In occasione del 67° anniversario della Lacrimazione della Madonna a Siracusa, oggi, l’Arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice ha presieduto il Solenne Pontificale nel Santuario ed ha pronunciato la seguente Omelia:
Care Sorelle, Cari Fratelli,
sono felice di essere qui, stasera, a Siracusa, in questo luogo così significativo per la vostra Città e per la nostra terra. Vi saluto tutti con affetto, con amicizia sincera. Quel che vorrei fare con voi, in questa celebrazione, pellegrino come voi e con voi, è fissare brevemente lo sguardo sul mistero delle lacrime di Maria, sul loro senso per noi, oggi. Credo infatti che quel 29 agosto del 1953 abbia introdotto, in modo indelebile, una sfumatura nuova nel rapporto tra Maria e la Chiesa, tra Maria e l’umanità. Quelle lacrime inattese hanno ancora una volta ricordato agli uomini che il Cielo è sulla terra. Che con Gesù di Nazareth Dio ha scelto un corpo, una casa, una Madre: «E il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14). E il Verbo si fece carne, mostrandoci l’amore di Dio – ci ricorda Paolo – «quando ancora eravamo peccatori» (Rm 5, 6; cfr Gal 4,4), che è un modo di dire «mentre eravamo ancora infelici…». Le lacrime di Maria sono lacrime umane che sgorgano da quegli occhi che per primi hanno visto Dio fattosi uomo. Gli occhi che hanno donato a Gesù di Nazareth il primo sorriso, a Betlemme, e l’ultima lacrima, sul Golgota. Le lacrime di Maria ai piedi della Croce rimandano alle lacrime della mattina del 29 agosto del 1953. Perché è sempre una madre che piange.
Contempliamo in silenzio questo dono, questo pianto di amore e di dolore. In silenzio. E risentiamo le parole dello Stabat Mater: “Quis est homo, qui non fleret, Matrem Christi si vidéret in tanto supplício (Quale uomo non piangerebbe, se vedesse la Madre di Cristo in così grande tormento)?”. Lo Stabat canta l’inumidirsi dei nostri occhi per il dolore di Maria. Ma sarebbe fuorviante ridurre tutto a un passeggero moto del cuore. Il dolore che siamo chiamati a condividere, attraverso quelle lacrime, grazie alla partecipazione a quelle lacrime, è il dolore del mondo. A capirlo ci guidano i poeti: «D’un pianto solo mio non piango più», canta Ungaretti di fronte al dolore abissale del mondo piagato dalla male e dalla guerra (Mio fiume anche tu). Mentre il grande Turoldo assimila giustamente il dolore di Maria a quello di ogni madre: «Ritta, discosta appena dal legno, / stava la Madre assorta in silenzio, / pareva un’ombra vestita di nero, / neppure un gesto nel vento immobile. / Lo sguardo aveva perduto, lontano: / cosa vedevi dall’alta collina? / Forse una sola foresta di croci? / O anche tu non vedevi più nulla? / Madre, tu sei ogni donna che ama. / Madre, tu sei ogni madre che piange / un figlio ucciso, un figlio tradito: / madri a migliaia, voi madri in gramaglie! / E figli mai finiti di uccidere; / figli venduti e traditi a miriadi, / torturati appesi ai patiboli, / empi vessilli dell’empio potere» (Sotto il legno in silenzio).
Ecco, anche noi stasera chiediamo a Maria, come il suo Figlio chiese all’amica fedele nel giardino: «Donna, perché piangi?» (Gv 20.15). Tu, Maria, esperta nello stare accanto a chi soffre e a chi muore, tu esperta nel consolare, tu che sei stata donata a Giovanni e con lui a tutti noi… Noi stasera ti chiediamo: “accanto a quale figlio che muore tu ora stai piangendo”?
