Questa è una giornata di grande preghiera per coloro che hanno lasciato questa vita – specialmente i nostri parenti e amici – e che nella fede chiamiamo i nostri fratelli e sorelle defunti. Da sempre gli uomini hanno sentito il bisogno di far memoria di coloro gli sono stati predati dalla morte. Nel Libro del Siracide si legge: «Figlio, versa lacrime sul morto, e come uno che soffre profondamente inizia il lamento; poi seppelliscine il corpo secondo le sue volontà e non trascurare la sua tomba» (Sir 38,16).
Seppellire e pregare per i defunti significa crescere nella fede del Signore risorto e rafforzare la speranza che entrino nella vita nuova della risurrezione.
Far memoria dei morti è far memoria di una promessa di vita. È anche gratitudine per l’amore vissuto, nella consapevolezza che nulla di esso è perduto, ma che tutto è definitivamente salvato. Far memoria dei morti, nella fede, è far memoria che siamo fatti per avere vita in abbondanza e che siamo amati.
Questa giornata – il 2 novembre, memoria dei morti – è già in sé stessa un evangelo, una “buona notizia”. È annunzio che il desiderio di Dio e il suo progetto per l’uomo è la vita eterna, non la morte. Nel Vangelo odierno tutto questo viene messo in risalto. Dio entra in relazione con noi esseri umani non per “cacciare fuori” (v. 37), o per “perdere” (v. 39), ma per “risuscitare”, rialzare, ridare vita (vv. 39.40). Gesù che ci narra e ci mostra il volto di Dio, è stato inviato dal Padre ed è venuto nel mondo per “dare la vita”, e “ha donato la sua vita” (Gv 10,18) per dare a noi la vita. Il Nuovo Testamento ci attesta che Gesù è sceso nel sepolcro (cfr Mt 27,57-61), nel profondo della terra (cfr 1Pt 3,19) da dove ha trascinato, vittorioso sulla morte, con sé tutti i prigionieri degli inferi. Il primo uomo e dopo di lui ogni uomo è ogni donna sono strappati dal potere dagli inferi perché la morte non abbia più alcun potere su di lui. Amati e liberati: «Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).
Con Giobbe, oggi, anche noi a voce alta, nella santa assemblea gridiamo: «Il mio redentore è vivo» (Gb 19,25). Ed è per questo che lo preghiamo e chiediamo che i nostri fratelli e sorelle defunti entrino nel ‘per sempre’ promesso da Signore Gesù: «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,40). È per questo! Perché il nostro redentore è vivo! La nostra preghiera, oggi, come d’altronde sempre, è il segno della nostra fede in Gesù risorto.
Nell’Eucaristia, soprattutto, è presente il Signore Gesù risorto, vivo in mezzo a noi e, dunque, la nostra preghiera nell’Eucaristia ci fa crescere nella nostra fede in Cristo risorto. E proprio per questo, oggi giorno in cui ci ritroviamo per commemorare i nostri fratelli e le nostre sorelle defunte, è una giornata nella quale si rafforza la nostra speranza nella risurrezione, nel fatto che i nostri fratelli e sorelle defunti possano ereditare la vita eterna e con loro anche noi.
Così oggi noi pregando per lo loro rinsaldiamo anche la speranza che anche noi saremo partecipi della risurrezione di Gesù e risorgeremo anche noi in Lui, morto e risorto per noi. Anche la nostra vita, anche la vita dei nostri cari, anche la vita di tutti i defunti. Oggi rendiamo grazie a Dio perché siamo certi che la risurrezione è la promessa bella del Signore Gesù sulla nostra esistenza. Innalziamo anche noi le parole di Giobbe: «Io lo vedrò, io stesso, i mei occhi lo contempleranno».
Le facciamo nostre queste parole, pensandole per i nostri defunti, ma pensandole anche per noi. «Io lo vedrò, io stesso, i mei occhi lo contempleranno» (Gb 19,27), perché risorgerò, perché risorgeremo a una vita nuova della felicità eterna del paradiso. Oggi preghiamo con questa fede; e, mentre preghiamo, la nostra fede, la nostra speranza si rafforzano perché pregare significa avere questa speranza e pregare significa rafforzarci in questa speranza.
E, infine, questa grande preghiera è la nostra testimonianza, davanti al mondo, che crediamo in Cristo risorto, che «la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).
È la nostra testimonianza, davanti al mondo, che siamo e scegliamo di rimanere nella sequela del Signore, che rimaniamo nella sua via certi della speranza della risurrezione. Pregare per i morti è anche scelta e impegno per la vita, per portare avanti una cultura della vita, per custodirla sempre da quando esplode nel grembo di una madre a quando la consegniamo al sepolcro. Che noi ci impegniamo a custodire i corpi, a rispettarli. Il nostro è quello degli altri. In vita e in morte. Che noi rinneghiamo ogni forma di violenza predatoria che schiaccia ed elimina la vita. Noi rinneghiamo la pianificata della morte di ogni guerra e di ogni potere mafioso.
La preghiera di oggi, come sempre, in ogni giorno della nostra vita, sia anche dire al mondo la nostra fede e la nostra speranza: «Io lo vedrò, io stesso, i mei occhi lo contempleranno». Noi lo vedremo insieme ai nostri cari defunti, e lo contempleremo per sempre nella beatitudine del Paradiso, dei Cieli nuovi e della Terra nuova.