Gesù non proviene da una tribù sacerdotale. Nei vangeli questo è chiaro; Egli è un rabbi e non viene mai detto “sacerdote”: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe?” (Gv 6, 42; cfr. Mt 13, 55). Ma cosa lo ha costituito sacerdote? La lettera agli Ebrei precisa che «il Signore nostro è germogliato da Giuda e di questa tribù Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. Ciò risulta ancor più evidente dal momento che, a somiglianza di Melchìsedek, sorge un altro sacerdote, che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile. Gli è resa infatti questa testimonianza:“Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchìsedek”» (7, 14-17). Egli è stato provato in tutto come tutti gli uomini, ha patito quello che patiscono gli uomini. Paolo si spinge fino a dire che «colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5, 21). Ma la sua è rimasta «una vita indefettibile» al cospetto di Dio e degli uomini.
Gesù è pontefice, sommo sacerdote, fonte dello scambio che ha reso Dio uomo e l’uomo Dio, non mediante una investitura rituale o per una appartenenza tribale, ma perché egli ha assunto e ha accostato la sua carne alla carne degli uomini, scendendo al Giordano peccatore tra peccatori e rendendo prossimo Dio lì dove è massima la distanza da Dio. Egli, come suggerisce ancora la lettera agli Ebrei, non ha avuto bisogno «ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso» (7, 27).
L’evangelista Luca, nella pagina odierna, per farci comprendere chi è Gesù, propone l’ermeneutica del Servo: un Servo è stato consacrato e inviato. Un Servo che racconta una lieta notizia ai poveri, ai prediletti di Dio, e pone gesti di liberazione e di consolazione. Un Servo che offre il culto della vita diventata sacrificio, dono, corpo spezzato per altri. Una vita che contemporaneamente è sacerdozio, altare e offerta. L’autore della Lettera agli Ebrei scrive: «Entrando nel mondo, Cristo dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10, 5-7). Non è stato investito un funzionario del tempio. È stato consacrato un Servo di Dio e della sua misericordia, che libera e guarisce, che dona la vista e slega dalle catene dell’oppressione e dell’iniquità.
La chiesa popolo sacerdotale e regale, fraternità misericordiosa
Gesù è un Servo che raduna e consacra con l’unzione dello Spirito un popolo sacerdotale e regale, capace di offrire a Dio la liturgia di una vita conforme alla volontà di Dio e di ‘bene-dire’ così l’esistenza degli uomini.
Gesù è venuto a raccoglierci dalla dispersione e dalla divisione, a liberarci dall’antico seduttore che semina la zizzania della confusione e della disgregazione, e a costituirci come santa convocazione, popolo dal tratto sacerdotale e regale che regna servendo e che offre il culto gradito a Dio promuovendo nella città degli uomini cammini di liberazione e di riconciliazione.
Gesù, nella Chiesa primitiva, è l’Unto di Dio, il Messia, che, come ci ricorda l’apostolo Paolo scrivendo a Tito, insegna «a vivere in questo mondo» (2, 12) con le sue parole e i suoi gesti, il suo stile di vita e il suo modo di stare tra gli uomini, come ‘incarnazione’ della magnanimità di Dio Padre e come segno della debolezza onnipotente dell’amore di Dio. Gesù è venuto a dirci che Dio ama gli uomini fino alla follia e alla stoltezza della Croce. Con la sua bella condotta ha indicato ai suoi discepoli – a quanti sono rimasti attratti dalla sua Parola e dal suo esempio – come vivere davanti a Dio e davanti agli uomini.
Il Crisma che oggi fluisce da questa santa Sinassi ci rende partecipi dell’unzione di Gesù Cristo, ci consacra popolo messianico e ci rende tra gli uomini un regno di servitori e un sacerdozio santo costituito per il nostro Dio e Padre, amante degli uomini fino alla consegna del suo Figlio sulla croce.
