Un’intervista esplosiva
La recente intervista rilasciata dal card. Camillo Ruini al «Corriere della Sera» ha suscitato un vespaio di polemiche, soprattutto in quello che si soleva denominare “mondo cattolico”. Ed era del resto prevedibile.
Anche se adesso ha ottantotto anni ed è oramai da tempo “emerito”, Ruini ha ricoperto per ben sedici anni la carica di presidente della CEI (Conferenza dei Vescovi Italiani), conferendo la sua impronta decisiva alla vita ecclesiale del nostro Paese e al rapporto dei cattolici con i governi della Seconda Repubblica.
La sua presa di posizione nei confronti degli attuali scenari sia religiosi che politici non poteva non attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e dividerla in favorevoli e contrari.
La Chiesa divisa
Tanto più che il momento in cui questa presa di posizione è stata espressa si presenta particolarmente delicato. Per quanto riguarda l’ambito ecclesiale, la preparazione e poi la celebrazione del Sinodo per l’Amazzonia hanno visto raggiungere i punti massimi la tensione che da tempo, all’interno della Chiesa, contrappone i sostenitori di papa Francesco e i suoi oppositori.
Una contrapposizione che si riverbera anche nella sfera politica, perché i primi sono in generale contrarissimi alla linea della Lega e del suo leader Salvini sul tema dei migranti, mentre i secondi spesso la condividono e la appoggiano anche in termini elettorali.
Un nuovo partito dei cattolici?
Proprio nella logica di una alternativa alla Lega e agli altri partiti della destra, si è sempre più di frequente ipotizzata la nascita di una nuova forza politica, non confessionale, ma più conforme alle prospettive valoriali della tradizione cattolica.
Recentemente questa ipotesi ha cominciato a prendere corpo in una formazione, il cui manifesto, firmato dal noto economista cattolico Stefano Zamagni, è stato pubblicato in questi giorni.
Difesa di Salvini
È in questo contesto che il card. Ruini ha voluto fa sentire la sua voce. E l’ha fatto, come sempre, senza perifrasi, anche se con la fine diplomazia che lo distingue.
Di fronte alle forti riserve di molti cattolici nei confronti di Salvini, ha assunto invece una posizione di apertura verso il leader leghista: «Non condivido l’immagine tutta negativa di Salvini che viene proposta in alcuni ambienti. Penso che abbia notevoli prospettive davanti a sé; e che però abbia bisogno di maturare sotto vari aspetti».
Addirittura, a proposito del suo disinvolto sbandieramento di rosari e altri simboli religiosi durante i comizi – da alcuni vescovi e da molti fedeli considerato una strumentalizzazione sacrilega –, l’ex presidente della CEI si è spinto fino a ipotizzare che esso possa essere «una reazione al politicamente corretto, e una maniera, pur poco felice, di affermare il ruolo della fede nello spazio pubblico».
Un richiamo generico
Quanto al tema dei migranti, Ruini si è limitato genericamente a osservare che «vale per Salvini, come per ciascuno di noi, la parola del Vangelo sull’amore del prossimo; senza per questo sottovalutare i problemi che oggi le migrazioni comportano».
Nessun cenno alle parole di disprezzo con cui abitualmente Salvini, contrapponendosi esplicitamente a papa Francesco, parla degli stranieri che bussano alla nostra porta e alla sua tesi, secondo cui il vangelo giustifica pienamente lo slogan «Prima gli italiani».
Non a caso l’intervista ha entusiasmato la Lega e i suoi alleati. Su «Libero», quotidiano vicino a queste forse politiche, campeggiava il titolo: «Salvini e il rosario: Ruini polverizza Bergoglio e sinistra». E lo stesso Salvini ha detto che le parole del cardinale lo hanno «colpito e commosso».
La liquidazione dell’ipotesi di un partito di cattolici
Per quel che riguarda la possibile nascita di un partito ispirato cristianamente, il cardinale ha tagliato corto: «Non è questo il tempo per dar vita a un partito dei cattolici. Mancano i presupposti: per il pluralismo molto accentuato all’interno della Chiesa stessa, e per la sua giusta ritrosia a coinvolgersi nella politica».
Critica al Sinodo
Quanto alle questioni ecclesiali, Ruini non ha nascosto il suo netto dissenso dalle richieste dei padri partecipanti al Sinodo per l’Amazzonia riguardo all’ordinazione di “viri probati” – uomini di provata saggezza ed esperienza cristiana – sposati: «A mio parere», ha detto, «si tratta di una scelta sbagliata. E spero e prego che il Papa, nella prossima Esortazione apostolica post-sinodale, non la confermi».