Papa Francesco ci ha aperto una strada nell’omelia pronunziata dopo l’arrivo del Reliquiario delle lacrime a Casa Santa Marta: «Hanno portato da Siracusa la reliquia delle lacrime della Madonna. Oggi sono lì, e preghiamo la Madonna perché dia a noi e anche all’umanità, che ne ha bisogno, il dono delle lacrime, che noi possiamo piangere: per i nostri peccati e per tante calamità che fanno soffrire il popolo di Dio e i figli di Dio» (25.5.2018). Ti invochiamo, Madre di Gesù nostro Fratello e Signore: “dacci di piangere con Te. Dacci di piangere su di noi, sulle nostre sorelle, sui nostri fratelli, su noi tutti segnati dall’inquietudine e dalla disperazione, dalla solitudine e dall’egoismo… Sull’umanità infelice che rende infelici i fratelli e le sorelle”. Facciamo ancora nostre le parole di Ungaretti (Mio fiume anche tu): «Vedo ora nella notte triste, imparo, / So che l’inferno s’apre sulla terra / Su misura di quanto / L’uomo si sottrae, folle, / Alla purezza della Tua passione. – Fa piaga nel Tuo cuore / La somma del dolore / Che va spargendo sulla terra l’uomo; / Il Tuo cuore è la sede appassionata / Dell’amore non vano».
Quanto dolore… Rachele grida il dolore dei figli uccisi e non vuole essere consolata (cfr Ger 31, 15; Mt 2,18). Maria piange come lei.
Piange sui suoi figli. Piange su quanti sono morti in questi mesi, a causa della pandemia, senza una lacrima, senza una parola di consolazione e di speranza.
Piange sui lutti gelidi, privi del corpo amato, quei lutti che lasciano una voragine nel cuore perché segnati dalla mancanza vitale delle lacrime ‘giuste’, piante davanti al corpo dell’altro, delle lacrime versate sul corpo caro che ci ha lasciato.
Piange su quanti hanno visto la loro vita devastata dal Covid, perché hanno perso il lavoro, perché hanno chiuso la loro attività, perché hanno smarrito la serenità economica e vivono gettati nell’incertezza e nella precarietà.
Piange sui giovani che vedono all’orizzonte l’approssimarsi di tempi difficili, che temono per il loro futuro.
E poi, vedete, stasera io sono in mezzo a voi e arrivo da Palermo. E qui, davanti a Maria piangente, non posso distrarre i miei occhi da quel Calvario, simbolo di ogni Calvario, che oggi si chiama Mare Mediterraneo. Un Calvario che li riassume tutti, che li assume tutti. Per questo, care Sorelle, cari Fratelli, noi non possiamo tacere! Non possiamo tacere mentre il demone del razzismo, dell’esclusione dell’altro, della politica intesa come arte della divisione e della separazione sembra prendere il sopravvento, mentre sentiamo forte il rischio che la pandemia non ci abbia insegnato nulla e che torniamo a pensare ad un mondo fratturato, tagliato in due, diviso tra gli umani e la madre Terra, tra i ricchi e i poveri, tra Nord e Sud, tra gli italiani e gli stranieri, tra i turisti e i migranti!
È su questa miopia, su questo progetto di distruzione dell’uomo che Maria piange oggi, che versa le sue lacrime di dolore: per tutti i corpi martoriati, per tutti i corpi respinti, per tutti i corpi violentati, torturati e uccisi nei campi di concentramento libici e in quelli di tutto il mondo, per tutte le vite stroncate dagli affari loschi, dal commercio delle armi, dallo sfruttamento indiscriminato dell’Africa e delle sue risorse, per tutte le leggi e tutti i regolamenti che soffocano l’uomo e tradiscono la nostra Costituzione, ispirata da donne e uomini fedeli al Vangelo. Maria piange come Rachele per tutti i figli annegati e mescola le sue lacrime al quelle del Mediterraneo, impotente e attonito di fronte ad un olocausto epocale, ad un eccidio di massa. È Maria piangente che stasera leva la sua voce e chiede a tutti i responsabili delle nazioni, a tutti i politici dell’Occidente, di ogni colore politico, di centro, di destra, di sinistra, non importa (a maggior ragione se si professano cristiani! Maria chiede a tutti: “e se queste donne, se questi bambini, se questi uomini annegati fossero tuoi figli, fossero vostri figli? Che cosa fareste? Come reagireste? Io – dice Maria – piango, verso lacrime di immenso dolore di fronte alla morte dei miei figli e alla vostra indifferenza”.