Oggi, uniti a Cristo e compaginati dallo Spirito, come popolo sacerdotale e regale, come liturghi e servitori di Dio, sua corona ed eredità, – liberati dalla patologia dell’egocentrismo concorrenziale, dagli steccati mentali e territoriali, dall’individualismo e dal ripiegamento autoreferenziale – siamo resi ‘fraternità misericordiosa’ che ha labbra per un lieto annuncio ai poveri e mani per rialzare i più deboli di «tutte le tribù della terra», della famiglia umana martoriata e ferita dalla violenza e dalla guerra; delle nostre città spesso segnate e oppresse da poteri mafiosi che generano dipendenze, arbitrio e lutti; e delle nostre famiglie spossate dalla persistente crisi economica.
Sì, in questa liturgia del Crisma, l’Olio che con rinnovata fragranza ungerà i nostri cuori e quanti nelle nostre comunità lo riceveranno per essere fortificati, guariti, consolati e consacrati, ci unirà e ci renderà ‘fraternità misericordiosa’. Chi conosce l’Unguento della misericordia di Dio in Cristo, viene rigenerato, consacrato, rafforzato, guarito, reso membro vivo dell’unico corpo del Signore Gesù, dell’Unto di Dio.
La Chiesa come ‘fraternità misericordiosa’ non è un’idea seppur sublime o un progetto umano ispirato da mere motivazioni religiose, o il risultato di strategie pastorali, ma, per la potenza dello Spirito-Amore, è puro dono accolto da quanti praticano la sequela del Signore. La ‘fraternità misericordiosa’ identifica la comunità cristiana quale unica modalità che le consente di dare ragione della speranza che la sostiene e la motiva nella storia verso il compimento del Regno, verso l’avvento dei cieli nuovi e della terra nuova. I discepoli di Gesù sono costituiti come stirpe profetica, sacerdotale e regale. Regnano insieme servendo il Signore come benedizione per tutti gli uomini e le donne nell’ardua via della vita.
Un presbiterio unito al servizio del popolo sacerdotale
Da qui, carissimi confratelli, prende corpo il significato e il valore del nostro presbiterato e del presbiterio, del collegio presbiterale. I presbiteri uniti in collegium, nel convergere insieme attorno al proprio vescovo, diventano fermento e lievito del sacerdozio battesimale e della comunione ecclesiale che riflette la comunione trinitaria e diviene «segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1). I ministri ordinati – vescovi, presbiteri e diaconi – «resi partecipi mediante l’imposizione delle mani del ministero di salvezza del Cristo» (Prefazio, Liturgia crismale) sommo sacerdote, conducono a Lui altri e li accompagnano a diventare membri del popolo profetico, sacerdotale e regale, pronti a vivere relazioni secondo la relazione che pone il Messia Servo.
Le promesse che noi rinnoviamo in questa «memoria annuale del giorno in cui Cristo Signore comunicò agli apostoli e a noi il suo sacerdozio» (Rinnovazione delle promesse sacerdotali, Liturgia crismale) ci diano un rinnovato slancio per far crescere e animare il popolo sacerdotale a noi affidato perché sia capace di offrire il culto gradito a Dio: nello stile del servizio fraterno che ha nella misericordia e nella sollecitudine per i poveri il tratto specifico e identificativo. Lo stile è sostanza e contenuto dell’annuncio dell’Evangelo. La Chiesa non può imitare «coloro che esercitano il potere sulle nazioni» (Lc 22, 25). Con il suo stile fraterno e la sollecitudine verso i deboli e i piccoli, essa esiste per condividere con tutti l’Evangelo.
Un popolo sacerdotale e regale a servizio della forza profetica e liberatrice dell’Evangelo
Come afferma papa Francesco, «Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità. Confessare un Padre che ama infinitamente ciascun essere umano implica scoprire che “con ciò stesso gli conferisce una dignità infinita”. Confessare che il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne umana significa che ogni persona umana è stata elevata al cuore stesso di Dio. Confessare che Gesù ha dato il suo sangue per noi ci impedisce di conservare il minimo dubbio circa l’amore senza limiti che nobilita ogni essere umano. La sua redenzione ha un significato sociale perché “Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini”. Confessare che lo Spirito Santo agisce in tutti implica riconoscere che Egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali: “Lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere e sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili”. L’evangelizzazione cerca di cooperare anche con tale azione liberatrice dello Spirito. Lo stesso mistero della Trinità ci ricorda che siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli. Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice. L’accettazione del primo annuncio, che invita a lasciarsi amare da Dio e ad amarlo con l’amore che Egli stesso ci comunica, provoca nella vita della persona e nelle sue azioni una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri» (Evangelii gaudium, 177-178).
