Celebrazione Eucaristica per il mandato del servizio capitolare dei nuovi Canonici della chiesa Cattedrale 30 gennaio 2019
Letture bibliche
Prima lettura
Dalla Lettera ai Romani (Rm 12, 1-16) Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento, all’insegnamento; chi l’esortazione, all’esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia. La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi.
Salmo responsoriale (Sal 130)
Rit. Speri Israele nel Signore, ora e sempre. Signore, non si inorgoglisce il mio cuore
e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Rit. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia. Speri Israele nel Signore, ora e sempre. Rit. Alleluia: “Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore” (Mc10,43). Alleluia
Vangelo Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 32-45) Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore. Prendendo di nuovo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà». E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Celebrazione Eucaristica – Chiesa Cattedrale – 30 gennaio 2019
OMELIA
Care Sorelle, Cari Fratelli, L’invito di Gesù: «Ma tra voi non deve essere così. Anzi, se uno tra voi vuole essere grande, si faccia servo di tutti» (Mc 10, 43) è risuonato stasera in questa celebrazione eucaristica come un invito a ricollocarci nel cuore della nostra sequela Christi. L’invito rivolto da Gesù in modo speciale a Giacomo e Giovanni, e poi a tutti gli apostoli e ai discepoli, arriva – dopo venti secoli – anche a noi. Prendo le mosse – se volete in modo apparentemente paradossale – da questo comando del Signore. So di aver suscitato sorpresa in molti di voi con la creazione di nuovi canonici della Cattedrale. Come se fosse un balzo all’indietro, un atto contraddittorio rispetto al cammino di rinnovamento conciliare che stiamo portando avanti insieme nella Chiesa di Palermo. E perché – vi siete chiesti – l’Arcivescovo ora risuscita forme usurate e modalità ecclesiali vecchie, legate ad un mondo ormai scomparso? Si è forse scordato del Concilio? Si è distanziato dalla semplicità e dalla rinuncia ai titoli e alle cariche onorifiche propria del magistero di Papa Francesco? Ecco, vi assicuro che non è così. E scelgo questa omelia come spazio di condivisione con tutti voi, fedeli di questa Santa Chiesa di Palermo, [condivisione] del senso di una scelta che mi rendo conto avrei potuto far prima, in una larga assemblea. Ma ora siamo qui, nell’unica sinassi dei credenti, quella che raccoglie tutto, dove dovrebbero – come nella Chiesa antica – maturare decisioni e nascere relazioni evangeliche, e dunque desidero ardentemente offrirvi qui il mio pensiero, la mia riflessione. Credo che ci siano infatti due vie possibili, parallele e complementari, per perseguire il rinnovamento della Chiesa secondo lo stile del Vangelo. La prima è quella di un ritorno alle forme antiche, a quella semplicità, quella immediatezza, quell’adesione spontanea e potente all’Evangelo che S. Paolo, nella prima lettura odierna, e le fonti neotestamentarie – si pensi al libro degli Atti – ci trasmettono come un paradigma. È la via regia, la via necessaria. Guai a noi se la annacquassimo, se riducessimo il Vangelo alla nostra misura, se ritenessimo adattabile questo paradigma fissato idealmente una volta per tutte! Ma attenzione: non si può tornare alle origini senza consapevolezza, senza cammino. Quel paradigma ha dovuto misurarsi, sin dai primi secoli cristiani, con la storia concreta delle comunità, con le tante fatiche dell’obbedienza, che sono costate anche conflitti e hanno generato tradizioni diverse, spesso divergenti. Fino ai nostri giorni, ovviamente. Perché è vero: se guardo, se guardiamo in maniera spassionata le vesti che da presidenti o da concelebranti ci troviamo a indossare per questa liturgia, ci rendiamo conto – non senza un sussulto interiore – di quanto siano lontane dalle vesti dei pescatori del mare di Galilea. Con queste vesti, già, insieme a questi paramenti, ci portiamo addosso il peso della storia, delle fedeltà e delle infedeltà, degli eroismi e delle miserie, delle culture e delle società in cui il Vangelo lungo i millenni ha preso carne. E mentre aspiriamo costantemente alla freschezza originaria, sappiamo che essa si è mantenuta viva, malgrado l’intorbidamento e gli appesantimenti di ogni sorta – di cui i titoli fanno parte (che cosa vuol dire: ‘arci’ vescovo? Monsignore? Ce lo chiediamo, ve lo chiedete, fuori da ogni linguaggio scontato e ormai neutro per noi?) – essa si è mantenuta viva perché nelle vene della Chiesa è scorso sempre in abbondanza, sotto i titoli e i paramenti, sotto i codici e i regolamenti, sotto le divisioni e le fratture, il sangue, è fluita la linfa vitale della santità. La fedeltà al Vangelo è accaduta, come grazia vivificante e rugiada refrigerante, nello spazio umano della legge, nelle forme discutibili e gravi dell’istituzione. Voglio dire che se non impariamo a vivificare le forme e gli stili dal di dentro, non potremo tornare mai davvero alla leggerezza delle origini. Infatti, il rischio di modificare superficialmente solo le forme, ossia di cucire una pezza nuova in un vestivo vecchio, è sempre in agguato. Ecco perché possiamo pensare che i due processi, le due vie debbano andare assieme, perché ciò che li accomuna è il filo d’oro del Vangelo, che emerge e si impone nelle molteplici tradizioni degli uomini sparsi nella storia.