Qualcuno potrebbe dire: “ma allora la Chiesa fa politica?”. Sì, rispondo io. La Chiesa fa politica ma nel senso che la Chiesa è dalla parte della polis, della città che tutti riunisce nel suo abbraccio, della Città di Dio intravista dall’Apocalisse. È infatti dovere della Chiesa – lo abbiamo ascoltato – preparare e annunziare i cieli nuovi e la terra nuova (Ap 21,1-5) in cui avrà stabile dimora la giustizia, in cui ogni lacrima verrà asciugata. E guai a noi se restassimo inerti e ignavi dinanzi al dolore e all’ingiustizia.
Tocca alla Chiesa, tocca ai suoi pastori, tener desto e far penetrare costantemente nel governo della polis il pensiero dell’ultimo più ultimo che la abita. È l’ultimo, l’unico che può creare un futuro vivibile e uno sviluppo sostenibile. Sì, Sorelle e Fratelli miei, da questo punto di vista, possiamo dire che la Chiesa è ‘politica’ perché nel cuore della sua missione c’è la parola decisiva di ogni vera politica, che rovescia l’asse della storia: «Beati i poveri!» (Mt 5, 3; Lc 6,20). Per questo vuole che il futuro della Città degli uomini sia un futuro più umano. La Chiesa non ha e non può avere soluzioni ma ha certamente un assillo: che non si dimentichino gli ultimi nella divisone delle risorse. I cristiani sono chiamati nel mondo a tenere viva questa memoria. Ad essere cittadini, ad essere ‘politici’ così. Perché non si tratta di una malintesa spinta alla carità, non si tratta di farsi impietosire dai poveri, di essere ecologisti o di essere più o meno ‘buonisti’. Si tratta di giustizia e di sguardo al futuro. Si tratta del diritto che tutti i cittadini hanno a prendere parola su come si debba decidere del nostro futuro e di quello delle generazioni che verranno dopo di noi. Si tratta di decidere sul futuro della Terra, sul futuro dell’economia, sul futuro di quanti restano esclusi e azzoppati da un sistema iniquo, che scarta i deboli e mette fuori gioco coloro che fanno fatica a vivere.
In questo senso il pianto di Maria è il contrario di un pio atto di devozione individualistica. La corifea dei servi del Signore, che annunzia nel Magnificat come Dio abbatte i potenti dai troni e innalza i poveri, non piange alla maniera di un’anima ingenua, ma piange perché spera e crede con noi in un mondo migliore, in quanto crede e invoca con noi l’avvento definitivo del regno di Dio. Il nostro compito, il compito di tutti noi, il compito di chi ha una responsabilità nel mondo, nella Chiesa, è allora quello di non far mancare a Maria la consolazione rifiutata da Rachele. Coltiviamo, Sorelle e Fratelli miei, un pensiero evangelico che includa bambini e poveri, immigrati, disoccupati, fragili, ammalati, anziani. Ripetiamoci gli uni gli altri che nessuno può salvarsi da solo e che la forza di una catena si misura sull’anello più debole. Ed è dunque intelligenza, è cura della felicità e del futuro, pensare ai poveri, avere gli ultimi come misura.