Inopportuna la presa di posizione a favore di un leader politico
Che dire di questa intervista? In un suo post l’ex presidente dell’Azione cattolica italiana Luigi Alici l’ha definita «inopportuna». Personalmente condivido il suo giudizio. Per diversi motivi.
Intanto, a prescindere dal merito, perché un pastore della Chiesa prende posizione nei confronti del leader di un partito. E per di più alla vigilia delle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna. Evidentemente il cardinale non condivide la «ritrosia della Chiesa a coinvolgersi nella politica»…
Qualcuno ha risposto a questa critica invocando il diritto del card. Ruini, come di chiunque altro, di esprimere pubblicamente la propria idea. Ma un vescovo, e a maggior ragione un cardinale, ha nel suo stesso ruolo di prestigio dei limiti che non deve superare. Che egli si pronunzi su questioni etiche o religiose è normale, anzi doveroso. Hanno torto coloro che accusano papa Francesco o qualche vescovo di intromettersi in politica quando rivendicano il diritto dei migranti di essere trattati da esseri umani.
Ma questo è molto diverso dal dare giudizi, positivi o negativi, su un uomo politico. Qui il discorso si sposta dal piano etico a quello partitico, su cui un pastore non può e non deve entrare, se non vuole indebitamente far pesare la sua autorità spirituale nelle questioni temporali, sulle quali non ha alcuna competenza specifica.
E se il card. Zuppi facesse lo stesso?
Immaginiamo che il card. Di Bologna, Zuppi, rilasci, in questo stesso periodo elettorale, un’intervista a «Repubblica» nella quale esprime fiducia e speranza nei confronti di Zingaretti, difendendo il Pd da alcune accuse che i suoi avversari gli rivolgono. Si può star certi che gli stessi che oggi difendono il diritto di Ruini di parlare protesterebbero a gran voce – e giustamente – per l’indebita intromissione in un dibattito che influisce immediatamente sul voto popolare.
Non tocca a un cardinale decidere del partito dei cattolici
La stessa riserva – sempre a prescindere dal merito – vale a mio avviso per liquidazione dell’ipotesi di un partito ispirato cristianamente. Non tocca alla gerarchia ecclesiastica, ma ai laici, stabilirne l’opportunità o meno.
Forse era giusto fare un cenno alle posizioni di Salvini…
Se poi si entra nella sostanza delle questioni, l’inopportunità della scelta di Ruini di “sdoganare” Salvini risalta ancora più chiaramente. Intanto perché il leader della Lega da tempo pretende di interpretare il Vangelo e di rappresentare i cattolici meglio dei loro vescovi. Su questo forse il cardinale avrebbe fato meglio a fare un cenno, per dire cosa ne pensa lui. Perché, se Salvini ha ragione, allora anche l’autorità di Ruini non vale nulla…
Così come un cenno avrebbe dovuto essere fatto, nell’intervista, alla convinzione del leader leghista che il messaggio cristiano dell’amore riguardi in modo assolutamente prioritario (di fatto, esclusivo) i membri della propria stirpe etnica. Qui non è questione di «maturità», ma di radicale falsificazione del contenuto del vangelo.
Per non riprodurre ciò che è accaduto al tempo di Ruini
Quanto al giudizio sull’eventualità di nuovo partito dei cattolici, va notato che Ruini nell’intervista rivendica con orgoglio il suo ruolo politico durante la Seconda Repubblica, quando i laici cattolici demandarono le loro scelte politiche alla gerarchia ecclesiastica (in pratica allo stesso Ruini), che, in nome della difesa dei “valori non negoziabili”, tacque sulla desertificazione etica e politica prodotta dall’ingresso della Lega nello scenario politico e dallo stile di Berlusconi. Che lo si condivida o no, il progetto di un nuovo partito che dia voce ai laici cattolici nasce in fondo dal tentativo di evitare che la stessa delega e la stessa tacita complicità si possano riprodurre nei confronti di Salvini.
Ruini non è il papa!
Infine, il cardinale nell’intervista esprime il suo dissenso rispetto alle conclusioni di un Sinodo a cui egli non ha partecipato, che ha radunato vescovi di tutto il mondo e che ha richiesto da parte loro un lungo sforzo di discernimento su problemi estremamente complessi.
Fermo restando il suo diritto di avere un’opinione personale sulle questioni ivi discusse, forse un pizzico di umiltà – o anche semplicemente di senso delle proporzioni – avrebbe potuto indurlo a non scendere in campo pubblicamente per contrapporsi a questa solenne assise e per interpellare Francesco chiedendogli di smentirla. Perfino il papa, pur non essendo vincolato in modo assoluto, deve avere un atteggiamento di ascolto verso i vescovi del mondo. E lui, Ruini, non è il papa. Sento il bisogno di aggiungere: per grazia di Dio.