La mia scelta va in questa direzione, e vuole ricordare – a me e a tutti – che siamo chiamati a vivificare dal di dentro le forme magari rigide della nostra vita. Che significa pure – per la Chiesa – essere in grado di ridare senso alle tradizioni antiche, cambiandole di segno, piegandole senza paura e con audacia in direzione dell’oggi e del Vangelo. Non importa a noi stasera per qual motivo sia nato, nei secoli passati, il Capitolo della Cattedrale: non dobbiamo fare archeologia o riesumare anacronistici cerimoniali religiosi. Oggi, per noi, questo Capitolo vuole assumere un significato completamente diverso. A questo Capitolo voglio affidare un compito preciso, che lo intende in maniera nuova aprendolo alle istanze storiche ed ecclesiali che provengono da questo cambiamento d’epoca. Il Capitolo – per me – è chiamato ad essere il luogo in cui si fa esperienza, accanto al Vescovo, di una fraternità presbiterale, una “fraternità mistica” (Papa Francesco, EG, 92), vero punto nodale del futuro della nostra Chiesa e che qui deve apparire in maniera radicale, innestata su tre assi chiari ed esigenti: la preghiera: la liturgia corale, come segno e orizzonte in cui anche il prete orante nella solitudine della propria canonica può collocarsi, pensando e sapendo di pregare con il Capitolo e accanto al Capitolo, che manterrà centrale questo ufficio e lo offrirà ai fedeli e ai fratelli del presbiterio come compagnia e opportunità; la carità dell’accoglienza e del sacramento della riconciliazione. Tanti fedeli lamentano il fatto che i parroci non hanno tempo per ascoltare, per dare un consiglio, per le confessioni. La Cattedrale, madre di tutte le chiese parrocchiali della diocesi, sarà il luogo in cui questo ministero di cura e di amore verrà proposto e offerto. Chiunque deve sapere che venendo in Cattedrale troverà ascolto, accoglienza, cura, consolazione, guida, oltre alla grande opportunità di sperimentare il meraviglioso Sacramento della riconciliazione che accompagna il permanente cammino della conversione; l’attività culturale: la cultura non nel senso di una sterile erudizione, di un fatto elitario consumato tra pochi, né la cultura come progetto ecclesiale, come ‘cultura cristiana’ nel senso deteriore in cui si è usata questa espressione per giustificare volontà di potere, chiusure, identità reattive, conquista di spazi civili e politici. Cultura evangelica nel senso della coltivazione dei cuori buoni che fecondano e fruttificano pensieri positivi, cultura come spazio di riconoscimento e di dialogo, in cui capire insieme che cosa voglia dirci il Vangelo nel mondo in cui viviamo e che siamo chiamati a capire e ad amare fino in fondo. Cultura come custodia e valorizzazione di quei segni storici e di valore che ci trasmettono la storia della fede, del sapere umano e dell’arte del nostro popolo. Non sto risuscitando un cadavere, ma stiamo insieme risignificando radicalmente una forma antica. Altro che titoli e onorificenze! Stasera imponiamo a dei fratelli un compito gravoso, il segno di una vocazione esigente! Il Capitolo come profezia di fraternità presbiterale che prega, ama e pensa, in dialogo con i fratelli presbiteri e diaconi, con i cristiani, con tutte le donne e gli uomini di Palermo, che devono trovare nella loro Cattedrale un luogo di accoglienza e di libertà nel Vangelo. Per questo, cari fratelli, vi ‘ri-dono’ il Patto delle Catacombe che vi consegnai proprio qui il 5 dicembre 2015. Al di là delle incomprensioni e dei fraintendimenti esso rimane la magna charta del nostro cammino ecclesiale: il ‘noi vescovi’ di quel Patto si trasforma in ‘noi presbiteri’, e nella fattispecie in ‘noi canonici della Cattedrale’. Vi consegno, altresì, il discorso del Papa al concistoro del 2018. È bello che nel momento in cui Francesco insignisce i nuovi cardinali – sentite la frizione tra il sogno di povertà evangelica e le realtà consegnataci dalla nostra storia – proprio lì il Papa annunzia e ritorna al Vangelo: «l’unica autorità credibile è quella che nasce dal mettersi ai piedi degli altri per servire Cristo [] Questa è la più alta onorificenza che possiamo ottenere, la maggiore promozione che ci possa essere conferita: servire Cristo nel popolo fedele di Dio, nell’affamato, nel dimenticato, nel carcerato, nel malato, nel tossicodipendente, nell’abbandonato, in persone concrete con le loro storie e speranze, con le loro attese e delusioni, con le loro sofferenze e ferite». Vi ‘ri-dono’ infine il discorso di Papa Francesco in Cattedrale, con i tre verbi da lui evidenziati: celebrare, accompagnare, testimoniare. Di questi verbi siete e siamo chiamati ad essere profeti e portatori. La vostra fraternità presbiterale sia il luogo di un nuovo stile rispetto al potere, lo spazio concreto di una accoglienza degli ultimi, la casa di Dio e casa dell’uomo sempre aperta, dove la vostra ospitalità sia sacramento dello “stile ospitale divino” manifestatoci da Gesù di Nazareth (Theobald). Volgiamo insieme lo sguardo al Beato don Pino Puglisi, esempio e guida di questa vocazione e di questo dono, e mettiamo accanto alla sua “sedia rotta” (Papa Francesco, Ai giovani, Palermo,15 settembre 2018) lo scranno del Coro del Capitolo, ‘rotto’ dal vostro servizio umile e vigile nelle braccia di Dio.