Da questo Santuario che custodisce per il mondo intero il Reliquiario delle lacrime di Maria, mi rivolgo stasera a tutti i governanti: Non fate piangere Maria! Fate entrare le sue lacrime, le lacrime delle madri in ogni assise politica, in ogni parlamento, in ogni consiglio dei ministri, in ogni consiglio regionale, provinciale e comunale! Raccogliete e ascoltate le lacrime di Maria! Sono le lacrime delle madri di tutti i poveri del mondo. Se non capiamo che tutte le vite in difficoltà ci appartengono, abbiamo imboccato da disperati la deriva dell’infelicità. La storia, tristemente, di tutto ciò ci è maestra, anche – lo sappiamo – spesso inascoltata. Distruggere la vita debole è peccato, è passo che conduce alla distruzione di ogni vita, anche di quella che si illude di essere forte. Perché l’uomo ama la vita, e ne vuole tanta, ma fa fatica ad imparare che la vita si accresce nell’amore e con l’amore. L’amore solo fa crescere e genera vita. È la lettura del Papa, nel discorso tenuto nell’Udienza Generale del 4 gennaio del 2017: «Le Lacrime di Maria hanno generato speranza e nuova vita».
Eccoci qua stasera ai tuoi, piedi, Madre delle lacrime. Sentiamo che ci chiedi col tuo pianto gesti di giustizia, di riconciliazione, di pace. Tu, che ai piedi della croce sei diventata Madre non solo di Giovanni ma di tutti gli uomini. Tu, che sei diventata Madre della Chiesa e Madre dell’Umanità. Tu Madre, che hai pianto sotto il legno, ci insegni che solo il fremito delle viscere di una madre per suo figlio, solo questa com-passione radicale, solo questo con-soffrire con l’altro è la via della salvezza, l’antidoto alla possibile distruzione del nostro stare assieme, alle ferite delle nostre relazioni. La via che Tu ci indichi, Madre nostra, è quella di non dichiararci nemici, di non farci guerra, ma di ascoltarci gli uni gli altri, facendoci carico del dolore di ognuno, creando ponti tra tutti, sopportando ogni diversità fino alla fine. Solo così un giorno giungerà la salvezza, verrà il Regno. E Tu Madre Odigitria ne indichi la via. Perché il Regno sarà compiuto quando Caino starà sulle tue ginocchia insieme ad Abele. In quel giorno Caino sarà pentito e il sangue di Abele sarà riscattato, perché entrambi si saranno riconosciuti fratelli nel palpito comune del loro cuore, nella realtà della loro carne, grazie al tuo Figlio, nel quale tutti noi, grandi e piccoli, forti e deboli, ci riconosciamo fratelli.
E per preparare questo giorno Tu chiami anzitutto noi, chiami la tua Chiesa a convertirsi. È vero: nella nostra comunità ecclesiale esistono disparità e ferite intollerabili. Facciamo poca attenzione ai deboli, abbiamo ancora poco rispetto delle donne, ascoltiamo troppo poco i bambini (o perfino li feriamo), non sempre stiamo dalla parte degli ultimi e dei perdenti. So io per primo, come pastore della Chiesa, quanta fatica si faccia per operare secondo giustizia, per rimanere dentro la logica del Vangelo.
Per questo, Madre, fa’ che tra di noi tornino le lacrime: le lacrime di chi riconosce il proprio peccato contro il fratello e contro la Terra; le lacrime di chi condivide il dolore di ogni uomo e di ogni creatura; le lacrime di chi ti sta vicino e con te spera e prega il Padre affinché sia santificato il suo nome, perché venga il Regno, e sia fatta la sua volontà che tutti ci unisce. Con te preghiamo perché ogni giorno ogni uomo abbia il pane di cui ha bisogno, perché siano perdonati i nostri peccati e noi perdoniamo i nemici; perché non restiamo soli nelle tempeste della vita.
Grazie Madre delle tue lacrime! Le contempliamo e stasera ci sentiamo da te amati, scossi e custoditi. Amen.