(di Irene Carmina / Repubblica) I poveri della missione “Speranza e Carità” di Palermo si preparano per il pranzo. Per loro, quello, non è un giorno come gli altri. Il pasto è, come sempre, frugale: caponata, un po’ di pasta, olive e formaggi. Ma l’emozione è tangibile. Tra i commensali, infatti, c’è papa Francesco, in visita a Palermo in occasione della beatificazione di padre Pino Puglisi. L’imbarazzo di un incontro così speciale è interrotto dalla voce del Papa: “L’arcivescovo Claudio Hummes, al momento dell’elezione, mi ha detto di non dimenticarmi dei poveri. E così è venuto il nome, nel mio cuore, Francesco, l’uomo della povertà e della pace”. È come se dicesse, non abbiate “timore di me, sono uno di voi”. Inizia così il documentario “Il pranzo di Francesco” di Pasquale Scimeca e Luca Capponi prodotto da Arbash con Rai Cinema e con il contributo della Sicilia Film commission, che sarà presentato fuori concorso al 39° Torino Film Festival (dal 26 novembre al 4 dicembre 2021).
L’impaccio iniziale dura poco. I poveri, i migranti, i carcerati che siedono al tavolo scherzano con il Papa, raccontano le loro storie, e Francesco li ascolta, risponde alle loro domande, “e in ogni risposta c’è il senso di tutto il pontificato di papa Francesco, quello di una chiesa povera per i poveri”, spiega il regista Pasquale Scimeca. Tra i commensali c’è Angelo, ex detenuto. “Chi sono io per giudicarti? Se il Signore mi avesse tolto la sua mano di dosso, avrei potuto essere io al tuo posto – dice il Papa – Ogni volta che entro in un istituto penitenziario mi domando perché loro e non io? Il carcere non dev’essere una punizione ma una rieducazione”.
C’ è anche François, ghanese arrivato in Sicilia su un barcone. “Ho conosciuto tante storie come la tua – gli ha detto Francesco – Non perdere la speranza e noi non dimentichiamoci di accogliere”. Il Papa dialoga con i commensali e intanto parla al mondo del suo punto di vista sulla Chiesa, “con i poveri e non per i poveri, una Chiesa che parla ai fratelli musulmani perché tra le religioni deve esserci continuità e non separazione affinché non ci siano più guerre e a ogni essere umano venga data pari dignità”. Il pranzo diventa, allora, l’occasione per puntare un riflettore sui temi sociali e, persino economici. Papa Francesco, mentre condivide il cibo con gli ospiti della Missione, traccia la strada da percorrere: “E’ tempo di osare. Bisogna favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità affinché gli esclusi, gli emarginati, siano protagonisti”. E sull’ambiente dice: “Non divoriamo la Terra, ma restituiamole dignità”.
Un’incursione a 360 gradi, quindi, che “ha una particolarità che la rende pressoché unica: quasi tutti i documentari sul Papa sono interviste, questa volta invece il Papa non affronta i grandi temi dell’esistenza in modo astratto, ma lo fa concretamente in relazione a persone che mangiano il suo stesso pane, ne ascolta le vite, dà consigli e provoca riflessioni – spiega l’autore del documentario – Si cala nel mondo. È uno di loro, uno del popolo, uno degli ultimi”. Il documentario diventa, quindi, un modo per entrare nella quotidianità del Papa, con quel salto perenne tra la chiacchiera in una sala mensa tra pochi intimi e il monito al mondo sul significato della fede. In questo scarto tra l’immensamente piccolo e l’immensamente grande sta tutta la forza del documentario di Capponi e Scimeca, che non nasconde la commozione dell’incontro col pontefice: “Un’esperienza toccante, Papa Francesco ha dimostrato con la sua umanità di essere l’unico vero laeder del mondo che parla con sincerità: in lui possiamo rimettere le nostre speranze”. Lo ha capito Scimeca dalla cabina di regia, lo hanno compreso gli ospiti della mensa, tutti visibilmente emozionati.
Non c’è distanza tra il Papa e i commensali. “Papa Francesco, l’autorità morale più importante della Terra ha deciso di condividere il cibo con gli ultimi e in questa condivisione non c’è uno scarto, ma c’è una continuità di vite e di racconti”, dice Scimeca. E quando al Papa cade il tovagliolo, non attende che qualcuno lo raccolga, ma si china e lo prende da solo. “Lo ha fatto come se fosse la cosa più normale di questo mondo”, spiega il regista. Nessuna formalità, sembrava un incontro tra vecchi amici. “È come se il Papa pranzasse con persone che conosce da una vita – racconta Scimeca – Non si può fingere la felicità e il Papa era veramente felice. Nei suoi occhi emozionati e gioiosi ho visto la sua verità: ciò che dice è ciò che pensa e ciò che vive ogni giorno nel suo pontificato”.
D’altronde, quando al Papa chiesero quale fosse il suo film preferito, lui ha risposto “Il pranzo di Babette”, perché attorno a un tavolo conviviale le persone si aprono e raccontano le loro vite”.