINO: L’INTELLIGENZA ALTISSIMA E PENETRANTE
    Nella stessa Augustinum Hipponensem, Giovanni Paolo II è poi attento a delineare i tratti di Agostino come Dottore della Chiesa.
    L’esperienza spirituale di Agostino, il suo cammino non può prescindere dalla penetrante intelligenza per mezzo della quale ricercò costantemente la verità fino a trovarla nel Dio di Gesù Cristo.
    La sua ricerca della verità fu tanto sincera quanto travagliata: con la sua acutezza, all’inizio delle Confessioni, esprimeva questa ricerca parlandone come un’attrazione interiore, un fine pacifico e sereno verso cui fare dolce naufragio: ‘Ci hai fatti per te e inquieto è il nostro cuore, finché non riposa in te‘ (I, 1, 1).
    Al suo spirito finemente critico, in un primo tempo riusciva impossibile concepire l’armonia fra fede e ragione. Solo nella progressione interiore della sua intelligente ricerca e del suo percorso di fede, il dissidio si sarebbe risolto in una mirabile sintesi espressa nelle due formule (Sermones, 43, 9): da una parte, crede ut intelligas (‘credi per comprendere’) ‘ perché credere apre l’accesso alla pienezza della verità a cui il cuore aspira ‘ e dall’altra anche, e inseparabilmente, intellige ut credas (‘comprendi per credere’), ossia esamina la verità, immergiti in essa con sincerità di cuore per poter trovare Dio e abbracciarlo pienamente nella fede.
    ‘Credi per comprendere‘ ‘ ‘Comprendi per credere‘. In Agostino fede e ragione sono inseparabilmente congiunte in un paradigma che dice l’unica Verità da amare e l’unico Amore da percepire e comprendere.
    La sintesi di Agostino può ancora dire qualcosa a noi, oggi? Al progresso umano e alla ricerca scientifica contemporanea dice che non si può fare a meno della prospettiva di Dio, relegandolo ai margini di personali convinzioni. Una onesta ricerca della verità non può eliminare l’orizzonte di Dio.
    E dovrebbe pure illuminare e fortificare certo modo di intendere la fede come fatto privatistico, senza alcuna ripercussione sulla verità dell’uomo, della società, della realtà del vivere. La fede non può essere vissuta soltanto come convinzione o devozione. Non basta! E’ ancora fede ‘bambina’. Il mondo contemporaneo, con le sue sfide e le sue contraddizioni, le richiede di maturare sposandosi con quella sana ‘razionalità’ che le possa consentire di meglio leggere dentro la realtà, di intus-legere, appunto, e di cercare ovunque la verità e il bene. Una fede incarnata nello spazio e nel tempo, non sognante né astratta, ma ancorata alla vita!
    roprio quella che instancabilmente ci propone il Papa. Mi piace ricordare come a Palermo, nella sua recente Visita Pastorale dell’ottobre scorso, il Santo Padre ha usato parole forti: ‘Non abbiate timore di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana, soprattutto in quelle difficili! La fede vi dona la forza di Dio per essere sempre fiduciosi e coraggiosi, per andare avanti con nuova decisione, per prendere le iniziative necessarie a dare un volto sempre più bello alla vostra terra. [‘] Chi è saldamente fondato sulla fede, chi ha piena fiducia in Dio e vive nella Chiesa, è capace di portare la forza dirompente del Vangelo‘ (Omelia S. Messa al Foro Italico).

3. AGOSTINO: LA ‘PREMURA PASTORALE INSTANCABILE’
    ‘Uomo di passione e di fede, di intelligenza altissima e di premura pastorale instancabile‘ (Benedetto XVI, Catechesi del 9/1/2008). L’espressione è di Benedetto XVI, e riconosce in Agostino la messa in pratica di quanto ‘ come abbiamo ascoltato nella seconda lettura ‘ l’Apostolo raccomandava a Timoteo: ‘Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento [‘] Vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi al tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi al tuo ministero‘.
    Sì! Agostino fu vescovo annunciatore della Parola di salvezza nei tempi difficili delle eresie e delle invasioni barbariche.
    Fu modello esemplare di omileta: la sua retorica, che lo aveva lanciato nella carriera della docenza, fu messa al servizio del popolo santo di Dio. Accettando a malincuore l’ordinazione sacerdotale prima, ed episcopale poi, si piegò dolcemente e docilmente a divenire strumento di annuncio fecondo.
    E annunciò il Vangelo non ai grandi e ai potenti, ma al popolo semplice, alla gente da istruire e guidare, a uomini e donne che attendevano di essere da lui sfamati di Dio.
