XXVII ANNIVERSARIO DELL’UCCISIONE DEL BEATO GIUSEPPE PUGLISI, SACERDOTE MARTIRE
15 settembre 2020 – Memoria della Beata Vergine Maria Addolorata
Mons. Corrado Lorefice
Chiesa Cattedrale – Palermo
Omelia
Quest’anno il ricordo del martirio di don Puglisi si lega all’evento dell’uccisione di don Roberto Malgesini, prete della Diocesi di Como testimone della predilezione di Dio per egli ultimi, accoltellato questa mattina da un senzatetto con problemi psichici.
È un nesso tragico ma carico di memoria e di riverberi evangelici.
Due preti uniti nello stesso giorno dalla sequela del Signore fino all’effusione del sangue.
Il prete: uomo di Dio, testimone dell’Evangelo dell’amore di Dio per tutti gli uomini che arriva «sempre tramite qualcuno»; amico di Dio, discepolo e servo di Gesù, del Servo di Dio e degli uomini; uomo disposto a spendersi per gli altri.
Il motto di don Puglisi, di chiara e fresca ispirazione evangelica, era: «Per Cristo a tempo pieno… Sì, ma verso dove… Dare la vita per i propri amici». I Santi, i martiri non sono degli eroi, ma uomini e donne che hanno preso sul serio le parole di Gesù: “perché nessuno vada perduto” (cfr Gv 3,16) e per questo sono capaci di “rimanere sul campo” uniti a Cristo che dà la vita per amore.
Questa è la vita cristiana: stare presso la croce e cioè dalla parte dell’amore sconfinato, praticare il comandamento dell’amore seguendo fino alla croce le tracce di Gesù, come Maria, la discepola e Madre, come il “discepolo amato”.
«Il discepolo di Cristo – son parole di don Pino ‒ è un testimone. La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio. Il passo è breve, anzi è proprio il martirio che dà valore alla testimonianza».
Il Beato don Pino e don Roberto risvegliano in noi la vocazione cristiana che amplifica e porta alle estreme conseguenze la chiamata della vita: ‘esserci-per-altri’, vivere non da ripiegati, ma da eretti, alzati, non schiavi schiacciati dall’io, ma figli liberi perché altri ci siano dati come fratelli e non come nemici e concorrenti, e perché diventino a loro volta tessitori di fraternità.
Il tempo della pandemia ce lo chiede, mentre rischiamo di essere risucchiati dall’individualismo, dal sospetto, e dalla logica dell’“ognuno pensi a sé; prima io e poi gli altri”.
Per questo la memoria del Beato don Puglisi non può essere un mero ricordo o una cortese espressione di rispetto e di simpatia: noi oggi lo ricordiamo facendo il memoriale della morte e della resurrezione del Signore Gesù. E nella Pasqua di Cristo noi facciamo anche il memoriale della donazione estrema e della fecondità ed attualità della testimonianza di amore di don Giuseppe e di don Roberto. Una donazione e una testimonianza che ci chiedono di rimanere anche noi sul campo, prossimi ai ‘vinti della storia’ ma che ereditano il Regno dei cieli. E lo faremo con il loro stile evangelicamente umano: la semplicità e l’umiltà del cuore e l’audacia di chi confida nel Signore e nella potenza del Vangelo.
Penso a quanti durante il lockdown silenziosamente sono rimasti in campo, distribuendo viveri necessari, o assoggettandosi a ritmi massacranti nelle corsie e nei reparti di rianimazione delle strutture ospedaliere. Abbiamo ritrovato un livello più autenticamente umano, visto alzarsi la qualità della vita; sono circolate di nuovo le più belle parole di cui è capace il cuore dell’uomo accompagnate da visioni luminose e da gesti di concreta bellezza.
È tempo di stare o di ritornare sul campo, sulle strade dei quartieri di Palermo o di Como, ovunque ci porta la vita, per creare prossimità, accoglienza, fosse solo il pianerottolo del proprio condominio o per una persona sola. Tessere vicinanza, far diventare la nostra vita un attracco di bene per altri. Questo è il «molto» che continua a chiederci don Pino Puglisi. Personalmente e alle nostre comunità cristiane. Possiamo fare molto!
L’Addolorata, come suggerisce S. Bernardo di Chiaravalle, è la «martire nello spirito». Sotto la croce insieme al discepolo amato e alle altre donne, partecipa all’ora di Cristo, con un martirio spirituale oltre che di ‘con-passione’ viscerale. Quelle viscere che avevano partorito il Figlio di Dio e che ora lo riconsegnano al Padre in favore di ogni uomo e di ogni donna. Sotto la croce si declinano soltanto due verbi: “consegnare” e “accogliere”. Sotto la croce ci si arriva solo con la passione dell’amore nel cuore. Sotto la croce si riparte per vivere la misura dell’amore secondo il Crocifisso risorto.
Questa è l’eredità dei santi e dei beati ‒ come don Puglisi ‒, e di tutti i santi del quotidiano ‒ come don Roberto – e della “santità laica” – quella che Cristo ha indicato nella pagina del giudizio universale (Mt 25), di tanti – anche non credenti – che hanno vissuto e vivono il vangelo dell’amore fraterno, della pace e della giustizia e per il bene e custodendo un cuore umano, bello, capace di emanare un amore creativo e concreto. Come non ricordare i tanti martiri della giustizia, della legalità e del bene comune di questa nostra Città!
La testimonianza dei martiri della fede e della giustizia deve continuare la sua corsa attraverso le nostre mani e i nostri piedi animati da un cuore abitato dall’amore, disposto sempre al martirio nello spirito. Mossi dall’amore per il Signore non ci stancheremo di porre i segni della carità a partire dai più piccoli e dai più deboli.
Contribuiamo anche noi a costruire la casa comune che è la Terra e le nostre città a misura di famiglia e di casa secondo il meraviglioso progetto di Dio amante degli uomini.
Don Pino e don Roberto risveglino in noi un cuore audace nel diffondere l’amore e il bene. Contagiamo solidarietà, accoglienza, prossimità, condivisione, interesse per il bene degli altri.
In questo tempo così difficile ‒ come ci hanno testimoniato tanti meravigliosi operatori sanitari o della sicurezza e comuni cittadini ‒ faremo anche fronte al diffondersi dell’epidemia da coronavirus. Contagiamo piuttosto amore in tutti gli ambienti in cui viviamo. Perché continui ad esplodere la bellezza della vita e la terra conosca un tempo di pace e di bene.