Oggi il Crisma ci consacra come ‘fraternità misericordiosa’ e ci invia ad uscire verso le periferie esistenziali, a prenderci cura dei sofferenti, degli emarginati e dei carcerati; a sostenere e ad accompagnare le famiglie delle nostre comunità, specialmente quelle che hanno conosciuto la fragilità e la sconfitta della relazione; a rinnovare il nostro impegno per la legalità e la giustizia, a smascherare ogni forma di corruzione e a promuovere scelte politiche ed economiche attente alla dignità della persona e in particolare alle fasce sociali più deboli e vulnerabili; a promuovere la ricerca della pace e il rispetto del creato che è la casa comune della famiglia umana; a spenderci per il dialogo ecumenico e interreligioso.
Il Crisma ci consacra ad essere Chiesa che punta lo sguardo su Gesù: «Gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”» (Lc 4, 21). Una Chiesa che ‘sente’ all’opera nel mondo Colui che compie le promesse di Dio. Una Chiesa che prende le distanze dal “genere letterario” amato dai profeti di sventure, l’invettiva, il lamento e la condanna. Una Chiesa sentinella nella e della storia, che annuncia, nonostante il buio della notte, l’arrivo del mattino (cfr. Is 21, 11).
Una Chiesa eucaristica che accoglie la Parola e fa memoria della Pasqua del Signore di domenica in domenica in attesa della sua venuta definitiva. Una Chiesa povera e umile che ha la sua ricchezza nell’evangelo dei poveri, che si fa evangelizzare dai poveri e si sente inviata ai poveri, che condivide l’Evangelo con tutti specialmente con i più fragili perché sono la carne umiliata del Signore.
L’opzione preferenziale per i poveri, autentico segno messianico per il nostro tempo, è una opportunità e una urgenza per la nostra Chiesa locale, oggi convocata e chiamata ad avere comunione con il suo Signore e pertanto a ripercorrere le sue orme. Siamo chiamati ad incarnarci e a prendere dimora nella concreta realtà del nostro territorio con un annunzio coraggioso che difende, a partire e in nome dell’Evangelo, il diritto dei più deboli e poveri.
La nostra è la Chiesa che ha conosciuto il martirio di don Pino Puglisi. Come Chiesa palermitana siamo chiamati a tenere alta tale profetica – feriale! – testimonianza discepolare e presbiterale. Non solo non la dimenticheremo ma daremo ancora parola al suo martirio annunziando un Evangelo voce di chi non ha voce. L’evangelizzazione presuppone una lucida motivazione escatologica nutrita dalla fede in Cristo Gesù, Messia povero e dei poveri, il Crocifisso risorto, il Veniente, colui che ritornerà a riscattare definitivamente la storia degli uomini da ogni ingiustizia e sopraffazione e per inaugurare la nuova creazione. Essa non può essere disgiunta dalla ‘forma’ della condivisione, dal prendere parte alla sorte dei diseredati e degli afflitti. Chi segue Gesù, il Crocifisso risorto, percorre la sua stessa via, non conosce l’interesse personale ma assume l’altro nella sua concreta vicenda esistenziale.
È tempo di ripensare una pastorale dell’“oggi” del compimento messianico. Seguire in parole e opere il Signore Gesù, Messia povero e dei poveri, non è indifferente o marginale o moda teologica del momento bensì componente discriminante: riguarda l’identità della nostra Chiesa palermitana e della sua missione ad aiutare gli uomini a maturare in dimensione messianica la loro convivenza.
Gli occhi di tutti sono puntati su di noi discepoli di Gesù, come allora erano puntati su di lui. Gli uomini e le donne del nostro territorio diocesano aspettano di sentirci annunciare: «Oggi si è compiuta questa Parola che voi avete ascoltato». Siamo stati scelti e inviati per annunziare una Parola divenuta fatto, carne, evento! Il Signore continua ancora a consacrarci e ad inviarci!