    Lo fa perché ha assunto i tratti del Pastore, del Buon Pastore. ‘Il buon pastore dà la vita per le pecore‘. Agostino non diede la sua vita con il martirio cruento, ma con la donazione costante e quotidiana di tutto se stesso: nella cura dei poveri e dei sofferenti, nello zelo per la costituzione dei monasteri, nell’interesse per il clero, per la sua formazione e la sua vita comune. Mai si sottrasse alle sue responsabilità, nemmeno sotto il pericolo dei barbari.
    In sintesi annunciò e visse il binomio inscindibile della verità e della carità. Ma fu soprattutto esemplare come uomo di carità, carità incarnata nell’umanità del pastore. Attorno al suo esempio di carità ‘ l’unico che ancora oggi può concretamente edificare la Chiesa ‘ si stringe la comunità della sua chiesa di Ippona, quella dei suoi sacerdoti, dei monaci, della gente semplice. E rivive l’esperienza consegnataci negli Atti degli Apostoli: ‘Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere‘ (At 2,42). Davvero il pastore Agostino, che ama come il Buon Pastore, si impegna per l’unità, perché si formi ‘un solo gregge, un solo pastore‘ (cf. Gv 10,16).
    La sua penetrazione vivissima del mistero della Trinità, per la prima volta letto come ‘comunione e comunità di Amore’, si riversa ‘a cascata’ sulla comunità da guidare e far crescere, da condurre ed edificare: la Chiesa è mistero di unità, ma anche mistero di carità.
    La realizzazione di questa comunione, e di tutte le sfumature luminose che essa acquista, è opera dello Spirito Santo, lo Spirito d’Amore che ‘riversato nel cuore dell’uomo’ (cf. Rm 5,5) gli propone di amare Dio e i fratelli. Le membra del Corpo Mistico di Cristo ‘ la Chiesa ‘ si saldano con l’Amore che sgorga dalla promessa di Dio: ‘Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne‘ (Ez 36,26).
    Il pastore Agostino ancora oggi ripete alla nostra società individualista che solo nell’Amore di Dio, riversato nei nostri cuori, e donato ai fratelli in novità di relazione, sta il segreto della vera gioia e della pienezza dell’essere uomini e donne autentici.
    L’Amore va posto al centro delle nostre famiglie, delle nostre comunità parrocchiali, delle nostre relazioni civili, delle nostre azioni comuni e di solidarietà nei confronti dei poveri e degli emarginati. Agostino ci richiama all’Amore! Alla comunione autentica! Solo questa, pur tra le tante difficoltà delle nostre resistenza e dei personali egoismi, convincerà il mondo in quanto alla salvezza in Cristo!
    In che cos’altro saremo credibili se non in questo manifestare la sovrabbondanza dell’Amore di Dio? E come potrà giungere questa carezza divina ai fratelli se non attraverso il nostro modo di accostarli e farci carico dei loro bisogni?
    E’ sempre la Chiesa primitiva che ci insegna lo stile della condivisione: ‘Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogni di ciascuno‘ (At 2, 44-45).
    Questo stile di carità e condivisione, praticato dal Santo Vescovo di Ippona, possa farci auspicare una maggiore e fattiva unità di intenti e di prospettive che ‘ sia pure in ambiti diversi ‘ la Chiesa e le Istituzioni devono saper intrattenere per promuovere il bene comune che non è altro che il bene di tutti e di ciascuno dei cittadini.

4. CONCLUSIONE
    L’Arca che ci sta davanti venne costruita con l’intento di ricreare la ‘stanza’ degli ultimi giorni di vita di Agostino, quella di cui parla il suo biografo Possidio. In essa troviamo Agostino morente, che tiene in mano il libro della sua vita per rivederla totalmente. Egli è rivolto al Cristo Risorto, che gli sta davanti slanciato ed accogliente. Entriamo nell’Arca. Entriamo nella ‘stanza’. E nel nostro contemplare la distanza fra il Santo e il Signore, collochiamoci noi dentro questo spazio.
    Esso è lo spazio della possibilità che questo splendido incontro con Cristo Risorto sia anche per noi. E’ lo spazio che ci dice che la vicenda di Agostino non ci è estranea, lontana: può essere la vicenda di ciascuno di noi. Lo spazio diventa nostro, come suggestivo richiamo alla conversione e alla santità.
    E usciamo dall’Arca forti di un’esperienza autentica ma non unica’ Carichi della fatica di creare e ricreare ‘fuori di essa’, ‘fuori da questa Basilica’, ‘fuori dal culto’, lo spazio dell’incontro con il Risorto, uno spazio animato di fede che ‘ come fu per Agostino ‘ diventa lentamente ma efficacemente ‘quotidiano fecondato da Dio’.